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Il Foglio Rassegna Stampa
09.03.2005 Onorare Calipari, contrastare i veleni antiamericani
un dramma italiano visto da Daviv Frum

Testata: Il Foglio
Data: 09 marzo 2005
Pagina: 2
Autore: David Frum
Titolo: «In onore di Calipari»
IL FOGLIO di mercoledì 9 marzo 2005 pubblica a pagina 2 un articolo di David Frum sulla morte di Nicola Calipari e sulle strumentalizzazioni antiamericane del tragico incidente.

Ecco il testo:

In primissimo luogo, qualsiasi giornalista che scriva dagli Stati Uniti è tenuto a esprimere il profondo cordoglio di questo paese per la morte di Nicola Calipari. Italia e America sono unite nella lotta al terrorismo: anzi, è il successo italiano nella battaglia contro il terrorismo delle Br che consente a molti di noi, su questo lato dell’Atlantico, di essere ottimisti in merito alla vittoria finale nella guerra contro il terrore globale. In questa guerra, americani e italiani hanno affrontato insieme i pericoli: i terroristi dell’11 settembre inizialmente avevano progettato di colpire, oltre a New York, anche il Vaticano. Americani e italiani hanno condiviso vittorie in Afghanistan e in Iraq. Ora condividono un grande dolore. Nicola Calipari era un vero eroe: coraggioso, onesto e, infine, disposto all’estremo sacrificio. La morte di un eroe dovrebbe essere di ispirazione per coloro che sopravvivono. Per il momento, però, l’uccisione accidentale di Nicola Calipari sembra aver palesato
il peggio sia in Italia sia negli Stati Uniti. Calipari è stato ucciso a un checkpoint americano nei pressi dell’aeroporto di Baghdad. E’ comprensibile che i soldati, divenuti bersaglio di autobombe e dispositivi esplosivi improvvisati, prendano ogni possibile precauzione per proteggersi. Ma i checkpoint hanno lo scopo di proteggere i soldati e solo loro: la sicurezza dei civili iracheni è secondaria. Sicuramente la morte di Calipari spingerà le forze armate statunitensi a un esame di coscienza e a un cambiamento. Tuttavia, c’è da chiedersi perché le innumerevoli vittime irachene non abbiano avuto lo stesso effetto. Gli americani non sono gli unici a dover interrogare la coscienza. A quanto sembra, l’auto di Calipari è finita sotto fuoco perché le autorità italiane non hanno informato la controparte statunitense in merito alla missione del funzionario. Una simile mancanza dipende dal fatto che la missione di Calipari prevedeva trattative di riscatto per la giornalista rapita, Giuliana Sgrena. Gli italiani sanno che gli americani sono fortemente contrari al pagamento di riscatti, quindi hanno pensato che fosse meglio mantenere il riserbo sulle negoziazioni fino a quando la Sgrena e Calipari non fossero stati al sicuro, al di fuori dell’Iraq. Queste procedure italiane hanno messo in pericolo la vita della Sgrena e di Calipari, oltre che di altri civili occidentali in Iraq. Il pagamento di riscatti incoraggia la diffusione dei rapimenti e l’Italia sta permettendo che questa soluzione diventi una cattiva abitudine. Sembra che Silvio Berlusconi, quasi fosse colpevolmente conscio dell’erroneità di una simile pratica, abbia personalmente fornito i fondi per la liberazione delle due volontarie rapite e rilasciate l’anno scorso, attingendo al suo smisurato patrimonio. Questa volta non è chiaro da dove sia arrivato il denaro, ma non ha importanza. Così come per i checkpoint americani, le ragioni che inducono Roma a pagare un riscatto sono comprensibili. La guerra in Iraq non è popolare in Italia. I drammi legati ai sequestri prolungati indeboliscono ulteriormente il sostegno al conflitto. Pertanto, è ovvio che il governo Berlusconi sia spinto a fare il possibile per portare simili vicende a una rapida conclusione. Ma comprendere non significa giustificare. Il tentativo di Berlusconi di raccogliere consensi in favore della guerra pagando segretamente un riscatto per la liberazione della Sgrena ha messo in moto una catena di eventi che sono culminati nell’inutile uccisione di un uomo coraggioso e ammirato, e ha creato un fondamento efficace che ha permesso a una giornalista antiamericana di diffamare gli Usa, il governo italiano e la causa della coalizione in Iraq. La Sgrena accusa gli Stati Uniti di aver preso deliberatamente di mira il suo veicolo. Prima del rapimento, la Sgrena aveva manifestato la propria opposizione alla missione in Iraq. Ma durante la prigionia sembra che la Sgrena abbia sviluppato una vera simpatia per i ribelli, fin quasi ad arrivare a sostenerne la causa. Nei suoi articoli e nelle interviste rilasciate dal momento del rapimento, la Sgrena ha fatto di tutto per umanizzare i rapitori, descrivendone uno come un tifoso di Totti e lodando la cordialità di un altro. Non rivela nulla che possa in qualche modo nuocere alla loro immagine. Ripete i loro slogan sulla "fine dell’occupazione", senza riconoscere che per questi terroristi la "fine dell’occupazione" è un eufemismo per indicare il ripristino di una tirannia omicida sulla refrattaria popolazione dell’Iraq. Questi rapitori sono alleati degli insorti che hanno fatto scoppiare bombe alle cerimonie religiose sciite, uccidendo centinaia di persone? Chi ha ucciso i bambini che stavano prendendo caramelle dai soldati americani? Chi organizza attentati agli ospedali, agli acquedotti, alle centrali elettriche? Chi taglia la testa? Queste domande non interessano alla Sgrena. Né è colpita dal fatto che inIraq si siano tenute elezioni (o, per usare le sue parole, "quelle che loro chiamano elezioni") in cui milioni di iracheni hanno votatoliberamente per la prima volta. Non trae conclusioni dal fatto che quegli elettori hanno ripudiato in massa il terrore e la violenza dei suoi "cordiali" rapitori. Il vecchio Partito comunista italiano può essere morto. Ma, come ci ricorda Sgrena, il comunismo ha lasciato il suo terribile marchio sulla cultura politica della sinistra italiana: la prontezza a sostenere qualunque gruppo antiamericano, indipendentemente dalla sua viltà, la credulità di fronte alla brutalità del Terzo mondo, la volontà di piegare la verità al servizio della "rivoluzione". L’uccisione di Nicola Calipari ha offerto un’opportunità per far riemergere tutti questi vecchi mali nella politica e nei media italiani. Non è il modo migliore per onorare il sacrificio di un uomo bravo e coraggioso.
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