Il partito Baath spiega la crisi libanese in un articolo di Alberto Stabile
Testata: La Repubblica Data: 16 marzo 2005 Pagina: 20 Autore: Alberto Stabile Titolo: «Mubarak vola da Assad»
LA REPUBBLICA di mercoledì 16 marzo 2005 pubblica una cronaca di Alberto Stabile sul vertice tra il presidente egiziano Hosni Mubarak e il siriano Bashar Assad. Stabile inserisce nel suo articolo numerose citazioni, mostrando di approvarne il contenuto. Per esempio quella di Ayman Abdel Nour definito "un autorevole rappresentante del partito Baat", per il quale "La Siria sarà lasciata in pace quando non avrà più un ruolo da svolgere nella regione, quando la sua influenza in Iraq si sarà volatilizzata, quando avrà tagliato ogni legame con Hamas, la Jihad e gli Hezbollah". Stabile, come Abdel Nour, si guarda bene dal chiarire di quale natura sia l'"influenza" della Siria in Iraq (la notizia recente dell'arresto, da parte delle autorità irachene, di un agente siriano accusato di aver organizzato una strage a Mosul potrebbe essere un'eloquente esemplificazione del genere di benefico influsso esercitato da Damasco ). Sotto silenzio passa anche la natura terroristica di Hamas, Jihad e Hezbollah. Il che consente a Stabile di approdare alla sua conclusione, affidandosi alle parole di Saleh Qellas, un altro "politico baatista", per il quale l'alternativa alla dominazione siriana del Libano potrebbe essere ancora peggiore di quanto questa non sia, risolvendosi in un avanzamento di quella che Stabile chiama "l´ombra della mezza luna nera, il colore preferito dagli sciiti, che s´allunga sul Medio Oriente; un asse che, partendo da Teheran, passa per l´Iraq a maggioranza sciita e risale verso il Sud del Libano". Peccato che il terrorismo sciita di Hezbollah, insieme a quello sunnita di Hamas, sia stato protetto e promosso, e non combattuto, dal regime baatista di Damasco, che cerca ora attraverso i suoi propagandisti di accreditarsi in come "male minore". Trovando ascoltatori e ripetitori quanto meno troppo ingenui anche nei media occidentali.
Ecco l'articolo: AMMAN - E´ quella sorta di carosello diplomatico che, come altre volte in passato, prelude all´ennesima tragedia mediorientale schivandone i segni premonitori. Mubarak vola da Assad, re Abdallah incontra George Bush, Mahmud Abbas (Abu Mazen) s´impegna in una tre giorni di colloqui con le fazioni palestinesi radicali, presente per la prima volta un esponente siriano, il vice ministro responsabile del dossier libanese, Walid Muhallam. Ma di fronte all´andirivieni di raìs e capi di Stato sui commenti dei giornali domina il più cupo pessimismo: la democratizzazione del Libano è un pretesto per colpire il regime siriano, scrivono. Quello che Bush e Chirac hanno in mente è, in realtà, un nuovo accordo Sikes - Picot (febbraio 1916) per ridisegnare i confini politici della regione. E´ stata la stessa amministrazione americana a spingere gli osservatori a guardare con realismo oltre al ritiro dei 14mila soldati e delle migliaia di agenti segreti che rappresentavano la forza deterrente su cui poggiava la «Pax siriana» calata sulla Repubblica del Cedro a conclusione della guerra civile. «Il punto chiave - ha detto Condoleeza Rice - è che bisogna rimuovere l´influenza e l´interferenza siriana dal Libano». Traduzione: se anche l´esercito siriano si ritirerà completamente e in tempo perché in Libano possano svolgersi libere elezioni, Damasco non sarà fuori dai guai. La pressione americana è anzi destinata ad intensificarsi perché l´«influenza» e l´«interferenza» siriane che gli Stati Uniti vogliono eliminare dal contesto libanese sono frutto di legami politici ed economici vecchi di decenni. E questo, sostengono molti commentatori, implica né più ne meno che «un cambio di regime». «La Siria - dice da Damasco Ayman Abdel Nour, un autorevole rappresentante del partito Baat - sarà lasciata in pace quando non avrà più un ruolo da svolgere nella regione, quando la sua influenza in Iraq si sarà volatilizzata, quando avrà tagliato ogni legame con Hamas, la Jihad e gli Hezbollah». E´ difficile indovinare il messaggio che il presidente egiziano Hosni Bubarak ha portato ieri a Bashar el Assad. Ufficialmente i due capi di stato hanno discusso di quella che i comunicati ufficiali hanno definito «l´arena libanese». Qualcuno vuole che Mubarak sia corso a Damasco per spingere Assad a muovere più speditamente le truppe fuori dal Libano in cambio dell´appoggio egiziano alla Siria, al vertice della Lega Araba che si terrà ad Algeri, a fine mese. Per un attimo, tuttavia, e forse era questo lo scopo della visita, il viaggio lampo del presidente egiziano ha rotto l´atmosfera di isolamento che circonda il regime siriano, all´interno dello stesso mondo arabo, da quando Bush ha lanciato i suoi ultimatum a Damasco. Con l´Arabia Saudita, Bashar ha fatto un buco nell´acqua, essendo andato a Ryad solo per sentirsi dire che la dinastia di Saud e i suoi alleati nel Golfo vogliono che si ritiri e in fretta dal Libano. La Giordania non ha cambiato il suo atteggiamento diffidente. Non è un caso che re Abdallah abbia iniziato proprio ieri una visita di due settimane negli Stati Uniti: la crisi siro-libanese naturalmente è stata al centro del colloqui tra re Abdallah e George Bush. Il quale, a conferma di una certa cautela introdotta nella strategia americana verso gli hezbollah libanesi, il Partito di Dio filo siriano che raccoglie le masse povere degli sciiti del sud, ha sì ripetuto di considerare gli hezbollah un gruppo terrorista, ma questo giudizio vale «finchè non deporranno le armi», lasciando, dunque una porta aperta, a quelli che Israele considera i suoi nemici più efferati. Tatticismo? Si sa che Condoleeza Rice ha suggerito un approccio graduale al problema. «Prima fuori i siriani dal Libano, quindi le elezioni, dopo affronteremo il problema del disarmo degli hezbollah» che della Siria (assieme all´Iran) rappresentano gli unici alleati nella regione. Eccolo, allora, il fantasma che turba l´Amministrazione americana: l´ombra della mezza luna nera, il colore preferito dagli sciiti, che s´allunga sul Medio Oriente; un asse che, partendo da Teheran, passa per l´Iraq a maggioranza sciita e risale verso il Sud del Libano. La Siria, certo, scriveva ieri Saleh Qellas, un politico baatista ex ministro del governo giordano, ha commesso alcuni gravi errori in Libano. Ma non è certo che l´alternativa al regime di Assad sia migliore. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla direzione de La Repubblica. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.