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Il Manifesto Rassegna Stampa
23.02.2005 Gli arabi rompono il fronte del rifiuto: il quotidiano comunista grida al tradimento
con Israele non si può parlare

Testata: Il Manifesto
Data: 23 febbraio 2005
Pagina: 11
Autore: Michele Giorgio
Titolo: «Media arabi, in onda la»
"In casa è stato messo alla corde dalla potente lobby dei coloni e dalla destra estrema che minacciano di far cadere il governo, nel mondo arabo invece il premier israeliano Ariel Sharon continua a conseguire importanti successi diplomatici": così inizia l'articolo di Michele Giorgio a pagina 11 del MANIFESTO di mercoledì 23 febbraio 2005.
Per il cronista del quotidiano comunista la ripresa di normali relazioni diplomatiche tra Israele e i paesi arabi è un'eventualità infausta. D'altro canto le vittorie politiche di Sharon, che è riuscito a far approvare le sue scelte da governo e parlamento israeliani diventano sconfitte.
Alla "colomba" Sharon, lo ha scritto più volte, Giorgio proprio non crede. "Sul terreno", infatti "i segnali inquietanti non cessano". Quali segnali? Questa volta non si tratta né di scontri né di inesistenti "nuove colonie".
Si tratta semplicemente della nomina a capo di stato maggiore di Dan Halutz il quale "suscitò forte sdegno nell'estate del 2002 quando - in seguito a un bombardamento aereo su Gaza che uccise oltre ad un capo di Hamas numerosi bambini e fece 150 feriti tra i civili palestinesi - dichiarò di «dormire bene la notte".
Le uccisioni mirate sono state condotte da Israele contro terroristi coinvolti a vario titolo nella preparazione di attentati, con attenzione a non colpire la popolazione civile palestinese, ma anche con la preoccupazione prioritaria di proteggere quella israeliana, atteggiamanto che ogni Stato è tenuto ad avere verso i suoi cittadini.
Non si vede dunque come la nomina di Halutz possa rappresentare, in virtù delle sue dichiarazioni, un "segnale inquietante".
Ancor meno comprensibile è l'idea che questo generale possa "tentare operazioni destabilizzanti in Medio Oriente, come un bombardamento delle centrali atomiche in Iran", par di capire senza l'assenso del potere politico.
In realtà, la preoccupazione del quotidiano comunista è una sola: che in Medio Oriente si ricominci a parlare e che Israele cessi di essere considerato da alcuni stati arabi e da una parte della comunità internazionale uno stato paria.
Precisamente la cultura politica degli squadristi rossi di Firenze.

Ecco l'articolo:

In casa è stato messo alla corde dalla potente lobby dei coloni e dalla destra estrema che minacciano di far cadere il governo, nel mondo arabo invece il premier israeliano Ariel Sharon continua a conseguire importanti successi diplomatici. L'uomo che nelle capitali della regione fino a qualche tempo fa veniva ricordato per le sue responsabilità nel massacro di migliaia di palestinesi a Sabra e Shatila (nel 1982), ora viene considerato un «partner» di pace. Sharon inoltre sta avendo un inedito accesso ai media egiziani. Intervistato di recente dal quotidiano Al-Ahram, ha smentito di essere un guerrafondaio e ha affermato di cercare la pace. Tutto ciò mentre sul terreno ben poco è cambiato e i diritti palestinesi rimangono irrealizzati. Seguendo la Giordania anche l'Egitto invierà, dopo quattro anni, un ambasciatore, Mohamed Assem Ibrahim, a Tel Aviv. Inoltre, dopo l'evacuazione delle colonie di Gaza, afferma il ministro degli esteri Sylvan Shalom, almeno dieci Stati arabi sarebbero pronti ad aprire proprie sedi diplomatiche in Israele dopo il completamento del piano di ritiro israeliano dalla Striscia di Gaza e da quattro colonie nel nord della Cisgiordania. Il capo della diplomazia israeliana ieri alla Knesset ha spiegato che è tutto merito del «rinnovato clima di fiducia» verso Tel Aviv dopo i recenti progressi con l'Autorità nazionale palestinese. Le sue dichiarazioni trovano conferma nei contatti diplomatici con il governo Sharon avviati di recente da alcuni paesi del Golfo, come gli Emirati arabi uniti. Sul terreno tuttavia i segnali inquietanti non cessano. Proprio Sharon, in accordo con il ministro della difesa Shaul Mofaz, ha nominato il controverso generale Dan Halutz alla carica di capo di stato maggiore. Halutz, che è stato comandante dell'aviazione, Halutz aggiunse al quotidiano Haaretz che «dal punto di vista professionale, e anche a posteriori, quella (il bombardamento, ndr) era stata la decisione migliore». Parlando della propria esperienza personale di pilota, disse che chi è alla guida di un jet militare quando sgancia una bomba «avverte appena un piccolo colpo alle ali. Poi la sensazione passa». La pacifista Shulamit Alloni ha avvertito che Halutz potrebbe tentare operazioni destabilizzanti in Medio Oriente, come un bombardamento delle centrali atomiche in Iran.

Sul fronte palestinese intanto si registra la cocente sconfitta politica subita dal premier Abu Ala che, su pressione della maggioranza del parlamento, è stato costretto a formare un governo molto diverso da quello che aveva presentato lunedì. Dopo una notte di consultazioni nel partito Al-Fatah, ieri Abu Ala si è presentato in aula per annunciare che della squadra di governo faranno parte «soprattutto tecnocrati». «Il parlamento ha riacquistato la sua centralità - ha commentato Hanan Ashrawi, storica portavoce palestinese ed attivista dei diritti umani - poiché ha proclamato in modo chiaro che i ministri devono dimostrare di saper governare bene, in nome dell'interesse della popolazione». Della lista dei 24 ministri che verrà presentata oggi in parlamento per il voto di fiducia, faranno parte solo tre deputati. Due sono il ministro degli esteri uscente Nabil Shaath, che avrà l'incarico di vicepremier, e il ministro per i negoziati Saeb Erekat. Il terzo è Dalal Salameh, una militante di Al-Fatah del campo profughi di Balata (Nablus), che prenderà il posto della controversa Intissar Wazir, rimasta per dieci anni al ministero degli affari sociali. Al dicastero degli esteri andrà il rappresentante palestinese all'Onu, Nasser Qidwa (nipote del presidente scomparso Yasser Arafat).

Tra i riconfermati c'è il ministro delle finanze Salam Fayad, un ex funzionario del Fondo monetario internazionale. Le due novità più rilevanti sono il generale Nasser Yusef, destinato al ministero degli interni e incaricato di riformare i servizi di sicurezza, e l'«uomo forte» di Gaza Mohammed Dahlan, un alleato del presidente Abu Mazen che in qualità di ministro di stato avrà contatti con gli israeliani su temi riguardanti la sicurezza.
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