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Il Manifesto Rassegna Stampa
24.03.2005 Per il quotidiano comunista Sharon riuscirà a evacuare Gaza
ma solo per "dominare" meglio la Cisgiordania, secondo una formula propagandistica quotidianamente ripetuta

Testata: Il Manifesto
Data: 24 marzo 2005
Pagina: 9
Autore: Michelangelo Cocco
Titolo: «Sharon a due passi dal ritiro»
"Smantellare le colonie ebraiche dalla striscia di Gaza per rafforzare il dominio sui palestinesi di Cisgiordania" questo sarebbe l'obiettivo di Sharon secondo quanto scrive Michelangelo Cocco sul MANIFESTO di giovedì 24 marzo 2005.
Lo smantellamento annunciato anche di insediamenti in Cisgiordania e l'accettazione di uno Stato palestinese esteso anche su parte di questo territorio non contano nulla per il quotidiano comunista, che ripropone ogni giorno la sua interpretazione della politica del governo israeliano, senza nemmeno più argomentarla.
A parte la ripetizione rituale di questa formula esecratoria, l'articolo di Cocco risulta, per gli standard del quotidiano, di tono insolitamente oggettivo, senza i processi e le condanne a Israele che caratterizzano normalmente sulle sue pagine cronache e analisi del conflitto mediorientale (la posizione dei coloni però è presentata in modo unilaterale come prodotta esclusivamente dalle loro "passioni") .
Lo si deve probabilmente all'argomento, di per sè più "neutro" di altri: la politica interna israeliana.

Riportiamo l'articolo soprattutto perchè presenta un' analisi diversa da quella di Graziano Motta (vedi: "Israele: maggioranza a rischio per la legge finanziaria e il ritiro da Gaza", Informazione Corretta 24-03-05), attribuendo al governo Sharon molte più probabilità di successo in parlamento.

Ecco il testo:

Meno sette. Sharon ha a disposizione ancora una settimana per far passare la legge di bilancio, necessaria alla definitiva consacrazione del suo «piano di disimpegno» da Gaza. La strada resta in salita per la forte opposizione della minoranza e di 13 parlamentari del suo stesso partito (il Likud) ma il risultato ottenuto ieri alla Knesset ha avvicinato ulteriormente il premier israeliano all'obiettivo per cui si sta battendo da mesi: smantellare le colonie ebraiche dalla striscia di Gaza per rafforzare il dominio sui palestinesi di Cisgiordania. Superando l'opposizione dell'estrema destra, la Commissione finanze della camera unica dove siedono i 120 rappresentanti dello stato ebraico ha approvato (10-9) la legge che fissa a 264.5 miliardi di shekel, 62 miliardi di dollari, le spese per il 2005. Il provvedimento passa ora all'assemblea, dove sarà esaminato martedì prossimo, quando non mancheranno che 48 ore al fatidico 31 marzo. Se entro quella data la legge di bilancio non sarà approvata il governo dovrà fare le valigie e gli israeliani tornare alle urne entro la fine di giugno, con conseguenze disastrose per il ritiro da Gaza, che potrebbe essere rinviato o saltare del tutto. Un'eventualità che ieri Benjamin Netanyahu, ha escluso: «Non vedo all'orizzonte elezioni, perché la legge di bilancio passerà», ha dichiarato alla radio israeliana il ministro delle finanze che nel corso dell'iter parlamentare del «disengagement plan» (21 insediamenti e 7.000 coloni da evacuare da Gaza e quattro dal nord della West Bank, a partire dal 20 luglio prossimo) è stato uno dei principali oppositori di Sharon.

A rafforzare la convinzione dell'uomo che negli ultimi mesi ha rappresentato - cercando di trasformarle in capitale elettorale - le passioni dei coloni irriducibili, c'è un'opinione pubblica favorevole ad andare via dalla Striscia e la consapevolezza che chiamare gli elettori alle urne per la terza volta in quattro anni sarebbe davvero troppo. La vittoria di misura in commissione finanze è stata raggiunta grazie a un compromesso: i ribelli del Likud hanno ottenuto che l'organismo parlamentare che si occupa di affari costituzionali desse a sua volta l'ok a una legge che prevede un referendum popolare (istituto che in Israele attualmente non esiste) sul ritiro da Gaza. Il rappresentante del partito ultraortodosso Shas, Nissin Ze'ev, ha votato assieme ai laburisti, ai centristi di Shinui e ai deputati arabo-israeliani contro il provvedimento. Cosa ancora più importante, il rabbino Ovadia Yosef ha ordinato ai parlamentari dello Shas di votare contro anche quando il provvedimento arriverà in aula. Gli ultraortodossi - come ha dichiarato Ze'ev - «non vogliono dare via libera a un referendum che rappresenti un precedente per altre questioni».

Il riferimento è alla possibilità che a un'eventuale consultazione su Gaza ne segua una sull'esenzione che gli ultraortodossi hanno dai tre anni di servizio di leva obbligatorio, un privilegio ritenuto inammissibile da una gran parte dei cittadini israeliani. La proposta, approvata con nove voti favorevoli e otto contrari, finirà davanti all'assemblea lunedì prossimo. Secondo la maggior parte degli analisti politici israeliani il referendum non ha alcuna possibilità di passare, dal momento che la maggior parte dei parlamentari appoggia il ritiro da Gaza. In serata i «ribelli» del Likud hanno proposto a Sharon lo scambio (sì alla finanziaria e via libera al referendum) anche quando la prossima settimana i due provvedimenti arriveranno in aula, ma il premier ha rifiutato: se passasse la consultazione popolare i laburisti lascerebbero l'esecutivo.
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