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Il Manifesto Rassegna Stampa
09.03.2005 Smantellare gli insediamenti è solo un trucco
per il quotidiano comunista Sharon vuole solo espanderli

Testata: Il Manifesto
Data: 09 marzo 2005
Pagina: 6
Autore: Michelangelo Cocco
Titolo: «Stop alle colonie di Sharon»
Un rapporto sugli insediamenti illegali commissionato dal governo israeliano viene usato dal MANIFESTO di mercoledì 9 marzo per un'articolo di propaganda antisraeliana. Fin dall'ambiguo titolo: "Stop alle colonie di Sharon" che sembra alludere a colonie volute da Sharon, cui qualcun'altro (ma chi?) ha imposto uno stop.

A metà dell'articolo, dopo la denuncia delle "iilegalità" commesse da ambienti istituzionali, si scopre che le cose non stanno così.
Michelangelo Cocco cambia allora subito argomento: Sharon rimuoverà le colonie illegali, ma solo per ingrandire quelle esistenti.

Riassumendo: il quotidiano comunista dà notizia di un rapporto che denuncia la politica israeliana di colonizzazione della Cisgiordania. Denuncia, di conseguenza la politica del governo Sharon.
Ma il rapporto, particolare fastidioso, è stato commissionato dal governo stesso che, presumibilmente, cercherà ora di porre rimedio alle illegalità denunciate.
Ecco allora cambiare l'accusa: il rapporto sarà usato "come uno spot" da Sharon, per poter ingrandire indisturbato le colonie legali.

Israele, per il quotidiano comunista, deve essere, anche contro i fatti e la logica, sempre impegnato a "colonizzare" e a "espandersi". Questo perchè gli insediamenti sono presentati nelle pagine di questo giornale, dalla singolare morale, come giustificazione del terrorismo e della violenza palestinesi.

Ecco l'articolo:

Sugli avamposti ebraici «sembra che le violazioni più clamorose della legge siano diventate istituzionali e istituzionalizzate; è come se nessuno sia seriamente intenzionato a far rispettare la legge». «Il processo di allargamento degli avamposti va avanti e lo Stato d'Israele sta finanziando almeno alcuni di questi outpost». L'ultimo atto d'accusa contro la politica di colonizzazione della Cisgiordania da parte del governo israeliano non arriva dai palestinesi, né dalle organizzazioni pacifiste israeliane, ma dallo stesso esecutivo Sharon, attraverso un rapporto commissionato a Talia Sasson, un'avvocatessa che per anni ha seguito per conto del ministero della giustizia le attività di insediamento nei Territori occupati. Principali responsabili di questa situazione, secondo il documento anticipato ieri dalla Reuters, sono il ministero dell'edilizia, l'agenzia d'immigrazione e l'esercito, che hanno finanziato la fondazione degli avamposti, molti dei quali costruiti su proprietà privata palestinese. «La road map stabilisce che Israele debba fermare la costruzione d'insediamenti e smantellare tutti gli outposts creati dal marzo 2001. In caso contrario il processo di pace sarà seriamente danneggiato», ha protestato il capo negoziatore palestinese Saeb Erekat. Secondo quanto anticipato ieri dal quotidiano israeliano Ha'aretz, Sharon annuncerà oggi di essere pronto ad obbedire alle raccomandazioni del rapporto e a smantellare gli avamposti. L'improbabile colomba - come è stato definito qualche settimana fa dal settimanale the Economist - si appresterebbe dunque a trasformare in uno spot le raccomandazioni del rapporto. Smantellare alcuni degli oltre cento avamposti costruiti in questi anni gli permetterebbe di far passare in secondo piano l'allargamento delle oltre 120 colonie (con una popolazione complessiva di 450.000 abitanti, comprese quelle attorno a Gerusalemme) della Cisgiordania.

Intanto poche ore prima d'incontrarsi col ministro della difesa israeliano, Shaul Mofaz, il presidente palestinese, Abu Mazen, ha accusato Israele di non rispettare i suoi impegni e ha dichiarato che il ritiro dalla Striscia di Gaza, che dovrebbe iniziare nel luglio prossimo, «deve essere parte di un ripiegamento generale di Israele da tutti i territori occupati nel 1967». Il successore di Yasser Arafat sta adottando la tattica di obbedire agli obblighi imposti ai palestinesi dalla comunità internazionale e, parallelamente, di denunciare con forza le violazioni israeliane. Ma, per ora, dall'altra parte, non ha ottenuto alcun risultato. L'ultima denuncia di Abu Mazen è arrivata durante l'aperto a Ramallah la decima sessione del Consiglio legislativo palestinese (Clp): «I ritardi israeliani nell'attuare i suoi impegni sono una minaccia a tutto ciò che siamo riusciti a realizzare e danno un pretesto a tutti coloro che sono interessati a sabotare il processo di pace».

Israele ha congelato il promesso trasferimento di cinque città cisgiordane al controllo completo dell' Autorità nazionale palestinese (Anp) e i lavori della commissione per il rilascio di altri quattrocento detenuti palestinesi in seguito all' attentato del 25 febbraio scorso a Tel Aviv (cinque israeliani uccisi). Abu Mazen ha affermato davanti al parlamento che l' Anp è «pienamente pronta ad assumersi le responsabilità di governo nella striscia di Gaza e in tutte le altre aree che Israele abbandonerà». Il nuovo raìs ha avvertito che i palestinesi non accetteranno per nessun motivo un aumento dei coloni negli insediamenti ebraici in Cisgiordania. «Gli israeliani - ha concluso - devono sapere che non accetteremo mai un'intensificazione degli insediamenti in Cisgiordania in cambio del ripiegamento israeliano a Gaza».
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