Processo ideologico all'informazione, se non è abbastanza antiamericana al "Tribunale mondiale sull'Iraq" e al quotidiano comunista
Testata: Il Manifesto Data: 14 febbraio 2005 Pagina: 4 Autore: Marinella Coreggia Titolo: «Iraq, processare la disinformazione»
Tribunale del popolo a Roma contro l'informazione "embedded" sulla guerra in Iraq. La cronaca dell'iniziativa, pubblicata dal MANIFESTO del 14 febbraio 2005, ne testimonia involontariamente il carattere ideologico e fazioso. Si potrebbe ricordare che è stato un giornalista "embedded" alle forze armate americane a denunciare l'esecuzione di un iracheno ferito a Falluja, dimostrando la sua indipendenza. Mentre non risulta che i giornalisti "embedded" al pacifismo a senzo unico abbiano raccontato gli orrori delle fosse comuni scoperte in Iraq, il sollievo degli iracheni liberati dalla tirannia, la rinascita della vita democratica. In Iraq non c'erano armi di distruzione di massa? Affermare il contrario fu un errore, non una menzogna. C'era invece il regime terroristico di Saddam che era davvero un'"arma di distruzione di massa", e che ora è caduto. Una realtà che sono in pochi a raccontare.
Ecco l'articolo: «La guerra è diventata un prodotto. I grandi media, concentrazione di potere economico che sostiene il potere politico per esserne sostenuto, ce l'hanno venduta; sotto forma di news business e di showbusiness. Il pubblico l'ha comprata. Ma adesso è il turno di chi crede nella libertà dell'informazione, il turno di tutti noi»: questa analisi ed esortazione conclude il film documentario statunitense «Weapons of Mass Deception» ("Armi di inganno di massa") di Danny Schechter proiettato ieri per la prima volta in Italia per il Tribunale di Roma sull'Iraq, la sessione italiana del tribunale di coscienza e dei popoli Wti (www.worldtribunal.org; www.wti-italia.org) che in diversi paesi sta giudicando la guerra di aggressione e occupazione in corso non processata da alcun vero tribunale. La sessione finale sarà a Istanbul il prossimo giugno; la sessione italiana su tre giorni è stata dedicata al ruolo dell'informazione e preparata dai ricercatori del progetto People's Law. Una «corte» di quattro giurati - Samir Amin, François Houtard, Haleh Afshar ed Ernesto Pallotta - per tre giorni ha ascoltato testimoni prestigiosi fra i quali giornalisti americani e inglesi, giornalisti indipendentil, giuristi e ha preparato la sentenza del Tribunale di Roma. La giuria ha affermato che la guerra preventiva in Iraq, crimine in sé che minaccia di essere ripetuto contro l'Iran, sta provocando una catena di altri crimini non solo in quel paese, e sta portando molti nei paesi del Sud a credere che l'unico modo per proteggersi sia avere davvero le armi di distruzione di massa che l'Iraq non aveva. Su questa base il Tribunale, ricordando che secondo i princìpi stabiliti dall'Unesco e dalla Federazione internazionale della Stampa, il giornalista ha il dovere di rispettare la verità e il diritto alla verità da parte del pubblico, ha concluso fra l'altro che: le forze di occupazione pongono seri ostacoli all'esercizio della libertà di informazione in Iraq; i governi statunitense e britannico hanno fatto dell'informazione un fronte nella guerra illegittima e illegale, usando con successo le bugie e la propaganda e creando la categoria dei giornalisti embedded.; i grandi media filtrano l'informazione; la democrazia è in pericolo perché i giornalisti liberi sono licenziati e il pubblico è informato solo grazie al coraggio dei giornalisti e dei media indipendenti, i quali però non arrivano alle masse.
Su queste basi, il Tribunale di Roma accusa ovviamente i due governi guida della «coalizione» che usano l'informazione come strumento di guerra; accusa i corporate media ma anche i giornalisti embedded . Le raccomandazioni del Tribunale, poi, fungono da programma di azione che i partecipanti si sono dato. Si tratta di obbligare i media principali a rispettare i loro doveri (la pressione serve: centinaia di lettere arrivate al New York Times che aveva sottostimato pesantemente il numero dei partecipanti a una manifestazione antiguerra - dividendo per dieci i numeri forniti dalla stessa polizia... - hanno obbligato il giornale a un articolo di scuse tre giorni dopo). Ma occorre anche avviare procedimenti legali formali su casi specifici di manipolazione, educare grandi e piccini a un approccio critico (soprattutto rispetto alla tv) e poi sostenere i media alternativi, anche promuovendo il «finanziamento pubblico del sistema di informazione per preservarne l'autonomia, evitare il dominio del mercato, proteggere i giornalisti».
Si raccomanda infine un «osservatorio permanente globale» che smascheri bugie e disinformazione di guerra. Un esperimento in questo senso è Media Channel 8 www.mediachannel.org), rete globale per la democrazia nell'informazione e osservatorio sul comportamento dei media a cui collaborano liberamente gruppi di tutto il mondo. Ne è animatore proprio Danny Schechter, l'autore del documentario di chiusura del Tribunale, opera dedicata per contrappasso ai giornalisti indipendenti che rischiano e muoiono. Insomma, le bugie e il servilismo dei corporate media negli Usa e non solo sono le vere armi di distruzione di massa; mentre quelle di Saddam non c'erano, e quelle di Bush (chimiche, bombe a grappolo, uranio impoverito, napalm) sono state usate, alcune di sicuro, altre forse, ma nel silenzio. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione del Manifesto. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.