Liberati 500 detenuti palestinesi, non i condannati per reati di sangue, come invece vorrebbe l'Anp mentre per una cronaca imprecisa sono "le donne e i bambini" l'oggetto del contendere
Testata: La Repubblica Data: 22 febbraio 2005 Pagina: 9 Autore: Daniele Mastrogiacomo Titolo: «Israele, Sharon apre le celle dei palestinesi»
LA REPUBBLICA di martedì 22 febbraio 2005 pubblica a pagina 9 una cronaca di Daniele Mastrogiacomo sulla liberazione di 500 detenuti palestinesi. Mastrogiacomo è più corretto di Stabile, ma i suoi pezzi non sono esenti da difetti. In questo articolo non chiarisce che la richiesta palestinnese, che Israele rifiuta di soddisfare, è la liberazione dei detenuti per reati di sangue. Si concentra invece sul fatto che non sono stati liberati donne, "bambini" (adolescenti) e detenuti da prima dell'accordo di Oslo. Anche nella descrizione dei contrasti nel parlamento palestinese le informazioni che fornisce sono incomplete. L'opposizione non si è infatti limitata a contestare la nomina di Youssef e Dahlan, ma ha anche chiesto la sostituzione della leadership arafattiana, per via della sua corruzione. Mai denunciata con forza, prima della morte del raìs, dalla maggior parte dei quotidiani italiani.
( a cura della redazione di IC)
Ecco l'articolo: Nuova, brusca accelerata nel processo di pace in Medio oriente. Mentre George W. Bush parla a Bruxelles e annuncia all´Europa la sua priorità per la «creazione di due Stati vicini ma divisi da solidi confini», Israele libera 500 dei 900 detenuti palestinesi promessi nell´ultimo vertice di Sharm el Sheikh. Gli altri 400 verranno rilasciati nei prossimi tre mesi. Non è molto, rispetto agli 8000 mila prigionieri che ancora giacciono nelle carceri dello Stato ebraico. Ma è già qualcosa. Il governo di Abu Mazen protesta e giudica «offensivo» il rilascio. Non tanto per il numero, ma per il tipo di detenuti che non comprende né donne né bambini, ma soprattutto i 237 militanti palestinesi arrestati prima degli accordi di Oslo nel 1993. Abdel Razeq, l´esponente dell´Anp che si occupa del tema dei detenuti, non nasconde la sua delusione. «Gli israeliani», commentava ieri, mentre una folla festante di parenti accoglieva i 500 rilasciati, «non capiscono che la questione di prigionieri politici è di cruciale importanza. Sono i nostri soldati, i nostri eroi, non possiamo lasciarli marcire dietro le sbarre. Se non saranno rimessi presto in libertà tutti quanti, si rischia di innestare una situazione molto pericolosa». La maggioranza dei detenuti rilasciati ieri mattina è di Al Fatah, il partito di Abu Mazen e di Yasser Arafat. Tra loro ce ne sono un centinaio di Hamas e della Jihad islamica. Ma si tratta, più che altro, di palestinesi condannati per reati minori. Gente che non ha ucciso alcun israeliano ma che è stata arrestata per azioni dimostrative contro i soldati di Israele o riconosciuta colpevole di aver partecipato a progetti di attentati poi sventati dai servizi di intelligence. Ariel Sharon è costretto ad una politica di piccoli passi. La decisione di portare avanti il piano di disimpegno da Gaza, con lo smantellamento di 21 insediamenti e l´evacuazione di 8 mila coloni, ha già prodotto una lacerazione con cui lo Stato ebraico dovrà fare i conti nei prossimi sei mesi. Liberare subito tutti i detenuti palestinesi significa alimentare una tensione che il nuovo governo del premier non sarebbe in grado di sopportare a lungo. Così, per far fronte alle forti pressioni internazionali e soprattutto a quelle di George Bush impegnato a sua volta in un nuovo sforzo politico diplomatico con l´Europa, il leader israeliano procede a delle concessioni che riscuotono tiepidi consensi, ma che preparano il terreno per la svolta finale. Dov Weisglass, principale consigliere di Sharon, riassumeva in modo eloquente lo stato d´animo del paese: «Stiamo procedendo a scelte molto dolorose. Ma siamo determinati a portarle fino in fondo. Del resto, il fatto che si sia deciso il ritiro anche di 4 località (insediamenti, ndr) nel nord di Samaria è un atto simbolico importante. Indica che il ripiegamento di Gaza non sarà né il primo né l´unico. Prima o poi, e io credo che non si tratti di molti anni, il presidente Usa vorrà vedere un accordo permanente. Arriveremo a misurarci con i palestinesi sull´assetto finale e a quel punto metteremo sul tappeto tutte le questioni territoriali». Distratto da un reality show televisivo che designerà il futuro ambasciatore ebraico "virtuale" nel mondo, Israele premia comunque la scelta di Sharon e lo promuove a larga maggioranza su quello che lui stesso ha definito il «passo più difficile della sua vita»: il ritiro dalla Striscia di Gaza. Stando ad un sondaggio inedito compiuto su 100 mila abbonati telefonici, i due terzi si sono dichiarati favorevoli alla decisione, mentre solo il 35, 6 per cento si è detto contrario. Il processo di pace non è e non sarà comunque facile. La morte di Arafat e l´atteggiamento coraggioso di Abu Mazen, deciso a rimuovere la corruzione e i nepotismi nell´Anp, stanno creando nuove tensioni tra i palestinesi. Impegnato a formare il nuovo governo, ieri pomeriggio il primo ministro Abu Ala si è trovato davanti ad uno sbarramento dell´opposizione interna contraria alla nomina di due incarichi vitali per il futuro assetto dell´Autorità: quella di Nasser Youssef, come capo della sicurezza e di Mohammad Dahlan, come ministro per gli affari di governo con incarico speciale nelle trattative con Israele sulle questioni della sicurezza. Su 17 presenti, 14 hanno votato contro. Abu Ala è stato costretto a rinviare la nomina per evitare una crisi che rischierebbe di bloccare l´intero negoziato con Israele. Anche lui, come Ariel Sharon, ha preso tempo. Anche lui è convinto che solo una politica di piccoli passi è la sola in grado di far traghettare la Palestina verso uno Stato che deve ancora nascere. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla direzione de La Repubblica. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.