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Corriere della Sera Rassegna Stampa
24.02.2005 Sergio Romano conferma: per lui Israele è come l'Arabia Saudita e gli ebrei sono "troppo potenti"
la rubrica delle lettere affidata all'ex ambasciatore è ormai diventata un'antologia di attacchi a Israele e agli ebrei

Testata:Corriere della Sera
Autore: Sergio Romano
Titolo: «Terra e sangue: la doppia legittimità dello Stato d'Israele»
Sergio Romano colpisce ancora.
Sul CORRIERE DELLA SERA di giovedì 24 febbraio 2005, rispondendo alla lettera critica di un lettore, l'ex amabsciatore ribadisce le sue incredibili affermaazioni circa la somiglianza di Israele all'Arabia Saudita ( e alla "Germania romantica") e sul "potere ebraico".
Romano, addirittura, parla di "terra e sangue ", un'espressione che, oltre al romanticismo politico, richiama immediatamente il nazismo, come fondamento della legittimazione politica di Israele.
Fondamento rafforzato dalla rivendicazione di un "titolo di proprietà imprescrittibile: le parole con cui Dio dette a Mosè la Terra promessa", che appunto avvicinerebbe Israele anche all'Arabia Saudita.

Romano dimentica, naturalmente, cose molto importanti: anzitutto che in Israele i diritti di tutti i cittadini sono rispettati indipendentemente dalla religione e dall'origine.
Altrettanto non si può dire dell'Arabia Saudita: E' vero che Romano precisa "sto confrontando criteri di legittimità, beninteso, non regimi politici", ma non è chiaro quanto questa differenza sia importante per lui.
Romano trova che un'analogia tra Israele e l'Arabia Saudita sia una presunta legittimazione religiosa. Riconosce che tra i regimi politici c'è una bella differenza, ma trova l'analogia più importante, più interessante e più utile delle differenze.
Per altro, l'analogia non tiene: per la dichiarazione d'indipendenza di Israele lo Stato sorge nella "terra d'origine" degli ebrei, non nella terra promessa da Dio. Inoltre ebrei sono smpre vissuti, in modo continuativo, in terra d'Israele
Il fondamanto della legittimità del possesso della terra è dunque storico e laico, non religioso.
In quanto al "sangue": anche la Germania del dopoguerra, per fare un esempio, ha legato l'acquisizione della cittadinanza alla discendenza, ma nessuno l'ha mai considerata uno "stato nazionalreligioso", una creazione in controtendenza con la modernità.
Va poi ricordato che gli "Stati moderni" di cui parla Romano non seppero affatto garantire eguali diritti a "donne e uomini di origini e credenze religiose diverse". Il sionismo nacque proprio dalla constatazione, fatta da Theodor Herzl durante il processo Dreyfus che la cittadinanza degli ebrei negli stati europei era minacciata dall'antisemitismo, e revocabile.
Lo Stato di Israele garantisce diritti di cittadinanza a tutti gli ebrei che lo chiedano, ma anche agli arabi e alle altre minoranze che vivono sul suo territorio.

Assolutamente inaccettabile, infine, è la frase di Romano sul "potere" degli ebrei che susciterebbe "gelosia, dispetto, antipatia" e manifestazioni di ostilità che non sarebbero assimilabili all'antisemitismo.
Il quale però si è sempre alimentato dell'accusa agli ebrei di essere troppo "potenti".
Accusa falsa, perchè gli ebrei non agiscono come un gruppo compatto guidato da un'identità di interessi, per cui contare gli ebrei che occupano posizioni di prestigio o di potere è un'operazione senza senso, e ingiusta, perchè presuppone che a un ebreo, in quanto tale, debbano essere precluse quelle posizioni che in una società libera sono raggiungibili da tutti: "donne e uomini di origini e credenze religiose diverse", secondo i loro meriti e la loro fortuna.

Di seguito, il testo della lettera e quello della risposta:

Mi dicono che in occasione della presentazione di un libro lei ha confrontato Israele all'Arabia Saudita. E la stessa persona ha aggiunto che lei avrebbe parlato della forte presenza ebraica in alcuni settori importanti della società, dalla finanza alla cultura e alla comunicazione. Ma Israele, a differenza dell'Arabia Saudita, è una grande democrazia. E i cenni alla presenza ebraica nei centri del potere ricordano certe vecchie e pericolose favole sull'esistenza di una Internazionale ebraica. Come risponde a queste osservazioni? Cesare Fontana, Milano

Caro Fontana, due parole anzitutto sul libro che ho presentato a Milano, con Piero Gelli, suo traduttore italiano. S'intitola « La prigione ebraica » , è stato pubblicato da Baldini Castoldi Dalai Editore, ed è opera di un intellettuale francese, Jean Daniel, che ha fondato Le Nouvel Observateur ed è da alcuni decenni il suo principale editorialista. Daniel è un ebreo di Algeria, membro di quella comunità sefardita che giunse in Nord Africa dalla Spagna intorno al 1492 ed ebbe la cittadinanza francese dalla III Repubblica dopo il crollo del II Impero. E' laico, non riesce a credere in Dio ( un suo libro s'intitola « Saggio su una religiosa incapacità di credere » ) e soprattutto non crede nella elezione del popolo ebraico. Ma è sempre rimasto fedele all'identità storica che ha ereditato dalla sua famiglia. Questa fedeltà non gli ha impedito tuttavia di avere in passato, sulla questione palestinese, posizioni assai diverse da quelle del governo israeliano e non gli impedisce di lamentare ora l'esistenza di una « prigione ebraica » in cui un certo ebraismo si è deliberatamente rinchiuso. Tutto il suo libro è dominato dalla speranza che esso esca da questa prigione e ritrovi la sua vocazione universale. Abbiamo parlato quindi, come era inevitabile, d'Israele. Per parte mia ho osservato che lo Stato ebraico, annunciato da Theodor Herzl alla fine dell'Ottocento, rappresenta, rispetto agli Stati moderni, una creazione in controtendenza. Mentre gli altri sono Stati della cittadinanza, composti da donne e uomini di origini e credenze religiose diverse, uniti soltanto da vincoli civili e costituzionali, Israele è uno Stato nazionalreligioso. Mentre la legittimità degli altri è fondata sulla Costituzione, quella di Israele è fondata sui principi del romanticismo politico tedesco: la terra e il sangue. Vi è certamente, rispetto alla Germania, una importante differenza: mentre le tribù tedesche abitano da molti secoli uno stesso territorio, gli ebrei perdettero la loro terra quasi duemila anni fa. Ma gli ebrei rivendicano un titolo di proprietà imprescrittibile: le parole con cui Dio dette a Mosè la Terra promessa. E' questa la ragione per cui mi è parso possibile affermare che lo Stato d'Israele si colloca a metà strada tra la Germania e l'Arabia Saudita, uno Stato, quest'ultimo, che fonda la propria legittimità su una missione politico religiosa: la custodia di due dei tre maggiori luoghi santi dell'Islam. Sto confrontando criteri di legittimità, beninteso, non regimi politici. Il cenno alla importante presenza di ebrei in alcuni settori cruciali della società moderna trae spunto, invece, da un passaggio del libro in cui Daniel scrive che gli ebrei « hanno ritrovato a Gerusalemme, a New York e a Parigi il loro " antico splendore" » . Sono presenti, continua Daniel, « in tutti i luoghi del potere e della creazione e provocano nelle altre comunità un'ammirazione che presto si trasforma in cupidigia. Oltre a ciò, hanno monopolizzato interesse e pietà per tutto quello che hanno dovuto sopportare durante la Shoah » . Mi è parso che avesse ragione e ho aggiunto, per parte mia, che certe manifestazioni di ostilità, a cui abbiamo assistito in questi anni, assomigliano all'antiamericanismo più di quanto non assomiglino all'antisemitismo. Il potere, ahimé, suscita sempre gelosia, dispetto, antipatia.
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