Allleanza tra Hamas e Hezbollah contro il cessate il fuoco? analisi della strategia dei due gruppi terroristici
Testata: Il Foglio Data: 10 febbraio 2005 Pagina: 1 Autore: un giornalista Titolo: «Hamas sceglie Hezbollah come alleato e modello. Tregua? Forse, ma tattica»
IL FOGLIO di giovedì 10 febbraio 2005 pubblica in prima pagina un articolo sulle strategie del gruppo terroristico palestinese Hamas, che non ha accettato la tregua di Sharm el Sheik, e di Hezbollah. Ecco il testo: Ramallah. I leader di Hamas hanno dichiarato che la tregua nei confronti di Israele non fa parte dei loro piani. "L’annuncio di un cessate il fuoco al summit di Sharm el Sheikh non vincola la continuazione della nostra resistenza – ha detto Osama Hamdan, capo di Hamas a Damasco – la dichiarazione di Abu Mazen è frutto di una decisione unilaterale presa da al Fatah e non il risultato di un dialogo interno palestinese". Zyad Abu Zyad, membro del consiglio legislativo dell’Autorità palestinese, dice al Foglio che il gruppo terroristico ha comunque obblighi da rispettare. "Ufficialmente Hamas non è vincolato agli accordi presi tra Mahmoud Abbas (Abu Mazen, ndr) e il premier Ariel Sharon – afferma – però si è impegnato con l’Anp a non rompere la calma, fino a quando Israele non compirà azioni militari. Hamas vuole far vedere che sta prendendo le distanze dai colloqui tra la leadership palestinese e il governo Sharon, ma ciò non vuol dire che non rispetterà una tregua". Per Abu Zyad, il gruppo terroristico vuole dimostrare di essere l’unico movimento patriottico, il solo a combattere per la "causa palestinese". "In questo modo crede di ottenere un maggior sostegno da parte della popolazione – aggiunge Abu Zyad – ma Hamas sa anche che molti palestinesi vogliono al più presto un cessate il fuoco". La popolarità di Abbas continua a crescere. Israele ha promesso alla controparte di rimuovere gli avamposti nella Cisgiordania, come parte del piano di ritiro da cinque grandi città dell’area. Inoltre, a mille palestinesi di Gaza sarà concesso un permesso di lavoro in Israele, dopo mesi di restrizioni per ragioni di sicurezza. Ieri, il presidente dell’Anp si è pertanto recato a Gaza con l’intenzione di convincere gli esponenti di Hamas e Jihad islamico a rivedere le loro posizioni. "La nostra linea non cambia – dice al Foglio Hassan Youssef, portavoce di Hamas in Cisgiordania – Il summit di Sharm el Sheikh è stato una presa in giro per la nostra popolazione: non sono stati trattati affatto i temi fondamentali, come il rilascio dei prigionieri, Gerusalemme e i rifugiati. Non siamo noi il problema. Vogliono un cessate fuoco? Che termini prima l’occupazione". Da Gaza, il portavoce di Hamas, Sami Abu Zahri, conferma al Foglio: "Niente tregua senza il rilascio dei prigionieri palestinesi". L’incognita Hamas dunque rimane. Il gruppo islamico ha ottenuto un ottimo risultato alle elezioni municipali a Gaza, continua quindi a godere di un forte consenso popolare. Il presidente dell’Anp però non ha perso terreno, anzi la sua popolarità è in crescita. "Se Abbas si dimostrerà capace di trasformare l’economia e di creare nuovi posti di lavoro, l’influenza di Hamas diminuirà – dice al Foglio Ra’anan Gissin, consigliere del premier Sharon – Certo, la popolarità del gruppo islamico è sempre forte. In dieci anni di corruzione di al Fatah, Hamas è stato l’unico movimento a garantire servizi sociali, è questa la ragione della sua forza a livello locale. Da parte nostra, siamo pronti a fare qualsiasi concessione per agevolare l’operato di Abbas, ma prima vogliamo vedere i fatti". Gissin dice che Israele sa che da parte di Hamas non ci sarà alcun cessate il fuoco. "E’ una contraddizione in termini. Vogliono la distruzione d’Israele e continueranno a tenere in ostaggio l’Anp e i suoi cittadini – continua – Abbas deve disarmare questi gruppi per il futuro della sua stessa popolazione. Se vuole, può farlo. Non si è mai sentito dire che un governo debba negoziare con i terroristi". Hamas, in questo momento, gioca astutamente le sue carte. Sta osservando la situazione. Vuole prima vedere il rilascio dei prigionieri palestinesi, tra cui due suoi leader, e aspetta le reazioni alle pressioni sulla Siria, che offre appoggio strategico e politico al gruppo, e su Hezbollah, che finanzia, anche attraverso l’Iran, le operazioni terroristiche contro Israele. Il segretario di Stato americano, Condoleezza Rice, da Parigi, ha appena accusato la Siria e denunciato i suoi legami con il terrorismo. Hamas quindi è cauto. Non ha alcun motivo per andare contro l’Anp. Mahmoud Zahar, leader di Hamas nei Territori, si è mostrato ieri alle telecamere israeliane tranquillo. Gerusalemme ha infatti promesso non soltanto che non effettuerà operazioni militari offensive, ma che smetterà gli omicidi mirati contro i ricercati. Abbas vuole poi cooperare con il gruppo armato, offrendogli un ruolo politico nell’Anp. Hamas prende tempo. "Persino il profeta Mohammed non ha condotto due battaglie nello stesso anno – dice al Foglio un sostenitore del gruppo – questo è il momento per riarmarci". Khaled Mashaal, leader di Hamas a Damasco, e Hassan Nasrallah, capo di Hezbollah, si sono incontrati la scorsa settimana a Beirut per concordare la continuazione della lotta armata contro Israele. Hamas è un gruppo sunnita: non accetterebbe mai l’influenza di un movimento sciita. Ma il rapporto tra Hezbollah e Hamas inizia, nonostante ciò, negli anni Novanta, quando alcuni membri dell’organizzazione palestinese, tra cui Abdel Rantissi, furono espulsi nel sud del Libano, dove impararono l’uso degli uomini-bomba e dei missili Kassam. Dopo il ritiro d’Israele dal Libano, nel 2000, il gruppo sciita proclama la sua vittoria e Gaza viene invasa dalle bandiere gialle di Hezbollah. Hamas, soprattutto nell’ultimo periodo, guarda al gruppo sciita come a un modello: Hezbollah infatti è stato capace di inserirsi nella vita politica libanese, mantenendo intatta la propria anima militare. Ufficiali della sicurezza palestinesi accusano il gruppo sciita di minare il processo di pace attraverso la fornitura di armi e i finanziamenti, che in questi ultimi mesi sono addirittura raddoppiati. Abu Mazen ieri ha inviato un suo emissario in Libano per chiedere al gruppo di rispettare la tregua e di non finanziare i terroristi palestinesi. "Hezbollah è dietro all’85 per cento degli attentati", dice Ely Karmon, esperto di antiterrorismo. Mentre da Roma, Boaz Ganor, direttore esecutivo dell’Istituto di Herzlyia per il controterrorismo, in Italia per un seminario che si tiene oggi alla Camera dei Deputati dal titolo "Strategia del terrore e risposta democratica", conferma che Hamas è sostenuta da Hezbollah (fin dall’inizio dell’Intifada di al Aqsa). Ganor dice di non essere colpito dalle parole dei leader di Hamas, perché contano i fatti. "Dal punto di vista delle pubbliche relazioni è difficile per Hamas accettare una tregua, ma in realtà gli attacchi sono diminuiti". Per Ganor, tutti gli attori questa volta vogliono un cessate il fuoco: non soltanto Anp, Israele, Egitto e Giordania, ma anche i protagonisti più impensabili, come Hamas stesso, e più nascosti, come Iran e Siria. "Hamas ha sofferto enormemente per le azioni mirate d’Israele e oggi è difficile per il gruppo lanciare attacchi. La hudna darà ai miliziani il tempo di riprendersi e di riarmarsi. Ma la leadership vuole la tregua anche perché sa che i palestinesi sperano che la situazione migliori, e Hamas non vuole essere additata come la variabile capace di mandare tutto all’aria". Eppure – spiega l’analista – quello che Hamas vuole è solo un cessate il fuoco temporaneo; non cederà mai su due punti: il riconoscimento di Israele e il disarmo. Proprio su una di queste due questioni avverrà lo scontro con Abu Mazen. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione de Il Foglio. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.