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Il Foglio Rassegna Stampa
22.03.2005 La Lega araba si divide tra chi vuole la normalizzazione dei rapporti con Israele e chi no
Egitto, Giordania, Marocco e Tunisia paesi capofila del primo gruppo

Testata: Il Foglio
Data: 22 marzo 2005
Pagina: 3
Autore: un giornalista
Titolo: «La nuova Lega araba parallela nasce dalle ceneri della vecchia»
IL FOGLIO di mattedì 22 marzo 2005 pubblica un'analisi sul vertice della Lega araba, che riportiamo:
Roma. La Lega araba muore oggi, ad Algeri, nel giorno del suo sessantesimo compleanno. Al vertice dei capi di Stato, i capi di Stato non si presentano; al vertice dei ministri degli Esteri, quelli, almeno, si sono presentati, ma non hanno concluso nulla, tranne la stesura di un inerziale documento d’appoggio alla Siria, possibile soltanto perché vi è confluito il minimo comun denominatore antiamericano. Oggi l’agenda di tutti i principali paesi arabi è fatta guardando a Israele, ma l’istituzione panaraba era nata il 22 marzo 1945 al Cairo proprio per non fare nascere Israele. Tanti capi di Stato arabi oggi accampano scuse per giustificare il loro boicottaggio della "solenne riunione": re Feisal d’Arabia Saudita è malato; il rais di Libia, Muhammar Gheddafi, odia re Feisal che è malato; re Abdallah di Giordania vuole rubare a re Feisal la leadership dei sunniti e ha tutte le carte per farlo; il presidente del Libano, Emile Lahoud, non osa volare ad Algeri perché – scrivono i giornali arabi – teme di non poter fare ritorno a Beirut; Bashar Assad probabilmente non andrà ad Algeri perché non è nello stato d’animo di chi ha tempo da perdere. Abdallah di Giordania vuole conquistare un ruolo chiave nel dialogo con Israele, attraverso iniziative e proposte autonome, e la leadership sunnita partendo dall’Iraq. Ma le relazioni tra Amman e Baghdad si sono deteriorate con il presunto coinvolgimento di un giordano in un attentato qualche giorno fa. Le proteste si susseguono davanti alla sede diplomatica giordana in Iraq; sia Amman sia Baghdad hanno richiamato in patria gli ambasciatori. Così mentre chi ha carte da giocare, come Abdallah, lo fa in beata solitudine, forse la "storica riunione" servirà soltanto a materializzare una stretta di mano tra il presidente algerino, Abdelaziz Bouteflika, e il re del Marocco, Mohammed VI, e allora si capirà che la Lega è morta davvero perché in 30 non è riuscita neanche a far fare la pace ad Algeria e Marocco sull’ex Sahara spagnolo. I paesi arabi fanno politica fuori e contro la linea della Lega e fanno a gara per piazzarsi nell’unica "Lega" che conti nel Mediterraneo: quella di chi sa impostare il dialogo con Israele. Una "Lega" informale, nata dall’ultima vittoria militare d’Israele contro l’Intifada delle stragi, e appoggiata dagli Stati Uniti. Chi vi entra ha un vantaggio: è guardato con generosa simpatia – in milioni di dollari – da Washington. Le strategie simmetriche di George W.
Bush e Ariel Sharon si sommano e s’intersecano: si reimposta la logica degli accordi di Camp David, i primi, quelli di Jimmy Carter, Anwar el Sadat e Menachem Begin, non quelli di Bill Clinton, Yasser Arafat e Yitzhak Rabin. Sharon, nel 1979 ministro dei coloni, è stato, a fianco di Moshe Dayan, uno dei più stretti collaboratori di Begin nell’impostare uno schema in tre passaggi. Il riconoscimento da parte di Sadat della legittimità dell’esistenza d’Israele; la restituzione del Sinai all’Egitto; la concessione da parte degli Stati Uniti dell’aiuto economico che ha permesso all’Egitto per 30 anni di evitare il disastro. Oggi Sharon ripete con Gaza lo stesso schema: ha in Mubarak un partner e offre agli altri leader arabi di partecipare all’impresa. Tutti i regimi del "Fronte del rifiuto di allora", a partire da quello di Saddam Hussein, sono stati abbattuti o riformati. Ancora una volta è Abdallah a cogliere l’attimo: mira a una trattativa di "seconda fase" con Gerusalemme, che
sblocchi la situazione in Cisgiordania. Propone un piano, da presentare ad Algeri, in cui ipotizza una normalizzazione delle relazioni tra Israele e mondo arabo, anche prima del raggiungimento della pace, e chiede ai palestinesi di rinunciare a parte dei territori pre ’67. Non trova appoggi: forse per questo evita di presentarsi ad Algeri. Ben Alì, presidente tunisino, prova a inserirsi nel nuovo gruppo e invita Sharon a Tunisi. La mossa è ardita: la Tunisia non riconosce Israele. Anche il Marocco intanto s’appresta a ricevere Simon Peres. Grande escluso dalla preparazione della tavola della pace è Assad, perché è lui stesso a non sapersi riformare. Per piegarsi a trattare con Israele deve infatti rendersi conto che non ha alternative. Come a Beirut.
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