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La Repubblica Rassegna Stampa
17.03.2005 La democrazia è il fine che squalifica i mezzi?
sembra pensarlo Vittorio Zucconi, nel commento alla designazione di Paul Wolfowitz alla Banca mondiale

Testata: La Repubblica
Data: 17 marzo 2005
Pagina: 9
Autore: Vittorio Zucconi
Titolo: «Un falco Usa per la Banca Mondiale»
LA REPUBBLICA di venerdì 17 marzo 2005 affida a Vittorio Zucconi il commento alla designazione da parte di Bush di Paul Wolfowitz come presidente della Banca Mondiale.
Zucconi affronta il tema nel modo più prevedibile, visti i suoi precedenti. La nomina di un esponente della "setta" neocon alla Banca mondiale, istituzione per altro descritta con accenti "no-global", mette a rischio il "multilateralismo" della stessa.
In realtà, la politica che presumibilmente Wolfowitz cercherà di realizzare sarà quella di legare gli aiuti economici alle riforme democratiche e liberali, come spiega un editoriale sul FOGLIO(vedi:"Il nuovo Iraq democratico e federale, la nuova Banca Mondiale di Paul Wolfowitz, il nuovo libro di Lucia Annunziata recensito senza condiscendenza", Informazione Corretta 17-03-05 ).

Una forma di incoraggiamento ai processi di democratizzazione che dovrebbe riscuotere il consenso, ci pare, anche di chi aborrisce l'uso della forza militare per rovesciare i tiranni, pur esecrando i tiranni stessi.
Perchè Zucconi, al contrario, continua a non essere d'accordo?

Ecco l'articolo:

Figlio di un grande matematico importato da Varsavia e padre della "dottrina della guerra preventiva" esportata in Afghanistan e Iraq, Paul Dundes Wolfowitz, segretamente soprannominato dai colleghi il "velociraptor" come il piccolo e micidiale dinosauro di Jurassic Park, sarà, dal prossimo primo luglio 2005, presidente della Banca Mondiale, il braccio finanziario delle potenze industriali per stimolare, per strangolare secondo gli ormai molti critici, lo sviluppo delle nazioni più povere.
Forse promosso per essere rimosso, dalla seconda poltrona del Pentagono alla presidenza della World Bank, o forse spedito da Bush in quell´ufficio per imporre la visione americo–centrica dei neo conservatori come già il nuovo ambasciatore all´Onu, John Bolton, Wolfowitz segue curiosamente il cursus di un suo celebre predecessore, Robert McNamara, che dal Pentagono squassato dal disastro vietnamita passò allo stesso incarico, 40 anni or sono.
Anche McNamara, come Wolfowitz, incaricato di aiutare, in teoria e con i fondi della World Bank, quelle nazioni sottosviluppate che con le loro armi avevano ampiamente contribuito a devastare.
Ormai da settimane, nei salotti della Washington che sa, l´allontanamento dal Pentagono del massimo architetto teorico della guerra per esportare la democrazia era dato per certo. Soltanto i malumori e l´opposizione degli altri Paesi membri della Banca, e soprattutto delle nazioni beneficiarie dei finanziamenti internazionali che temono, come ha detto un diplomatico africano ovviamente anonimo, «di fare la fine degli ospiti nel castello di Dracula», aveva ritardato l´annuncio che ieri Bush ha formalizzato, chiedendo per telefono l´assenso puramente pro forma di Blair, Berlusconi, Chirac e altri satelliti minori.
«Un uomo compassionevole», lo ha chiamato Bush, aggiungendo una qualifica inaspettata alla carriera di un personaggio che ha mostrato grandi doti di intellettuale, ma la cui compassione era finora rimasta una virtù nascosta.
Come un´altra celebre intelligenza della strategia americana, l´ebreo tedesco Henry Kissinger, anche il sessantunenne Paul Wolfowitz è figlio di quell´Europa di fede israelita che le persecuzioni, il razzismo, i pogrom hanno spinto sulla via dell´America, impoverendo il vecchio continente. Ma mentre Kissinger fuggì dalla Germania nazificata, la famiglia di "Wolfie", come lo chiamano gli amici, viene da orrori ancora più lontani, dalla Varsavia di inizio 900, schiacciata dall´Impero Russo, meno diligente, ma non meno accanito, nella persecuzione degli ebrei. Parte della famiglia, come la sorella, vive in Israele e molti Wolfowitz lasciarono la vita ad Auschwitz.
Il padre, Jacob, emigrato quando aveva dieci anni, divenne uno dei più rispettati matematici nella nuova patria e Paul tentò di emularlo fino a quando scoprì che era la politica internazionale, e non la matematica, la propria passione.
Prese un dottorato a Chicago, nell´università dove già Enrico Fermi aveva lavorato e cominciò un percorso eccellente nell´accademia e nel governo. Professore in varie e gloriose università, ultima la Johns Hopkins di Baltimora, tre volte chiamato al Pentagono, una al Dipartimento di Stato, ambasciatore in Indonesia, la più popolosa nazione islamica del Mondo, pupillo del suo massimo sponsor, l´attuale vice presidente e già ministro della Difesa, Dick Cheney, Wolfowitz sarebbe rimasto un autorevole, ma relativamente oscuro teorico, senza quella mattina fatale dell´11 settembre 2001.
Fu allora, nel panico della Casa Bianca, che il velociraptor sfoderò quei teoremi sulla «guerra preventiva» e sul «rifiuto del contenimento diplomatico» che da tempo aveva esposto, insieme con un gruppetto di discepoli poi etichettati un po´ confusamente come "neocon", una dottrina che aveva trovato il proprio manifesto nel famoso e famigerato «Progetto per un nuovo secolo americano», il Pnac, che Wolfie aveva scritto nel 1997, sotto la presidenza Clinton, ed era stato licenziato come un altro dei mille e mille pezzi di carta che i think tank washingtoniani sfornano in continuazione.
Ma la formula dell´attacco preventivo, dell´impiego della forza come braccio violento per esportare «l´idealismo americano», calzò come una mano nel guanto vuoto di un Bush impreparato in materia di politica estera. La dottrina della guerra preventiva fu, nonostante le inutili proteste del principale avversario di Wolfowitz a Washington, il generale Colin Powell che la guerra aveva fatto davvero e ne diffidava, la soluzione precotta, il «pret-à-porter» perfetto che Bush cercava per rispondere alla domanda di azione e di reazione che l´America gli chiedeva.
Molti sono chiesti come possa esistere un rapporto profondo tra un intellettuale come «Wolfie», e il poco intellettuale Bush, ma la spiegazione è evidente. Wolfowitz, e la sua corrente di "neocon" che per tre anni hanno dominato «il pensiero del Presidente» sono il supporto teorico di ciò che Bush avverte istintivamente,.
Ma la Banca Mondiale per la Ricostruzione e lo Sviluppo, come si chiama nella dizione completa, sorella gemella del Fondo Monetario Internazionale partorita anch´essa dalla conferenza di Bretton Woods nel 1944 e voluta da Usa e Gran Bretagna, è animale assai diverso da quella burocrazia accademica e politica che ruota nella eterna porta girevole del potere washingtoniano. Con diecimila dipendenti, rivaleggia con il Pentagono nel numero di impiegati ed esperti e la sua nobile missione, finanziarie quei progetti di infrastrutture in nazioni povere che il capitale privato evita, da anni viene attaccata da economisti ed esperti come una semplice estensione ideologica del capitalismo americano in Paesi che devono accettare violente terapie monetariste e diktat finanziari per ottenere la carità di qualche aiuto.
Con gli Stati Uniti nel ruolo di azionista di maggioranza, la World Bank deve accettare chiunque la Casa Bianca decida di scaricare o di inviare come presidente e anche Wolfowitz come il predecessore Wolfenshon (curiosa coincidenza di successione fra uomini con la parola «lupo» nel cognome) sarà ratificato. E il principe dei "neocon" porterà l´avversione ideologica della propria setta per quel multilateralismo che essi detestano, proprio alla guida di una delle massime istituzioni internazionali prodotte dalla esecrata cultura del multilateralismo.
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