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La Stampa Rassegna Stampa
21.02.2005 Contro terrorismo e dittature
Fiamma Nirenstein racconta la nuova realtà del medio oriente

Testata: La Stampa
Data: 21 febbraio 2005
Pagina: 2
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «L'emulazione democratica ora spaventa i regimi arabi»
Una analisi del Medio Oriente, dove la guerra di liberazione dell'Iraq da parte della coalizione anglo-americana ha aperto la strada del cambiamento. Dalla dittatura alla democrazia, il vento nuovo cambia la storia dei paesi arabi.Anche se nuovi pericoli si affacciano, primo fra tutti la politica di Putin.
Lo racconta Fiamma Nirenstein sulla STAMPA di oggi.

MENTRE si svolge la visita del presidente americano in Europa tutti sperano nel formarsi di un fronte unico che costruisca la prospettiva della sicurezza nel mondo: e tutta via «ambiguità» sembra invece la parola chiave che ancora allontana questa prospettiva. Ha ragione Magdi Allam quando scrive sul «Corriere della Sera» che l’assassinio del leader libanese Rafik Hariri è un attacco catastrofico che mostra la decisione del fronte del rifiuto iraniano-siriano-terrorista (gli hezbollah con annessi e connessi) a battere la rivoluzione in mediorente. La battaglia è dura, la gente vuole fare come in Iraq o come in Palestina, votare, avere la democrazia, Bush ha morso una mela matura. Fa notare Farid Ghadri uno dei più importanti dissidenti siriani in esilio, presidente del Partito della Riforma, che una ricerca tramite Google sulla parola islah (riforma), mostra che nel 2000 aveva meno di 2000 menzioni e che invece nell’ottobre del 2004 erano cresciute a 25000. Ma la parola «jihad» conta 90 mila menzioni, la battaglia ha svoltato. C’è speranza e guerra dura.
La tragedia di Beirut segnala uno stato di crisi acuta, l’aprirsi di un’altra fase di questa autentica guerra mondiale contro il terrorismo tramite la distruzione delle dittature, segnala anche l’apertura di una nuova stagione di autentico panico, di convulsioni, di doppiezze. Da una parte l’Europa, il Mediorente, la Russia, la Cina, capiscono che è indispensabile avere a che fare con la rinnovata determinazione di Bush nella strategia della democratizzazione, ma tutti si sentono minacciati dalla rivoluzione, dalla destablizzazione. Le elezioni irachene e palestinesi hanno destato desiderio di emulazione in centinaia di milioni di uomini; così è nata un’ era di nervosa incertezza: cooperare o scontrasi? Destabilizzare senza rivoluzione? Tenere fermo tutto col terrorismo? Starci?
Guardiamo prima di tutto il Medio Oriente: è ovvio, l’Iraq stesso è il primo campo di gioco fra l’accettazione di un processo democratico e il suo verticale rifiuto. E intorno a questo gioco tutto il resto si intreccia e si contraddice. Se guardiamo la Siria, ne vediamo un cammino fatale, che ormai l’ha portata testa a testa con gli USA: eppure Bashar Assad si affanna a negare la sua protezione al terrore, protesta la sua innocenza di fronte alla risoluzione dell’ONU che gli intima di uscire dal Libano, addirittura si dichiara pronto a un processo di pace con Israele, libera 55 prigionieri nelle settimane scorse, annuncia periodicamente «primavere» e «riforme».
Ma non ha certo deciso, con questo, per una nuova strada e continuano le torture nelle sue carceri, si tesse l’acquisto di armi russe, si sostengono le organizzazioni terroristiche basate a Damasco, si stringe un patto con l’Iran (mercoledì scorso) inviando il ministro Mohammed Naji Otri a Teheran, si consente agli hezbollah insieme all’Iran di incrementare la sua forza fino a farne l’organizzazione, a sua volta, finanziatrice del terrorismo di hamas (100mila dollari per terrorista suicida, molto di più di quanto pagava Saddam Huissein, 20mila dollari).
Infine, la Siria lascia le impronte digitali sull’assassinio di un leader che decisamente propendeva per la pace dell’area e per la fine dell’occupazione. Questo, mentre la piazza libanese chiede libertà.
Guardiamo ora anche all’Iran che promette alla Russia di restituire i residui dell’uranio utilizzato come impegno a non fare bombe atomiche col suo impianto nucleare e fornire una giustificazione alla Russia che lo aiuta a costruirle; ma nello stesso tempo affida a Khatami, in teoria il più mite degli ayatollah, l’annuncio che mai e poi mai rinuncerà a portare a termine i suoi impianti atomici, che tutto il mondo sa che scopo abbiano. Schiaccia l’opposizione giovanile, lascia infestare di odio i suoi media, però seguita a dichiarare le sue velleità riformiste.
Intanto l’Arabia Saudita mentre tratta a sua volta con la Russia per nuovi armamenti lancia all’America i soliti segnali dichiarandosi paese moderato e soprattutto tenendo la settimana scorsa a Riad una paradossale conferenza sul terrorismo, che non ha mai nominato l’11 di settembre nè Al Zarkawi e che ne ha escluso, si capisce, la partecipazione degli israeliani, che del terrore sono fra le principali vittime e conoscitori. I suoi rapporti col terrorismo risultano al solito molto ambigui, e la sua facciata liberale diventa più fragile. E la democrazia? Anche le elezioni saudite sono state una timida uscita, in cui le donne non hanno potuto votare e i risultati erano scontati.
Anche l’Egitto fornisce i propri autentici buoni uffici al processo di pace israelo-palestinese, ma il dissidente Musa Mustafa Mussa vicecapo del nuovo partito al Ghad è stato da poco arrestato: «un messaggio», dicono i gruppi per i diritti umani, mentre la società egiziana chiede riforme democratiche. Anche il dissidente Muhammad Farid Hassanein che ha osato dichiarare di volersi candidare contro Moubarak, è stato trattato di squilibrato e di pericolo pubblico.
E il resto del mondo? Noi non ci decidiamo, anche adesso che la storia ce lo impone, a incoraggiare il cambiamento democratico in mediorente col nostro atteggiamento. Un voto unito e non spaccato dell’Italia sul rifinanziamento della nostra missione in Iraq sarebbe stato interpretato come un gesto forte, un grande sostegno alla causa delle democrazia; peccato. Ed è scoraggiante e significativo, certo, per i libanesi in lotta per la libertà, il fatto che Chirac, che pure era grande amico di Hariri, abbia dichiarato con capricciosità francese che non intende mettere gli hezbollah nella lista europea dei terroristi, di cui tutti sanno i legami con la Siria occupante.
Ed è molto impressionate che la Russia, mentre prepara il vertice fra Putin e Bush, stia proponendosi di armare quasi l’intero Medio Oriente riproponendosi in una dimensione sovietica. E notevole poi che la Cina mostri un volto minaccioso e stringa rapporti con l’Iran e che il Nord Corea se ne sia uscito adesso con la minaccia atomica. E noi riusciamo a non essere consonanti come si è visto giovedì scorso, quando a Washington e a Londra 55 analisti delle due parti dell’Atlantico hanno compilato un documento per fornire alle due parti raccomandazioni politiche; o quando Schroeder a Monaco, l’altro fine settimana ha dichiarato la fine della NATO come punto in cui Europa e Usa possono confrontarsi e mettersi d’accordo: gli europei ritengono esorbitante il numero delle volte che Bush ha usato ultimamente la parola libertà, mentre gli americani non possono soffrire l’uso strabordante da parte degli europei della parola stabilità. Tutta questa confusione è molto pericolosa. I segnali doppi provocano un’unica risposta: l’aggressione.
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