Ritratto del generale che Abu Mazen vuole come ministro dell'Interno era odiato da Arafat e ha la stima di Israele
Testata: Il Foglio Data: 12 febbraio 2005 Pagina: 1 Autore: un giornalista Titolo: «Il generale più odiato da Arafat ora è sempre al fianco di Abu Mazen»
IL FOGLIO di 12 febbraio 2005 pubblica un ritratto di Nasser Youssef, probabile futuro ministro dell'Interno dell'Anp. Ecco l'articolo: Ramallah. Il generale Nasser Youssef è l’uomo che Mahmoud Abbas (Abu Mazen, ndr), presidente dell’Anp, vuole avere sempre al suo fianco. Nato a Beit Shean in Cisgiordania, il suo vero nome è Mustafa El Bushtawi. Inizia la sua carriera come militare, frequentando corsi di addestramento in Algeria, Cina e Tunisia. Membro del Comitato centrale di al Fatah, fa parte della vecchia guardia dell’Olp esiliata a Tunisi, per ritornare poi a Gaza nel 1994. Un uomo definito da chi lo circonda come serio, onesto, senza troppo tempo da perdere. Israele lo stima. Lo considera affidabile, il più rispettabile tra i leader delle forze di sicurezza palestinesi. In una conversazione privata a metà degli anni 90, quando un’ondata di attacchi suicidi stava colpendo lo Stato ebraico, Youssef aveva detto che la lotta armata doveva terminare. In quell’occasione, aveva criticato la dirigenza di Yasser Arafat, accusandola non solo di non prendere misure preventive contro il terrorismo, ma di non permettergli di varare alcuna strategia nei confronti dei gruppi armati. Nel periodo degli accordi di Oslo, Youssef aveva più volte spiegato (privatamente) che i palestinesi avevano fatto un primo passo verso la normalizzazione dei rapporti con lo Stato ebraico, ma che adesso spettava al rais Arafat dimostrare la sua onorabilità rispettando i negoziati. Nel novembre 1994, Youssef aveva poi ordinato alla forze di sicurezza dell’Anp di portare a termine operazioni militari contro Hamas, causando la morte di alcuni militanti del gruppo islamico. Nel 2003, con Ahmed Qurei (Abu Ala, ndr) primo ministro, poco dopo le dimissioni di Abbas, il generale palestinese, da comandante della pubblica sicurezza, fu nominato ministro dell’Interno. Durante la cerimonia di investitura, Youssef decise però di non partecipare all’incontro col rais, rifiutandosi di prestare giuramento davanti ad Arafat. Il generale palestinese aveva infatti insistito per avere sotto il suo comando le forze della sicurezza interna, per garantire un controllo ordinato ed efficace sui gruppi terroristici, cosa che gli fu negata da Arafat. Il rais non amava Youssef, lo considerava un pericolo e lo accusava addirittura di complottare contro la sua persona. Il generale decise comunque di non voler essere un fantoccio di Arafat e durante uno scontro verbale gli rinfacciò di essere la causa del disastro della popolazione palestinese. Oggi però Arafat non c’è più e Youssef è in ascesa, soprattutto dopo che Abbas, due giorni fa, ha destituito quattro alti ufficiali ai vertici della sicurezza palestinese perché non sono riusciti a fermare gli attacchi a colpi di mortai dei gruppi armati. In campagna elettorale, il generale è stato sempre al fianco di Abbas. Sono amici, si stimano. A Ramallah voci di corridoio dicono che Youssef sarà il prossimo ministro dell’Interno e questa volta avrà finalmente sotto il suo comando tutta la sicurezza. Il premier Qurei esita a dare il via libera, forse perché teme di essere oscurato. Abbas però sa che, se intende provare a sconfiggere il terrorismo, ha bisogno di una persona forte e leale come lui. I palestinesi lo vedono come l’unico membro di Fatah non corrotto. Israele lo definisce "l’uomo giusto, al momento giusto", l’unico generale che voglia davvero mettere fine alla "democrazia dei fucili".
Brigate di al Aqsa con il rais Il presidente ieri, prima di andare a Gaza a tentare di convincere i gruppi armati a rispettare la tregua, ha convocato una riunione d’emergenza del comitato centrale di Fatah per ribadire che agirà contro ogni futura violazione del cessate il fuoco. Ma il successo di Abbas dipende dalla leadership che riuscirà a creare. Il suo mandato non sarà facile: Arafat ha allevato una generazione all’Intifada. Non sono lontani i tempi in cui l’anno scolastico si apriva con la "danza dei kalashnikov", con il rais che gioiva nel vedere giovani scolare vestite di bianco con armi in pugno. Abbas ha pertanto un’eredità difficile da gestire e potrà sopravvivere solo con uomini fedeli alla sua causa. Nel frattempo le Brigate di al Aqsa dichiarano, sul quotidiano arabo-londinese al Quds al Arabi, di voler prestare fedeltà alla nuova leadership e rispettare il cessate il fuoco proclamato a Sharm el Sheikh, mantenendo però la facoltà di rappresaglia. "Dobbiamo agire senza esitazione per dare una chance politica ad Abu Mazen – scrive Naser ‘Uweis, comandante delle Brigate di al Aqsa, che in questo momento si trova in un carcere israeliano – tratteremo chiunque tenti di ostacolare il suo percorso come qualcuno che voglia preservare lo stato di anarchia". Abbas, invece, per non perdere la propria legittimità, dovrà mantenere una linea dura contro Hamas, che ora è scisso tra quelli che vogliono rispettare una tregua e quelli che insistono con la lotta armata. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione de Il Foglio. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.