Israele tende trappole ad Abu Mazen e rompe il cessate il fuoco: la propaganda non si ferma a Sharm el Sheik una notizia data scorrettamente e un ritratto del raìs palestinese che è solo un pretesto per attaccare Israele ed esaltare Arafat
Testata: La Repubblica Data: 10 febbraio 2005 Pagina: 1 Autore: Hussein Agha - Richard Malley Titolo: «Abu Mazen, l'ultimo palestinese - Notizie da Israele e Anp»
In prima pagina LA REPUBBLICA di giovedì 10 febbraio 2005 pubblica un ritratto di Abu Mazen, che si apre in realtà con un elogio di Yasser Arafat, di cui si ignorano la carriera terroristica, l'autocrazia, l'indisponibilità al compromesso, catastrofica per il suo popolo. Vengono poi indicate una serie di trappole che Abu Mazen temerebbe da parte di Israele: la divisione della Cisgiordania in cantoni (senza alcun elemento si continua a sostenere che Israele avrebbe questa intenzione), il ritiro israeliano da parte della Cisgiordania e da Gaza, rimandando l'accordo sui confini definitivi (perchè questa sarebbe una trappola? Forse perchè sarebbe "un tentativo di placare il conflitto, di privarlo della sua carica emotiva, di ridurlo a una semplice e negoziabile questione di confini"? Che poi l'accordo definitivo sia o meno "rimandato in modo indefinito" dipenderà, in ogni caso, dai negoziati, non dall'eventuale attuazione di un piano di ritiro parziale)
Ecco l'articolo: Se l'influenza politica di Yasser Arafat ha disegnato il panorama palestinese, la sua morte lo trasformerà radicalmente. Arafat era unico e, dopo la guerra del 1948, unicamente adatto alle condizioni del suo popolo: sconfitto, spossessato e disperso, senza uno stato che lo difendesse, una terra che lo ospitasse, o una strategia politica che lo unisse. I palestinesi erano divisi in famiglie, classi e clan, sparpagliati per tutta la regione e oltre, sfruttati dalla frenesia competitiva di molti, preda delle ambizioni di tutti. Non è legato a nessuno e professa di essere al servizio del movimento nazionale. Modesto e moderato, poche parole e molti fatti, s´è costruito una carriera lontano dai riflettori L´uomo che è stato scelto a succedergli è per molti aspetti diverso, ma per un verso cruciale è identico: come Arafat, Abu Mazen è una rarità: è genuinamente palestinese Grazie alla sua storia e alla sua personalità, al carisma, alla adulazione e alle minacce, a un po´ di fortuna e a una cieca perseveranza, Arafat era il volto del suo popolo Grazie alla sua storia e alla sua personalità, al suo carisma, all´adulazione e alle minacce, a un po´ di fortuna e a una cieca perseveranza, Arafat era riuscito a rappresentarli tutti, a emergere come il volto del popolo palestinese, per loro stessi e per il mondo. Il fine ultimo di Arafat era l´unità nazionale, senza di cui, ne era convinto, non si poteva ottenere nulla. Era divenuto l´anello di connessione tra i palestinesi della diaspora e quelli rimasti in patria, tra coloro che avevano perduto tutto nel 1948 e coloro che erano stati occupati nel 1967. Gente della Cisgiordania e di Gaza, giovani e vecchi, fannulloni e gente operosa, modernisti e tradizionalisti, militaristi e pacifisti. Era un leader nazionale, l´anziano di una famiglia tribale, un datore di lavoro, un buon samaritano, il capo di un movimento laico-nazionale e al tempo stesso profondamente credente, che aspirava a rappresentare una pluralità di gruppi disparati, anche quando questi esprimevano punti di vista totalmente opposti. Il suo stile venne spesso criticato se non disprezzato, ma raramente si pose in dubbio il suo ruolo preminente. Nessun leader palestinese sarà probabilmente in grado di riprodurre il suo tipo di politica, non sotto un´occupazione militare, e certo non nell´immediato. L´uomo che è stato scelto a succedergli è per molti aspetti diverso, ma per un verso singolarmente cruciale è identico a lui. Al pari di Arafat, Abu Mazen è una rarità: una figura nazionale genuinamente palestinese. Ma lo è in modo radicalmente diverso. Mentre Arafat si eresse a figura nazionale identificandosi con, e rappresentando al tempo stesso, ogni singola fazione o interesse, Abu Mazen non è legato a nessuno. Arafat si immerse nella politica locale, Abu Mazen se ne tiene alla larga, professando di essere al servizio del movimento nazionale nel suo insieme. Il Vecchio, con inesauribile destrezza, comandava grazie a una strabordante e possente presenza retorica e fisica. Modesto e moderato, uomo di poche parole e di molti fatti, il nuovo presidente si è costruito una carriera operando lontano dai riflettori. È nato in quello che ora è Israele nel 1935, e se ne allontanò nel 1948. Membro fondatore di Fatah, segretario generale del comitato esecutivo dell´OLP, consigliere di Arafat, principale negoziatore dietro le quinte dalla conferenza di Madrid del 1991 agli accordi di Oslo del 1993, è stato spesso influente, raramente visibile. Sino a oggi, il suo incontro con una responsabilità pubblica si è limitato alla carica di primo ministro che occupò per breve tempo, nel 2003. Con la scomparsa di Arafat, la politica delle maniere forti ha fatto il suo tempo: si passa al tocco leggero. Abu Mazen, uomo senza un seguito di cui parlare, è diventato un uomo privo di opposizione effettiva, il che spiega in larga parte la sua tranquilla ascesa al potere. Dopo quattro anni di crudele e devastante confronto armato con Israele, e la perdita dell´unico capo che hanno mai conosciuto, i palestinesi sono in stato di shock, stanchi e spaventati. Né l´opinione pubblica né un qualche gruppo o interesse sembra aver voglia di combatterlo; Abu Mazen non era la prima scelta di nessuno, ed è diventato la scelta naturale di tutti. È oggi l´ultimo palestinese dotato di statura nazionale e di credenziali storiche, l´unico che possa parlare credibilmente in nome di tutti. Un altro leader avrebbe inevitabilmente scatenato una lunga, costosa e disgregante battaglia per la successione. In breve, la sua elezione è stata una conferma, piuttosto che un conferimento di legittimità. Intorno a lui si sono coagulati interessi tra i più diversi. I palestinesi che temevano un aumento del caos alla morte di Arafat vedono in Abu Mazen il simbolo rassicurante della sicurezza personale e della stabilità collettiva; a coloro che sono semplicemente esausti a ragione dell´intifada, appare come colui che molto probabilmente riporterà la calma e forse migliorerà la loro situazione. Per i militanti cui Israele dà la caccia, potrebbe essere l´uomo in grado di negoziare una amnistia e di permettere loro di ritornare a una vita normale. Gli appartenenti al mondo degli affari e all´élite sociale sono convinti che il nuovo presidente comprende i loro bisogni e che saprà creare un clima più favorevole per i loro interessi commerciali. I membri della burocrazia sorta con l´instaurazione dell´Autorità palestinese, scontenti per le perdite subite durante l´insurrezione, sperano che Abu Mazen saprà riconfermarli nelle posizioni di cui godevano dopo il 1993. Per i palestinesi rifugiati o esuli, preoccupati che nuovi negoziati li abbandonino al loro destino, è un conforto pensare alle sue origini nella città di Safad (ora in Israele), alle sue lotte politiche fuori dei territori, alla sua fedeltà al diritto di ritornare. Ci sono infine quelli che si stringono al personaggio che pare essere stato scelto dalla sola potenza che conta, gli Stati Uniti, e che lo preferiscono in quanto preferito da altri. Abu Mazen si trova a fronteggiare due paradossali sfide. In primo luogo, per il fatto che la sua carta principale è costituita dal credito di cui gode a livello internazionale, e che i palestinesi sono convinti che gli Stati Uniti possano ottenere da Israele quel che a loro non è riuscito, essi si attendono da lui ben di più che non da Arafat. In secondo luogo, nella misura in cui il supporto di cui gode è il risultato dello stato di prostrazione popolare, più riuscirà a migliorare la situazione, più rischierà di vederlo diminuire. Tra le mine potenziali sul suo cammino, due gli si parano immediatamente dinanzi. La prima è il ritiro di Israele da Gaza. Non è una mossa cui possa opporsi: delle terre saranno restituite ai palestinesi, e per la prima volta nella storia verranno smantellati degli insediamenti. Liberata dagli israeliani, Gaza potrà venire ricostruita e servirà da modello per il resto dei territori occupati. Ma non è una mossa che lui possa permettersi di appoggiare con calore: molti temono che mentre tutti gli occhi sono puntati su Gaza, il ritiro sarà accompagnato da un intensificarsi di nuovi insediamenti nella Cisgiordania, da nuove costruzioni nell´area strategica di Gerusalemme, e dal proseguimento della costruzione del muro di separazione: in breve, dall´attuazione di un piano che prevede la creazione di linee di confine di fatto, preludio alla trasformazione della Cisgiordania in una serie di cantoni palestinesi isolati. Tenendo conto di questi due ordini di considerazioni, molto probabilmente Abu Mazen si compiacerà del ritiro da Gaza come di un successo della politica disegnata dalla road map, e al tempo stesso ridurrà al minimo ogni coordinamento con le autorità israeliane, richiamando l´attenzione della comunità internazionale sulla situazione nella Cisgiordania. La seconda mina è ancora più visibile: una proposta israeliana di istituire uno stato palestinese con confini temporanei a Gaza e in parti della Cisgiordania. Ansiosi di ottenere risultati politici, e ossessionati dall´imperativo di costruire delle istituzioni, gli Stati Uniti e l´Europa faranno probabilmente pressione perché lui accetti: persino alcuni stati arabi, che hanno un disperato bisogno di stabilità, potrebbero unirsi al coro. Tuttavia, quella che ad alcuni appare come una concessione israeliana, agli occhi di Abu Mazen è una trappola, un tentativo di placare il conflitto, di privarlo della sua carica emotiva, di ridurlo a una semplice e negoziabile questione di confini che ritarderà indefinitamente un accordo globale. Cercherà senza dubbio di trovare il modo di conservare l´appoggio dei suoi sostenitori internazionali e di mantener fede al suo profondo convincimento che la proposta è un trucco ? come potrà riuscirci, probabilmente non lo sa neppure lui. Vi è poi una serie di domande senza risposta. Che accadrà se Abu Mazen non sarà in grado di rispondere alle richieste di Israele e degli Stati Uniti, e se Sharon e Bush non manterranno le promesse? E se Abu Mazen non sarà in grado di raggiungere un accordo con Hamas, la Jihad islamica e i militanti di Fatah, o se l´accordo non reggerà, o se invece, pur reggendo, Israele continuerà con i suoi interventi militari? E se il fragile consenso politico che ha tessuto entrasse in crisi, e si avesse un´esplosione di violenza interna? Durante il suo effimero premierato del 2003, quando godeva dell´appoggio degli Stati Uniti, dell´aiuto delle Nazioni Unite, dell´Europa e della maggior parte degli stati arabi, ci siamo chiesti perché egli si sentisse così solo. Allora, Abu Mazen operava senza sostegno popolare, contro una forte opposizione, e all´ombra di un padre fondatore che si immischiava a ogni passo. Un anno e mezzo dopo, il padre non c´è più e ogni gruppo palestinese che conta gli dà fiducia. Come abbiamo visto, è divenuto l´oggetto di desideri molteplici e incompatibili. Protettore e salvatore, figura di transizione e ultima speranza di tutta una generazione, il diavolo che alcuni ben conoscono e il minore dei mali per altri: per i palestinesi, Abu Mazen è tutto ciò, allo stesso tempo. C´è molta gente intorno a lui, e di certo non è più isolato. Quando si trova a pensare a ciò che lo attende, gli capiterà di chiedersi da dove vengano tutte quelle persone e quelle forze, quanto a lungo resteranno con lui, e cosa abbia fatto per meritare una compagnia così folta e spesso ingombrante.
Hussein Agha è membro associato del St. Anthony´s College di Oxford ed è autore, insieme con A. S. Khalidi, di "A Framework for a Palestinian National Security Doctrine", d´imminente uscita in Inghilterra e negli Usa. Robert Malley è stato assistente speciale del presidente Clinton per gli affari arabo-israeliani e direttore per le questioni del Medio Oriente presso il National Security Council. Attualmente dirige il Middle East and North Africa Program presso l´International Crisis Group
Per concessione della New York Review of Books - La Rivista dei libri Il testo integrale sarà pubblicato nel numero di Marzo de La Rivista dei Libri www. larivistadeilibri. it
Traduzione di Pietro Corsi Come si legge sul sito del Jerusalem Post http://www.jpost.com/servlet/Satellite?pagename=JPost/JPArticle/ShowFull&cid=1108005879222
Un palestinese è stato ucciso da colpi di avvertimento sparati da soldati israeliani per fermare un tentativo di nell' insediamento israeliano di Azmona. Hamas ha sparato 46 colpi di mortaio sugli insediamenti israeliani.
Come titola e come riferisce l'edizione on-line di REPUBBLICA? E' la prima vittima dopo la proclamazione bilaterale del cessate-il-fuoco fra le due parti Medio Oriente, trema la tregua ucciso un palestinese a Gaza
GAZA - Un giovane palestinese del campo profughi di Rafah è stato ucciso stasera da colpi di arma da fuoco sparati da un insediamento di coloni ebrei nella striscia di Gaza: è la prima vittima che cade in un episodio del conflitto palestino-israeliano, un giorno dopo la proclamazione bilaterale del cessate-il-fuoco fra le due parti. Le pallottole che hanno ucciso il palestinese, venti anni di età, provenivano dall'insediamento di Atzmona, che dispone di una guarnigione dell'esercito israeliano. Da una fonte militare israeliana si è appreso che i soldati hanno sparato colpi di ammonimento perché sospettavano un tentativo di infiltrazione nell'insediamento ebraico, dopo che quattro palestinesi si erano presentati a una cinquantina di metri da una recinzione di sicurezza. I palestinesi, secondo la fonte citata, si sono dati alla fuga. In realtà poco prima era morto un altro "giovane palestinese" di Hamas, ucciso dall'esplosione della bomba che stava preparando. Ma REPUBBLICA deve presentare i fatti in modo da far apparire Israele come responsabile della violazione della tregua, nonostante Hamas l'abbia rifiutata. Infatti dando la notizia dei colpi di mortaio contro insediamenti e postazioni militari israeliane, precisa che sono avvenuti poche ore dopo il fatto di Rafah, come se vi fosse un rapporto di causa ed effetto. Ecco il testo:
VIOLATA TREGUA A GAZA, COLPI DI MORTAIO SU INSEDIAMENTI
Numerosi colpi di mortaio sono stati sparati nella notte e ancora in mattinata contro diversi insediamenti e postazioni dell'Esercito israeliano nel settore sud della Striscia di Gaza, senza causare alcuna vittima ma danneggiando diversi edifici e soprattutto violando il cessate-il-fuoco proclamato appena due giorni fa dall'Autorita' Nazionale Palestinese ( di religione islamica) e dallo Stato ebraico in occasione del vertice a Sharm el-Sheikh, in Egitto, tra il presidente dell'una e il premier dell'altro, rispettivamente Mahmoud Abbas alias Abu Mazen e Ariel Sharon. Lo hanno denunciato fonti militari in Israele, secondo cui i proietti lanciati da estremisti palestinesi sono stati almeno tredici nella notte e quattro nelle prime ore di oggi. Una granata anti-carro ha inoltre raggiunto un avamposto militare nei pressi dell'insediamento di Neveh Dekalim. Altri ordigni si sono abbattuti al suolo anche oltre confine, sul territorio meridionale d'Israele. Gli attacchi con i mortai hanno fatto seguito di alcune ore all'uccisione di un giovane palestinese, un ventenne originario del campo profughi di Rafah, morto dopo che colpi di arma da fuoco erano stati sparati dall'insediamento di Atzmona, ove e' di stanza una guarnigione ebraica. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla direzione de La Repubblica. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.