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Il Mattino Rassegna Stampa
14.03.2005 Hezbollah brava gente
il gruppo terroristico beatificato dal quotidiano napoletano

Testata: Il Mattino
Data: 14 marzo 2005
Pagina: 9
Autore: Michele Giorgio - Francesca Fraccaroli
Titolo: «Dentro il Libano di Hezbollah Stato nello Stato - «L’Occidente sbaglia. Non siamo terroristi e vogliamo il dialogo»»
IL MATTINO di domenica 13 marzo 2005 dedica alla difesa di Hezbollah dall'accusa di essere un'organizzazione terroristica un reportage di Michele Giorgio, "Dentro il Libano di Hezbollah Stato nello Stato", che esalta l'ascesa militare e politica del "Partito di Dio", e un'intervista di Francesca Fraccaroli al dirigente Abu Zenaib, "L’Occidente sbaglia. Non siamo terroristi e vogliamo il dialogo" .

Dell'articolo di Giorgio, che riportiamo qui sotto, segnaliamo in particolare l'affermazione per cui Hezbollah avrebbe costretto Israele alla fuga dal Libano ( che fu in realtà una scelta politica volta a favorire i negoziati di pace) e la disinvolta argomentazione per la quale il gruppo libanese non potrebbe essere accusato di terrorismo perchè "un milione di persone in piazza a Beirut non erano un milione di terroristi", come se movimenti politici criminali non avessero mai raccolto ampi consensi (che dire dei milioni di elettori di Hitler?).
Degno di nota anche il fatto che Giorgio sia certo che Hezbollah intenda riconvertirsi dalle "operazioni militari" alla politica, senza per altro poter indicare nessun fatto a riprova di questa convinzione.

È una chiara prova di forza, dopo le grandi manifestazioni nella capitale libanese dell’opposizione anti-siriana. Fondato nel 1982 per volontà dell'ayatollah Mohammed Sayyed Fadlallah, con finanziamenti iraniani, allo scopo di combattere l'occupazione israeliana in Libano, Hezbollah (significa il «Partito di Dio») si ritrova ad essere 23 anni dopo la forza politica più influente nel paese dei cedri. La crisi libanese, cominciata un mese fa con il sanguinoso attentato in cui è rimasto ucciso l'ex premier Rafiq Hariri, ha messo in evidenza l'enorme popolarità di Hezbollah, e, in particolare, del suo segretario generale, lo sceicco Hassan Nasrallah. All'indomani dell'uccisione di Hariri, il Partito di Dio aveva seguito senza intervenire le manifestazioni di strada organizzate dalle opposizioni che invocano il ritiro immediato della Siria dal Paese. Ma una settimana fa Nasrallah è uscito allo scoperto, prima esortando l'opposizione «a non fare il gioco del nemico sionista (Israele, n.d.r.)» a danno di Damasco e poi indicendo la manifestazione dell'otto marzo a Beirut. Un evento che ha reso evidente le formidabili capacità organizzative e di mobilitazione di massa di Hezbollah, al quale ora le altre forze politiche libanesi non possono più fare a meno di rapportarsi se vogliono risolvere la crisi. Tra i primi a rendersene conto è stato il leader druso Walid Jumblatt, che a sua volta può contare su un largo seguito popolare, almeno nelle zone montuose del Paese. Jumblatt ha chiesto esplicitamente di aprire un dialogo politico con il «Partito di Dio». E ha messo in guardia dal rischio di disarmare il gruppo sciita. Hezbollah, ha riconosciuto Jumblatt, «è stato uno dei pilastri dell'indipendenza libanese». Lo scenario che si apre per il Libano è dunque complesso. Anche perché, appena due giorni fa, l’amministrazione americana è tornata a definire Hezbollah «un gruppo terroristico». Con cui dunque non può esserci dialogo. Ma un milione di persone in piazza a Beirut non erano un milione di terroristi. Il successo del Partito di Dio viene da lontano. I suoi dirigenti l'hanno costruito sulle imprese dei guerriglieri impegnati a combattere le truppe israeliane in quella che era conosciuta fino a cinque anni fa come la «Fascia di sicurezza» (una striscia di terra all'interno del territorio libanese controllata dallo Stato ebraico). Il precipitoso ritiro di Israele dal Paese dei Cedri sotto i colpi dei guerriglieri sciiti, fece crescere il prestigio di Hezbollah tra tutti i libanesi. Dopo quella «vittoria», Nasrallah si convinse di dover dare una svolta più politica al suo partito che negli ultimi cinque anni si è inserito nelle dinamiche interne libanesi, partecipando a varie consultazioni elettorali. Allo stesso tempo riorganizzò la struttura gerarchica-decisionale con un ufficio politico (20 membri) alla sua base, il Consiglio della Shura (7 membri) ad un livello superiore ed, in alto, la posizione di segretario generale. Nasrallah diede inoltre un impulso alla organizzazione di un capillare sistema di assistenza sociale e sanitaria a favore agli strati più poveri della popolazione - spesso gli sciiti - che si è rivelato una delle chiavi vincenti di Hezbollah. La raccolta delle elemosine islamiche per gli orfani e le vedove e i sussidi agli agricoltori e alle piccole imprese, hanno creato la base di consenso sulla quale si regge l'efficiente struttura dell'organizzazione. I quartieri meridionali di Beirut, i villaggi del Libano del Sud, così come quelli della Valle della Bekaa, sono diventati una sorta di «Stato nello Stato», tollerato dal governo centrale e accettato dalla maggioranza dei libanesi. Senza negare i suoi stretti legami con Teheran e Damasco - che aiutano Hezbollah fornendogli armi per gli attacchi a Israele lungo la frontiera e nella zona contesa delle Fattorie di Sheeba, a ridosso delle Alture del Golan - Nasrallah ha però dato una forte identità «libanese» al Partito di Dio e, in questi ultimi giorni, ha indicato ai suoi più stretti collaboratori di sollecitare, nei discorsi pubblici, l'unità nazionale del Paese. Alla manifestazione di martedì scorso a Beirut, i partecipanti si sono guardati bene dal portare vessilli di Hezbollah e hanno sventolato solo bandiere libanesi. Il numero due dell'organizzazione, Naim Qassem, ha tenuto ad evidenziare in varie occasioni che Hezbollah «non è uno strumento di Damasco». È opinione diffusa tra gli esperti che il movimento sciita otterrà una ampia affermazione alle elezioni politiche generali di metà maggio, a conferma della sua accresciuta popolarità. La sfida futura per Nasrallah sarà quella di accellerare la svolta politica del partito e di mettere fine progressivamente alle operazioni militari che il suo braccio armato - la «Resistenza islamica» - porta a termine lungo il confine con Israele. Un passaggio che si prevede complesso ma al quale Hezbollah non può sottrarsi ora che il suo ruolo sulla scena politica libanese è divenuto centrale.
L'intervista della Fraccaroli si caratterizza per la perfetta equidistanza tra le tesi di Zenaib (Hezbollah non è terrorista, le fattorie dei Sheeba non sono siriane, ma libanesi, ecc.) e quelle della comunità internazionale (Hezbollah è terrorista, come dice il Parlamento europeo, le fattorie sono libanesi e non vi è dunque alcun fondamento legale per la pretesa del gruppo terroristico che i suoi attacchi a Israele siano una "lotta di liberazione", come dice l'Onu).

Un'equidistanza che pone Hezbollah un gradino più su di Israele, nella personale scala di attendibilità della giornalista. Per la Fraccaroli infatti, lo ha scritto numerose volte, Israele è uno stato che viola la legalità internazionale. In merito le prese di posizione dell'Onu, o, meglio, la loro interpretazione da parte dei paesi arabi, non sono soggette a discussioni.

Ecco l'articolo:

Beirut. Il ritiro definitivo delle truppe siriane dal Libano, in accoglimento della risoluzione 1559 dell'Onu, pone ora l'attenzione sul disarmo del braccio armato di Hezbollah, il partito che rappresenta la maggioranza degli sciiti libanesi. La questione rappresenterà uno dei nodi che dovrà sciogliere il primo ministro incaricato, Omar Karamé, che domani avvierà le consultazioni per la formazione di un governo di unità nazionale. Allo stesso tempo i dirigenti di Hezbollah dovranno porsi interrogativi sul futuro della loro organizzazone che, di recente, ha accelerato la sua trasformazione in senso politico e sta giocando con abilità un ruolo di primo piano nella crisi libanese. Ne abbiamo discusso con Ragheb Abu Zeinab dell'ufficio politico di Hezbollah e stretto collaboratore del leader del partito Hassan Nasrallah. I soldati siriani lasceranno il Libano. Non temete che l'Onu e gli Stati Uniti obbligheranno il futuro governo libanese a disarmare la vostra guerriglia? «La maggioranza dei libanesi, tra cui un leader dell'opposizione quale Walid Jumblatt, è contraria a questa risoluzione imposta da Washington e dai sionisti. Il nostro popolo lo ha detto con forza martedì scorso, quando un milione di persone riunite a Beirut, hanno detto "no" alle ingerenze straniere. Hezbollah è un partito impegnato nella vita politica e sociale libanese ma ritiene essenziale continuare a combattere contro l'occupazione israeliana. Le Fattorie di Sheeba appartengono al Libano, non alla Siria come sostiene l'Onu, e fin quando Israele controllerà quel territorio, continueremo la lotta di liberazione». L'Occidente però non è dello stesso avviso: l’Europarlamento qualche giorno fa ha avanzato la proposta di inserirvi nella lista dei gruppi terroristici. «Non riesco a capire su quali basi gli europarlamentari abbiano raggiunto questa conclusione. In Occidente dovrebbero capire che siamo una forza presente in ogni aspetto della società, da quello assistenziale a quello legislativo (12 seggi in parlamento). La popolazione e tutti gli altri partiti ci rispettano e si consultano regolarmente con noi. I deputati europei farebbero bene a venire qui e a verificare tutto questo prima di definire "terrorismo" il nostro diritto alla resistenza». Veniamo alla crisi interna libanese. Gli avvenimenti di questa settimana, la vostra imponente manifestazione a Beirut e l'incarico affidato a Omar Karamé, vi vedono come la chiave di volta della situazione. Quali saranno i vostri prossimi passi? «Stiamo valutando se entrare nel governo. Il nostro obiettivo è quello di arrivare alle elezioni di maggio in un clima di maggiore serenità per il paese. Purtroppo l'opposizione non pare ancora disposta a un dialogo costruttivo. Ha sfruttato lo sdegno popolare per l'assassinio di Hariri organizzando manifestazioni contro la Siria e facendole poi apparire come espressione della volontà della maggioranza dei libanesi. Invece il nostro raduno dell'8 marzo ha provato che la fetta più grande della popolazione è grata a Damasco. È arrivato il momento di sedersi tutti intorno a un tavolo, senza i condizionamenti esterni. Abbiamo già vissuto in passato la guerra civile. Hezbollah per questo sottolinea l'importanza del dialogo e chiede all'opposizione di dare il proprio contributo».
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