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Il Manifesto Rassegna Stampa
10.02.2005 L'"inquietante" pretesa di Israele: chiamare terrorismo il terrorismo
inaccettabile per il quotidiano comunista

Testata: Il Manifesto
Data: 10 febbraio 2005
Pagina: 14
Autore: S.D.Q.
Titolo: «Euforia e paure»
A pagina 14 IL MANIFESTO di giovedì 10 febbraio 2005 pubblica una cronaca di S.D.Q. sul "dopo Sharm el Sheik".
Il giornalista oppone all'"euforia" che sarebbe diffusa nelle capitali europee e in Israele il "misto di sollievo, scetticismo, rabbia o di diffidente ottimismo di fronte ai risultati del vertice e alle prime misure di alleggerimento della situazione dei palestinesi adottate ieri dagli israeliani" che percorre i territori.
S.D.Q. riporta le misure prese da Israele per alleviare i disagi dei palestinesi: una forma di correttezza inusuale per il quotidiano comunista, che generalmente seleziona le sue notizie, passando sotto silenzio i passi concilianti di Israele.
S.D.Q. scrive poi dell'accordo siglato tra Italia e Israele circa la lotta al terrorismo "tanto più inquietante considerando quel che per gli israeliani è «terrorismo»".
Per gli israeliani "terrorismo" sono gli attentatori suicidi che si fanno esplodere tra la folla, i razzi qassam lanciati sui centri abitati, i cecchini che sparano in testa ai passanti...
E' "inquietante" che qualcuno condivida questa definizione? A noi inquieta piuttosto che qualcuno non sia d'accordo.

Ecco l'articolo:

Espolode la pace? Il giorno dopo la stretta di mano di Sharm el-Sheikh - con relativo accordo di tregua - fra il premier israeliano Ariel Sharon e il presidente palestinese Abu Mazen il sentimento prevalente è quello dell'euforia. A cui fa riscontro, fra i palestinesi dei territori occupati, un misto di sollievo, scetticismo, rabbia o di diffidente ottimismo di fronte ai risultati del vertice e alle prime misure di alleggerimento della situazione dei palestinesi adottate ieri dagli israeliani. Euforia a Bruxelles e anche a Roma. Il segretario generale della Nato, l'olandese Jaap de Hoop Scheffer, ha approfittato della visita del nuovo segretario di stato Usa, Condoleezza Rice, impegnata a tirare la Nato dentro il pantano iracheno, per annunciare che «non è impensabile» un ruolo dell'Alleanza atlantica per «assistere il processo di pace» e «aiutare a creare un'atmosfera positiva» fra israeliani e palestinesi. Dice che ne parlerà nel corso della sua visita in Israele «fra due settimane».

Ancor più euforico il ministro degli interni berlusconiano Giovanni Pisanu che ha colto al volo il pretesto dell'ipotetica pace per annunciare la firma, oggi a Gerusalemme dove si trova, di un accordo di cooperazione Italia-Israele nella lotta al terrorismo e alla criminalità organizzata. «La collaborazione tra la polizia italiana e quella israeliana e tra i servizi d'informazione è eccellente - ha precisato - e non farà che confermare e consolidare i rapporti». Dopo l'accordo di cooperazione militare in discussione in parlamento, l'accordo nella lotta al terrorismo e alla criminalità spinge ancor più a fondo la scelta di campo di Berlusconi verso Israele, tanto più inquietante considerando quel che per gli israeliani è «terrorismo» e dando un colpo definitivo ai vecchi equilibri dell'Italia nel conflitto israelo-palestinese. Il Quartetto - Usa, Ue, Onu e Russia - ha annunciato una riunione fissata per l'1 marzo a Londra nell'ambito della conferenza promossa dal premier inglese Blair.

Un'euforia condita sovente da entusiasmo prevale anche nei titoli della stampa israeliana di ieri. Lo Yediot Aharonot lo dice chiaro e tondo, a tuttta pagina: «L'intifada è finita». Il Maariv è un po' più prudente: «Forse questa volta...» (è la buona). Haaretz, il più liberal, dedica un commento entusiasta a Sharon paragonandolo al padre della patria, il laburista David Ben Gurion: «Mai prima d'ora c'era stato un leader costretto a realizzare una svolta politica così coraggiosa in condizioni interne talmente difficili, con la forte opposizione dei suoi stessi compagni di partito e di tutti i forsennati della Grande Terra d'Israele».

Il governo israeliano ha voluto dare un segnale a sostegno di tale euforia. Ieri il ministro della difesa, Shaul Mofaz, ha ordinato una serie di misure di alleggirimento delle infernali condizioni di vita a cui gli occupanti israeliani hanno costretto la popolazione palestinese negli ultimi 4 anni. Sono stati riaperti alcuni dei passi di frontiera fra la grande prigione di Gaza e Israele da un lato e l'Egitto dall'altro. Mille operai e centinaia di imprenditori e artigiani palestinesi hanno potuto di nuovo varcare i transiti di Erez e di Karni, chiusi da mesi, per accedere al parco industriale e alle fabbriche israeliane. A sud è stato riaperto il transito di Rafah, fra Gaza ed Egitto. Sono state di nuovo consentite le visite familiari ai detenuti palestinesi nelle carceri israeliane. Personale di organizzazioni internazionali e ong potranno tornare a circolare fra la striscia di Gaza e la Cisgiordania occupata passando per Israele.

Abu Mazen ha confermato che gli israeliani si ritireranno da cinque aree urbane della West Bank (ma non quelle nevralgiche di Jenin, Nablus, Hebron) e che un primo lotto di 500 detenuti palestinesi saranno liberati, dei 900 che gli israeliani si sono impegnati a liberare (su un totale di oltre 8 mila e nessuno con «le mani sporche di sangue ebreo»).

Abu Mazen ha anche inviato un un dignitario palestinese in Libano perché convinca gli Hezbollah a tagliare ogni appoggio agli attacchi palestinesi in partenza dal sud libanese.

Ma Abu Mazen dovrà convincere i gruppi palestinesi «militanti» e radicali. Ieri sia Hamas sia la Jihad islamica hanno espresso seri dubbi sui risultati del vertice e sulle contropartite strappate a Sharon. Per ora entrambi i gruppi hanno confermato il mese di tacita tregua accordato a Abu Mazen ma hanno ribadito di non ritenersi vincolati dal cessate il fuoco.
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