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La Repubblica Rassegna Stampa
18.02.2005 Il pericolo iraniano, la possibilità di una trattativa con la Siria, l'annuncio del prossimo invito di Abu Mazen a Gerusalemme
alcuni dei temi dell'intervista al presidente israeliano Moshe Katsav

Testata: La Repubblica
Data: 18 febbraio 2005
Pagina: 8
Autore: Alberto Stabile
Titolo: «Il mondo deve fermare l'Iran, con la Siria si può trattare»
LA REPUBBLICA di venerdì 18 febbraio 2005 pubblica un'intervista di Alberto Stabile al presidente israeliano Moshe Katsav.
Ecco il testo:

Gerusalemme - Dopo l´attentato contro l´ex premier libanese Rafiq Hariri, l´invito rivolto al leader siriano Bashar el Assad, a venire a Gerusalemme, è un capitolo chiuso e non rinnovabile. Tuttavia il presidente israeliano, Moshe Katsav ritiene a certe condizioni possibile una ripresa del negoziato con la Siria. Mentre l´Iran resta il «nemico maggiore». Katsav ci riceve nel suo ufficio di rappresentanza nel cuore di Gerusalemme in un momento difficile della vita nazionale. Quando mancano ancora parecchi mesi al ritiro da Gaza, la protesta dei coloni contro il governo ha assunto toni violenti. Anche se il confine nord resta relativamente tranquillo, il clima tra Gerusalemme e Damasco segnala un netto peggioramento. Ad offrire uno spiraglio è la ripresa del dialogo coi palestinesi.
Signor presidente, cominciamo guardando alla situazione nella regione, le sembra che Israele corra oggi maggiori pericoli, e da dove provengono questi pericoli?
«Per quanto riguarda i Paesi del cerchio più vicino, quelli che confinano con noi, sono ottimista. Abbiamo trattati di pace con l´Egitto e la Giordania, parliamo di pace con i palestinesi, e sono convinto che avremo la pace con la Siria ed il Libano. Anche nel secondo circolo dei Paesi intorno a noi vedo una probabilità di pace. Il problema più grave resta l´Iran, che è diventato il nostro nemico più grande e più estremista, sebbene non ci siano conflitti o contrasti d´interessi fra noi e l´Iran, né abbiamo confini in comune. Eppure l´Iran dichiara che bisogna distruggere Israele, tenta di acquisire armi nucleari, tenta di produrre missili a lunga gittata, imbroglia l´Europa due o tre volte, e il mondo libero tace, o balbetta. L´Iran è anche dietro le quinte delle attività terroristiche dei palestinesi contro di noi: per il 70 per cento di tali attività l´iniziativa viene dall´Iran».
Ma che cosa dovrebbe fare il mondo libero? Bombardare Teheran?
«Penso che una pressione internazionale effettiva sull´Iran può impedire che questo paese arrivi a possedere armi atomiche. L´Iran, a differenza della Corea del Nord, non è insensibile alle pressioni internazionali».
Lei ha accennato prima al fatto che Israele può arrivare alla pace con il Libano e la Siria. In questo momento, però, la Siria sembra davvero lontana dal raggio dell´iniziativa diplomatica, sia d´Israele che degli Stati Uniti. Se la sentirebbe, oggi, di rinnovare l´invito al presidente Assad a venire a Gerusalemme, alla luce dei sospetti sollevati contro Damasco dopo l´assassinio dell´ex-premier libanese Hariri?
«Guardi, io l´ho invitato a venire a Gerusalemme e lui ha rifiutato. Quindi, non vedo ragione di rinnovare l´invito. Siamo però interessati alla pace con la Siria, non lo nego. La pace è un interesse comune israeliano e siriano, e penso che potremo giungere a dei compromessi».
Avrà pure lasciato cadere il suo invito, ma Assad s´è detto pronto a negoziare.
«Il fatto è che, nell´ultimo anno, il comportamento del presidente siriano contraddice le affermazioni sulla sua volontà di pace. Ha aumentato la sua cooperazione con gli Hezbollah, ancora più di suo padre; ha incrementato la sua cooperazione con l´Iran ancor più di suo padre; le organizzazioni terroristiche a Damasco ordinano di compiere attentati in Israele. Gli ordini per il doppio attentato di Beer Sheva in cui sono morti 16 civili sono arrivati da Damasco. La Siria è coinvolta col terrorismo in Iraq e il presidente siriano ha avuto espressioni antisemite contro gli ebrei».
Allora, come si potrebbe arrivare a un negoziato?
«Ovviamente tutto questo deve cessare e bisogna lasciare alle trattative solo la questione riguardante i confini fra la Siria ed Israele. I negoziati devono essere senza pre-condizioni, solo così ritengo che si possa arrivare ad un compromesso».
Nel frattempo, se potesse, consiglierebbe a Putin di non vendere i missili a Damasco?
«Mi sono incontrato con il presidente Putin due settimane fa e gli ho chiesto di non vendere i missili terra-aria alla Siria. Temiamo che questi missili possano finire nelle mani degli Hezbollah, mettendo in pericolo l´aviazione civile in Israele. In questo momento non si deve turbare l´equilibrio militare in Medio Oriente con la fornitura di missili alla Siria. La Siria non ha bisogno di questi missili per la sua difesa, perché non abbiamo alcuna intenzione aggressiva nei confronti di Damasco».
Veniamo alle vicende più direttamene israeliane. Signor presidente, come giudica la rivolta dei coloni contro il ritiro da Gaza deciso dal governo e approvato dal parlamento? Non crede che ci sia il rischio di una rottura dell´unità nazionale?
«Io non la chiamo una rivolta e non penso nemmeno che vi sia una frattura nella popolazione. Siamo un Paese democratico, e chiunque ha il diritto di battersi con sistemi democratici per cambiare le decisioni del governo e della Knesset. Ovviamente, escludo qualsiasi atto illegale, ogni espressione di incitamento, ogni atto di violenza. Oltre il 90 per cento dei coloni delle Giudea, della Samaria e di Gaza sono persone rispettose della legge. Sono molto preoccupato per alcune centinaia - e in ogni caso non più di alcune migliaia - che non rispettano la legge. Non ritengo, però, che queste poche migliaia mettano in pericolo l´esistenza [dello Stato] e che si possano definire ribelli alle leggi dello Stato, fatto salvo che chi viola la legge verrà punito. In ogni caso, tutto ciò che sarà deciso dalla Knesset obbligherà lo Stato d´Israele e tutti i coloni, al 100 per 100».
Al di là del ritiro, ritiene che vi siano oggi gli elementi per una ripresa del processo di pace coi palestinesi?
«Sì, sono abbastanza ottimista. Ho fiducia in Abu Mazen. È una persona onesta, ha iniziato correttamente a misurarsi con il suo ruolo, è riuscito rafforzarsi dopo le elezioni, è riuscito a far cessare il terrorismo, ma noi dobbiamo stare con gli occhi aperti ed essere realisti. Per il momento tutto si basa sull´accordo fra Abu Mazen e le organizzazioni palestinesi estremiste.
Il grande banco di prova di Abu Mazen verrà se e quando non vi sarà accordo fra di loro. La questione quindi è se, allora, dimostrerà la determinazione cui lo obbliga il fatto di essere leader».
Insomma lei ha fiducia in Abu Mazen ma non si fida della tregua.
«La situazione creata dal cessate il fuoco è estremamente labile. Israele ha ridotto in maniera drastica le operazioni militari anti - terroristiche, per aiutare Abu Mazen, ed ha compiuto dei gesti umanitari importanti. Ma bisogna anche essere consci del fatto che Hamas e Jihad non hanno rinunciato a compiere atti terroristici. Anzi continuano a scavare tunnel da fare esplodere, continuano a produrre razzi Kassam, continuano a contrabbandare armi ed esplosivo, soprattutto dal territorio egiziano, per cui la situazione è molto volatile e tutto potrebbe saltare, se un terrorista palestinese decidesse di compiere una qualche azione. Abu Mazen ha dichiarato più di una volta che i palestinesi hanno bisogno di un solo governo e che non tollererà milizie ed organizzazioni che non accettino il primato dell´Autorità. Ora deve metterlo in pratica».
A proposito della misure per ristabilire la fiducia, ha sorpreso il suo annuncio che non firmerà la grazia per i prigionieri palestinesi accusati di reati di sangue. Mi sembra che vi sia una contraddizione. Molte volte in passato lo Stato ebraico ha liberato detenuti pericolosi in scambi con organizzazioni terroristiche. Perché in questo caso, pur trattandosi di un atto di pacificazione, lei si oppone?
«Il mondo occidentale non ha ancora capito la brutalità del terrorismo palestinese. Non è possibile ed è vietato liberare assassini che hanno fatto scoppiare autobus, ristoranti, discoteche pieni di persone inermi o che hanno preso due ragazzi di 14 ani e poi li hanno massacrati a colpi di pietra o che hanno ucciso due bambini nel Kibbuz Metzer davanti agli occhi della loro madre. Fra le migliaia di detenuti "di sicurezza", abbiamo abbastanza prigionieri che non hanno le mani sporche di sangue. Perché dobbiamo affrettarci a liberare questi assassini vili e brutali, quando non c´è ancora un accordo fra noi ed i palestinesi? Io agisco nell´ambito di un potere conferitomi dalla legge e in questo caso non vi è divergenza di opinione fra me ed il governo».
Ha invitato il presidente Assad, come mai non ha invitato Abu Mazen a venire a Gerusalemme?
«Ho intenzione di farlo, e molto presto».
E' sempre bene che i giornalisti rivolgano ai politici domande critiche e non "compiacenti". Così fa Stabile con Katsav, e al riguardo non abbiamo nulla da eccepire.
Una delle domande del cronista di Repubblica, tuttavia, ci sembra indicativa della faziosità con cui guarda al conflitto mediorientale. Poichè i giornalisti non sono esenti da critiche più dei politici, lo rileviamo: stupirsi del rifiuto di Katsav di firmare la grazia per i detenuti palestinesi accusati ( e condannati) per reati di sangue significa ignorare il prezzo umano altissimo pagato da Israele in conseguenza dell'offensiva terroristica palestinese, trovare una contraddizione tra tale atteggiamento e gli scambi di prigionieri con organizzazioni terroristiche, significa non tenere conto del fatto che questi ultimi erano determinati dalla necessità e dalla volontà di salvare vite umane in pericolo.

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