Le vittime israeliane non hanno mai un nome la strage di Tel Aviv raccontata dal quotidiano napoletano
Testata: Il Mattino Data: 28 febbraio 2005 Pagina: 7 Autore: un giornalista - Francesca Fraccaroli - Michele Giorgio Titolo: «Sharon: "Arrestateli o stop alla tregua" - Premere troppo sull’Anp non aiuta la pace - Damasco: "La strage? Mani israeliane" - La madre del kamikaze: "Avrei voluto fermarlo - Strage di Tel Aviv, Israele accusa la Siria»
IL MATTINO di lunedì 28 febbraio 2005 pubblica a pagina 7 l'articolo "Sharon: "Arrestateli o stop alla tregua" ". Il quotidiano napoletano non cita la rivendicazione del dirigente della Jihad islamica Khaled al Batesh, che smentisce i dubbi sulla matrice dell'attentato espressi dall'Anp. Gerusalemme. Dopo la strage di Tel Aviv di tre giorni fa (quattro morti e una cinquantina di feriti) che ha interrotto la tregua, Israele preme su Abu Mazen e minaccia di bloccare la «road map», il percorso di pace che l’8 febbraio scorso a Sharm el Sheikh era stato rispolverato durante il vertice per la ripresa delle trattative. Il premier israeliano Sharon fa sapere che verrà «ripensata» la scarcerazione dei detenuti palestinesi, concordata nelle settimane scorse, mentre potrebbero ricominciare gli «assassinii mirati» di militanti palestinesi. «Se l’infrastrattura terroristica non sarà smantellata - ha ribadito Sharon, di fronte alle telecamere - non ci sarà alcun progresso politico». La pressione sul neo-governo palestinese è fortissima. Il ministro della Difesa israeliano Shaul Mofaz ha consegnato al presidente palestinese Abu Mazen una lista di persone sospettate di coinvolgimento nell’attentato di Tel Aviv, chiedendo che vengano arrestate. Una mossa che mira a mettere alla prova il presidente, ma che rischia anche di metterlo in difficoltà. Anche perché il governo palestinese - che ha subito condannato l’attentato - mostra molti dubbi sulla responsabilità della Jihad islamica, che è una delle organizzazioni che si è impegnata ad attuare la tregua: la strage potrebbe essere stata commessa da una cellula indipendente, una «scheggia impazzita» che non obbedisce a nessuno. La videocassetta del kamikaze Abdallah Badran, mostrata l’altro ieri dalla tv Al Jazira, non ha convinto i dirigenti palestinesi: sia per la sua fattura non professionale, sia per il contenuto della lettera di addio (molto dissimile da documenti analoghi), sia per le parole utilizzate da Badran. «Tutti sono capaci a stendere un vessillo della Jihad islamica su un muretto e a riprendere un giovane col fucile», ha notato un opinionista palestinese.In serata tuttavia un sito Internet di Hamas ha riportato le parole di un dirigente della Jihad islamica, Khaled al-Batesh, secondo cui proprio le Brigate Al Quds (braccio armato della sua organizzazione) hanno compiuto quell'attentato, e Badran ne era un membro. Al-Batesh ha poi spiegato che se Israele «proseguirà le sue aggressioni» contro i palestinesi, ci saranno altri «attacchi di commando». Se invece si asterrà, anche la Jihad islamica osserverà il periodo di tregua annunciato al vertice di Sharm el Sheikh. Israele sta anche organizzando una campagna internazionale per convincere l'opinione pubblica della fondatezza delle accuse contro la Jihad e contro la Siria. Ma proprio ieri i siriani hanno respinto le accuse: lo ha fatto il ministro degli Esteri Ahmed Abul Gheit, che si trova al Cairo. Francesca Fraccaroli, nel pezzo «Premere troppo sull’Anp non aiuta la pace», intervista il ministro palestinese Ghassan Khatib per il quale, come recita il sottotitolo "procedere ad arresti indiscriminati non è la strada giusta". Gli arresti richiesti non sono indiscriminati: Israele ha indicato 15 membri di un'organizzazione terroristica, la Jihad islamica, che accusa di essere convolti nella strage di Tel Aviv. La scelta di intervistare acriticamente il ministro della giustizia palestinese conferma comunque che, per il quotidiano napoletano, come per moltri altri media italiani, qualsiasi risposta di Israele al terrorismo è sbagliata: sono sbagliate le uccisioni mirate, è sbagliato catturare i terroristi rioccupando le città palestinesi, è sbagliato costruire la barriera difensiva, è sbagliato chiedere che i terroristi vengano arrestati dai palestinesi. Se si limitassero a farsi uccidere gli israeliani avrebbero finalmente la solidarietà che è loro negata come vittime del terrorismo?
Ecco l'articolo: Gerusalemme. La decisione del governo Sharon di bloccare il processo politico in corso sino a quando i palestinesi non adotteranno misure concrete contro i gruppi armati, è stata accolta con delusione dall'Autorità Nazionale del presidente Abu Mazen. Ne abbiamo discusso con il ministro palestinese per la Pianificazione, Ghassan Khatib. Responsabile del dicastero del Lavoro nel precedente governo, Khatib ha un passato di giornalista ed analista politico. Il premier israeliano Sharon si attende dal presidente Abu Mazen azioni decise contro i militanti dell'Intifada armata e in attesa che ciò avvenga ha di fatto congelato gli sviluppi politici in corso, a cominciare dall'annunciato ritiro delle truppe dello Stato ebraico da quattro città della Cisgiordania. Cosa ne pensa? «Questo passo israeliano non fa gli interessi né di Israele né dei palestinesi. Il concetto di punizioni collettive imposte a tutti i palestinesi, con il pretesto della sicurezza, contribuisce soltanto a deteriorare ulteriormente la situazione. In questo modo si ottengono risultati opposti a quelli desiderati. L'Anp è attualmente impegnata a riportare condizioni di vita normali nei Territori e a rivitalizzare l'economia palestinese, allo scopo di dimostrare alla popolazione che la via del negoziato con Israele è preferibile a quella della violenza. Contemporaneamente è in corso un processo di riorganizzazione delle nostre forze di sicurezza. Stiamo cercando di fare la nostra parte, ma la decisione di Sharon non ci aiuta». Lo Stato ebraico però ha rivisto di nuovo lo spettro degli attentati suicidi: di fronte a ciò gli israeliani fanno fatica a credere nel processo di pace. Israele vi ha presentato un elenco di ricercati palestinesi, li arresterete? «Mi rendo conto delle preoccupazioni dei cittadini israeliani e del fatto che hanno bisogno di potersi fidare dei palestinesi. Tuttavia non credo che mettendo il presidente Abu Mazen nell'angolo si producano risultati positivi per la causa della pace che sta a cuore ad entrambi i popoli. Avviare una campagna repressiva, di arresti indiscriminati nei Territori farebbe semplicemente riesplodere la situazione e crollare definitivamente la tregua che abbiamo raggiunto nelle scorse settimane. Abu Mazen vuole mettere fine alle violenze e risolvere problemi che si trascinano da tempo ma è costretto a muoversi su un terreno molto insidioso. Di ciò gli israeliani devono rendersi conto». A suo avviso l'attentato suicida di Tel Aviv ha messo fine al processo di riconciliazione partito timidamente a Sharm el Sheikh? «Le possibilità di successo del negoziato rimangono intatte. È importante però che le due parti siano consapevoli della difficoltà che potranno incontrare in futuro e dell'obiettivo da raggiungere, ovvero la nascita di uno Stato palestinese indipendente accanto a Israele». Non potevano mancare le vergognose accuse siriane, che IL MATTINO, senza ritegno, pubblica, con un titolo dal quale è scomparso lo scetticismo riservato alle accuse israeliane alla Jihad "Damasco: "La strage? Mani israeliane":
"Noi non c'entriamo". La Siria respinge le accuse israeliane di avere responsabilità nel recente attacco di Tel Aviv nel quale sono morte quattro persone e decine sono rimaste ferite, e ribalta l'accusa, non escludendo il coinvolgimento di Israele. " La velocità con la quale Mofaz (il ministro della Difesa israeliano) ha accusato la Siria - ha affermato il ministro degli Esteri siriano, Faruq El Sharaa - mostra che conosce l'autore di questa operazione e , amio avviso, sa che si trova in Israele, anche se io non voglio lanciare accuse contro nessuno. Mani israeliane sono all'origine di questo attentato per ditruggere l'unità nazionale palestinese". Domenica 27 febbraio 2005 spicca sul quotidiano napoletano l'articolo "La madre del kamikaze: "Avrei voluto fermarlo". Ancora una volta le uniche storie che IL MATTINO ritiene opportuno raccontare sono quelle dei terroristi palestinesi. Un intero articolo e ben due foto per il terrorista che venerdì ha portato la morte tra i giovani di Tel Aviv. Niente, invece, per i sogni e i progetti infranti delle vittime israeliane; non si legge il loro nome e la loro età, non si vede il loro volto; niente da scrivere nemmeno sul dolore e le storie delle famiglie delle vittime. Addirittura l'articolo si conclude con un passaggio che presenta Israele come uno Stato fuorilegge e crudele. Ecco il testo: Gerusalemme. C’è anche la tragedia di una madre palestinese dietro l’attacco suicida dell’altra sera costato la vita a quattro israeliani. «Se avessi saputo quello che voleva fare, se avessi conosciuto le sue intenzioni, lo avrei certamente fermato», dice tra le lacrime Rashida Badran, 53 anni, la mamma del giovane kamikaze che si è fatto esplodere sul lungomare di Tel Aviv. «Invece in mio figlio Abdallah non avevo notato niente di sospetto - aggiunge la donna - Venerdì mattina, di buon'ora, si è limitato a dire che sarebbe andato a trovare un amico e non sarebbe rientrato per pranzo». La scorsa notte il villaggio cisgiordano di Deir Ghusun, alle porte di Tulkarem, è stato svegliato dall'ingresso di ingenti reparti dell'esercito israeliano decisi a stabilire se il responsabile dell'attentato di Tel Aviv avesse avuto sostegni ed appoggi fra i suoi vicini. Dopo aver posto il villaggio sotto coprifuoco, i soldati per diverse ore sono passati di casa in casa ed hanno interrogato gli abitanti. Hanno compiuto anche diversi arresti, fra cui quello dell'imam della moschea locale. Madre di dieci figli, Rashida ha dunque visto ieri mattina l'arresto da parte dei militari di Said e Mohammed, due dei fratelli di Abdallah. Il giovanissimo kamikaze aveva appena 21 anni. Studente universitario, era noto nel villaggio per le sue simpatie per la Jihad islamica. All'inizio dell'Intifada anche un suo cugino, Rami Motlak, si era immolato con un ordigno nella città israeliana di Natanya (a nord di Tel Aviv), dove aveva ferito decine di passanti. Quell'attentato terroristico era stato rivendicato dalla Jihad islamica. La famiglia Badran è considerata invece una sostenitrice di Al-Fatah e della politica di conciliazione perseguita dal presidente Abu Mazen. In queste ore, riferiscono fonti dal villaggio dove vivono i Badran, c'è grande tensione perché i genitori del kamikaze temono che la loro abitazione possa essere presto rasa al suolo dell'esercito israeliano. Questa è, infatti, la prima misura di rappresaglia (condannata a livello internazionale) che Israele adotta contro le famiglie dei kamikaze. Aiutati dai vicini, i familiari delll’attentatore suicida hanno già provveduto a sgomberare le masserizie. E restano in attesa. Riportiamo anche la fredda cronaca di Michele Giorgio "Strage di Tel Aviv, Israele accusa la Siria": Gerusalemme. In Israele ieri si piangevano le quattro vittime dell’attentato di venerdì a Tel Aviv. Un’azione suicida sul lungomare della città, che ha riportato alla memoria altri sanguinosi attacchi-kamikaze avvenuti in quella stessa zona negli anni passati. L’accaduto è stato ancora più devastante poiché ha drammaticamente posto fine ad un periodo di calma relativa e alla speranza, alimentata dal recente vertice di Sharm El-Sheikh, che il conflitto tra israeliani e palestinesi fosse finalmente giunto alla sua conclusione. Ora traballa la tregua proclamata dalle due parti l’8 febbraio nel Sinai, tra strette di mani e sorrisi. Il futuro si annuncia nuovamente incerto. La rivendicazione dell’attentato è giunta in serata quando, prima un portavoce della Jihad islamica a Damasco e poi un rappresentante locale dell’organizzazione hanno comunicato, attraverso un video, che la tregua era terminata perché «Israele non ha rispettato i suoi impegni». Alla condanna netta dell’attacco da parte del presidente palestiese Abu Mazen, sono seguite le esortazioni di Israele all’Autorità nazionale palestinese (Anp) «a smantellare senza ulteriori indugi le strutture del terrore». Il premier israeliano Sharon tuttavia ha reagito con moderazione e al ministro della Difesa Mofaz ha fatto capire che una ritorsione militare, in questo momento, non è necessaria. Il primo ministro attende in realtà gli esiti della Conferenza di Londra (1 marzo), quando i rappresentanti di 25 Paesi, dell’Onu e dell’Unione Europea metteranno alle strette Abu Mazen proprio sulle questioni di sicurezza e sulle riforme nell’Anp. È prossimo inoltre il ritorno in zona dell’inviato statunitense, il generale William Ward, incaricato dal segretario di Stato Condoleezza Rice. Ma ieri sera Mofaz ha allargato il raggio delle accuse israeliane chiamando in causa anche la Siria che, a suo dire, avrebbe responsabilità gravi e dirette nell’accaduto. «Noi disponiamo di prove che collegano direttamente la Siria a questo attacco», ha detto Shaul Mofaz. La rivendicazione della Jihad islamica non ha convinto tutti e non pochi ieri si sono domandati chi c’è realmente dietro un attentato volto a far fallire il cessate il fuoco e a far deragliare la possibile ripresa del negoziato. Abu Mazen ha accusato una «parte terza», senza fare nomi, allundendo al movimento guerrigliero libanese Hezbollah che, secondo alcune fonti, controllerebbe cellule armate palestinesi in Cisgiordania. Hezbollah però ha negato di essere responsabile dell'attentato di Tel Aviv e la rivendicazione della Jihad islamica, sebbene giunta dall’estero, pone Abu Mazen di fronte ad una nuova difficoltà. Deve mettere in conto la probabile esistenza di cellule di questa organizzazione, e forse anche di altre, che non ascoltano più gli ordini dei loro leader politici di rispettare il cessate il fuoco e che appaiono pronte a tutto pur silurare le sue iniziative diplomatiche. Il presidente palestinese in ogni caso ha promesso di colpire i responsabili. I servizi di sicurezza dell’Anp ieri hanno proceduto all'arresto di militanti islamici sospettati di complicità nell’attacco suicida. Al governo israeliano però non basta e la pressione, anche internazionale, su Abu Mazen è destinata a crescere. «Abu Mazen e i vertici dell'Anp non possono far altro che agire con determinazione, facendo uso anche del pugno di ferro - ha previsto l'analista palestinese Issam Nassar - È concreta la possibilità che qualcuno stia lavorando dietro le quinte per sabotare il tentativo del presidente di rilanciare i negoziati con Israele. Di fronte ad una congiura del genere, Abu Mazen si toglierà i guanti di velluto di cui ha fatto uso sino ad oggi con i gruppi dell'Intifada armata». A questo punto tutti guardano al generale Nasser Yusef diventato, tre giorni fa, il nuovo ministro dell’Interno palestinese. Uomo dalla forte personalità, Yusef ha l’incarico di riorganizzare i servizi di sicurezza dell’Anp e di renderli operativi nella lotta contro i militanti dei gruppi più estremisti.
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