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La Stampa Rassegna Stampa
07.03.2005 Sulla morte di Nicola Calipari e sul sequestro Sgrena il governo e la sinistra non sono chiari
tre domande alle quali dovrebbero rispondere

Testata: La Stampa
Data: 07 marzo 2005
Pagina: 4
Autore: Lucia Annunziata
Titolo: «Tre domande al governo e alla sinistra»
Da LA STAMPA di lunedì 7 marzo 2005 riportiamo l'artcolo di Lucia Annunziata "Tre domande al governo e alla sinistra":
Sono, notoriamente, una simpatizzante degli Stati Uniti. Anche a costo, dunque, di sembrare una pro-amerikana con la k, devo dire che, accanto alle giuste domande che si fanno a Washington in queste ore, se ne profilano tre che invece sono tutte indirizzate a Roma: due per il governo e una per la sinistra italiana.

Perché l’ostaggio appena liberato non è stato messo subito in sicurezza? Perché la macchina dei liberatori non si è immediatamente rifugiata dove era più naturale andare, cioè all’ambasciata italiana, che è per altro anche l’unico ufficiale centro di collegamento con gli americani? Che scelta è quella di portare di corsa all’aeroporto, al buio, una donna esausta, per altro in macchine civili, con a bordo gente in abiti civili, cioè senza nessuna indicazione di ufficialità? L’Iraq pullula di strutture italiane, molte delle quali - come i carabinieri - sono addette a tempo pieno al trasporto di italiani (inclusi i giornalisti) all’aeroporto. Un viaggio di mattina non sarebbe stata la scelta più logica? Qual è la ragione di tanta fretta? Perché la Sgrena doveva tornare la notte stessa? Non certo per i familiari, a cui la notizia della sua liberazione, e una sua telefonata, sarebbero ben bastati. Devo dire che non c’è nessuna ragione nemmeno per sospettare il governo: in questo caso l’elemento «protagonismo mediatico» non c’era, visto che la Sgrena sarebbe arrivata in piena notte. Allora perché fare questo azzardo? Chi lo ha scelto e chi lo ha approvato?

[]2 E’ stato pagato un riscatto? E’ ora di avere una risposta ufficiale. Basta con la politica dello struzzo. A questo punto infatti la continuità dei nostri rapimenti hanno trasformato quella che era una scelta eccezionale e di emergenza in una vera e propria politica. Con due conseguenze: quella di avere oggi una posizione diversa da tutti gli altri Paesi presenti in Iraq, e quella di costituire un vero e proprio finanziamento per la guerriglia. Secondo un calcolo a spanne fatto privatamente da fonti governative, l’Italia ha dato alla guerriglia sunnita circa 15 milioni di dollari, dalla liberazione dei primi quattro, passando per le Simone, fino alla Sgrena: quante armi e quante operazioni può fare con tanti soldi quella guerriglia sunnita che, ricordiamo, non solo resiste agli americani, ma ha rapito la Sgrena, ha ucciso ostaggi, uccide gli sciiti, e i nostri soldati a Nassirya? Tutto questo in un Paese dove lo Stato ha fatto di tutto nel suo passato per non trattare con i terroristi: senza citare Moro, ci basti pensare a tutte le famiglie di sequestrati che non hanno visto mai più i loro cari in nome della fermezza.
Se questa è la situazione, non solo non possiamo lamentarci dell’irritazione degli americani, ma dobbiamo assumere di questa politica tutte le conseguenze: o ci si ritira davvero, o si annuncia che si è pagato e non lo si farà più. Succeda quel che succeda ai giornalisti o ai soldati in futuro.

[]3Infine, una domanda a Pier Scolari che con chiarezza accusa gli americani (e una parte della sinistra sembra esserne convinta con lui) di aver progettato l’assassinio della giornalista: che informazioni ha che noi non abbiamo? Scolari è un uomo che in queste settimane ha meritato l’amore di tutta Italia per la dolcezza, persino la leggera ironia, con cui ha portato la sua pena. E ha orientato così l’opinione pubblica. Oggi dunque ha un ruolo pubblico e non può nascondersi che questa sua accusa cade come un cerino nella polveriera di emozioni italiane; soprattutto a fronte del fatto che, invece, i rapitori della Sgrena non sono stati accusati di identiche intenzioni. Ha il dovere dunque di chiarire: ci dica tutto. Perché sui sospetti non si fa politica nazionale, tantomeno internazionale.
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