Amnesie, contraddizioni e omissioni del quotidiano napoletano sono la regola quando si tratta di Israele
Testata: Il Mattino Data: 08 febbraio 2005 Pagina: 5 Autore: Paolo Janni - un giornalista -la redazione Titolo: «Il viaggio-ponte di Condoleezza - Cessate il fuoco tra israeliani e palestinesi - Bimba uccisa a Gaza, rilasciato l’ufficiale»
IL MATTINO del 08/02/2005 pubblica in prima pagina e a pagina 10 l'articolo di Paolo Janni "Il viaggio-ponte di Condoleezza", che riportiamo:
La seducente retorica e un neo-wilsonismo temperato dal pragmatismo con il quale George W. Bush nel discorso inaugurale aveva delineato la sua strategia dei prossimi quattro anni - usare l’egemonia americana per porre fine alle tirannie nel mondo, diffondere la democrazia, assicurare la sicurezza collettiva - fanno da sfondo agli incontri che Condoleezza Rice ha avuto a Londra, Berlino, Varsavia, Ankara, Gerusalemme, in Palestina e ai colloqui che avrà a Roma e Parigi, con al centro Iraq, Iran e conflitto israelo-palestinese. SEGUE A PAGINA 10 Gli sbocchi, positivi o negativi, di queste crisi influenzeranno la politica estera della superpotenza almeno nel prossimo decennio e avranno ricadute, positive o negative, sulla coesione transatlantica. Le elezioni irachene hanno avviato il processo politico interno che dovrebbe condurre ad impiantare nel paese una democrazia compatibile con il credo religioso e la natura tribale di quella società e hanno conferito agli sciiti iracheni la legittimità democratica che, dicono gli americani, gli sciiti iraniani non hanno. Un avvenimento «storico», ma anche un azzardo. Molto dipenderà dall’uso che gli sciiti faranno del potere e dalla loro abilità di coinvolgere nella vita politica anche sunniti e curdi in uno stato federale e pacificato. Una loro deriva fondamentalista creerebbe, dentro e fuori, più problemi di quanti si pensasse di risolverne con le elezioni. Dentro, potrebbe accelerare il processo di decomposizione del paese alimentando le spinte verso una guerra civile. Fuori, potrebbe realizzare quell’alleanza sciita dall’Iran al Libano che tanto preoccupa la Giordania. Il successo della «strategia di uscita» degli americani è legato agli sviluppi post-elettorali. Saranno questi a chiarire se la continuazione della presenza americana nel paese costituisce veramente «parte del problema» o può servire invece come «parte della soluzione». Né gli Stati Uniti, né gli europei e ancor meno Israele possono accettare un Iran con una destabilizzante capacità nucleare offensiva, mentre gli iraniani, circondati da tre pesi nucleari, cercheranno prima o poi di dotarsi di un loro «deterrente», almeno per quell’orgoglio nazionale che percorre vasta parte dello spettro politico iraniano, opposizione compresa. Una crisi potrebbe essere disinnescata attraverso uno sforzo diplomatico congiunto euro-americano, nel quale gli europei userebbero la carota degli aiuti e gli americani la credibilità dell’uso della forza se tutti gli altri mezzi venissero esauriti, pur non essendo un attacco militare nelle carte, almeno «per il momento». Una uscita dal conflitto israelo-palestinese sembra essere facilitata dal nuovo clima delle relazioni anche personali tra Sharon e Abu Mazen (che oggi, nel corso del vertice di Sharm el Sheil, dichiareranno il cessate il fuoco), dal ritiro israeliano da alcune città occupate e dalla liberazione di centinaia di prigionieri politici palestinesi. Ma la pace vera rimane ancora ostaggio di due incognite. La prima riguarda la disponibilità israeliana a negoziare anche lo status di Gerusalemme, il destino degli insediamenti israeliani nella West Bank e ad accettare uno stato palestinese avente tutti gli attributi normali della sovranità. Un esercizio che comporta necessariamente concessioni reciproche. La seconda incognita concerne la disponibilità del presidente americano di coinvolgere nel negoziato bilaterale israelo-palestinese anche il suo personale prestigio e ad esercitare la grande «capacità di persuasione» della superpotenza. Gli incontri congiunti che Ariel Sharon e Abu Mazen avranno quanto prima alla Casa Bianca con Bush sono un buon inizio. Janni scrive di "concessioni reciproche", ma non esplicita quelle che dovrebbero riguardare la parte palestinese; anzi dice chiaramente che le incognite verso la pace dipendono da Israele o comunque dalla "capacità di persuasione" degli americani (va da sè che le pressioni dovranno essere esercitate sull'alleato israeliano). Gli oneri, par di capire, spettano tutti ad Israele, che dovrà dimostrare disponibilità totale verso ciascuna richiesta palestinese. Janni, altresì, trascura completamente il terrorismo palestinese e l'obbligo dell'Anp di smantellarne le strutture, punto di partenza per future trattative che dovrebbero impegnare entrambe le parti a rinunce politiche e territoriali. Entrambe le parti però, e non, come Janni suggerisce, solo quella israeliana. Iraq, Iran e conflitto israelo-palestinese sono crisi che investono la sicurezza degli americani e degli europei nella stessa misura e consigliano di aprire un nuovo capitolo nella storia della grande alleanza transatlantica. La straordinaria consonanza di visioni tra George W. Bush e Condoleezza Rice nella definizione delle strategie della politica estera americana fa di quest’ultima una portavoce attendibile della Casa Bianca. Nel suo viaggio Rice ha mostrato una superiore disponibilità all’ascolto ma dato anche alcuni segnali che potrebbero confermare qualche trionfalistica analisi di esponenti della intelighenzia americana secondo le quali, dopo il successo delle elezioni irachene, gli europei devono ora «ballare sulla musica di George W. Bush». Il nostro secolo potrebbe riservarci sorprese ancor più sgradevoli del XX secolo, a cominciare dallo scontro delle civiltà alimentato dal radicalismo religioso. Sarebbe un grosso errore se ognuna delle parti pensasse di rivitalizzare il dialogo transatlantico per affrontare meglio e insieme le nuove sfide, cominciando con un «avevamo ragione noi». A pagina 5 l'articolo "Cessate il fuoco tra israeliani e palestinesi", che riportiamo: Gerusalemme. Israeliani e palestinesi dichiareranno un cessate il fuoco reciproco oggi a Sharm el Sheik in occasione del primo vertice fra il capo del governo di Gerusalemme Ariel Sharon e il presidente dell'Anp Abu Mazen. Lo hanno confermato fonti palestinesi e israeliane dopo l'ultima riunione preparatoria fra i più stretti collaboratori dei due leader, Dov Weisglass e Mohamed Dahlan. Dopo anni di sangue e violenza israeliani e palestinesi dovrebbero così dichiarare ai più alti livelli la fine della spirale di violenza che ha insanguinato la Terra Santa negli ultimi anni, riaprendo la strada verso il rilancio del processo di pace e l'applicazione della Road Map. La notizia è giunta a conclusione della vitita in Medio Oriente del segretario di stato Usa Condoleezza Rice, la quale si è detta convinta che il vertice di Sharm el Sheik sarà un successo. La Rice ha anche rivelato che in primavera il presidente Bush riceverà il primo ministro Sharon e al presidente Abu Mazen cui ha consegnato inviti «distinti». Sempre ieri a Ramallah il segretario di stato americano ha reso noto che gli Stati Uniti hanno stanziato 40 milioni di dollari di aiuti all'Amministrazione palestinese che dovranno servire a migliorare le condizioni di vita della popolazione dei Territori. Questi aiuti sono distinti dal pacchetto di 350 milioni di aiuti annunciato nei giorni scorsi dal presidente George Bush in favore dell'Anp, e vengono percepiti come una sorta di «premio» per l’impegno di Abu Mazen a ricercare la pace. Ma c’è anche un altro «regalo», che però forse piacerà meno ai palestinesi anche se è stato subito accettato da Abu Mazen. Rice ha molto insistito sulla necessità che nei Territori prevalga un'atmosfera di sicurezza, e a questo scopo ha deciso di nominare un «coordinatore della sicurezza»: si tratta del generale William Ward, ex comandante delle forze Nato in Bosnia. «L'idea - ha spiegato - è che ci sia qualcuno di responsabile ad aiutare i palestinesi nella riforma dei loro servizi di sicurezza». Ward dovrà inoltre facilitare la cooperazione di sicurezza tra israeliani e palestinesi e seguire l'adozione delle misure concordate. Il vertice di oggi sul Mar Rosso avrà una duplice forma: Abu Mazen e Sharon dovrebbero vedersi prima da soli per concordare il primo percorso di uscita dalla violenza, che consenta di riaprire trattative di pace, poi si riuniranno con il presidente egiziano Hosni Mubarak e re Abdallah di Giordania. Il lavori si svolgeranno in un clima di ottimismo, timidamente emerso dopo la morte di Yasser Arafat in novembre, cresciuto con l'elezione il 9 gennaio di Abu Mazen alla presidenza Anp, e rafforzato dalle misure da lui subito prese per fermare la violenza dei gruppi armati palestinesi. Da quasi 20 giorni è in vigore una quasi tregua, concordata da Abu Mazen con le fazioni palestinesi. La dichiarazione sullo stop alla violenza dovrebbe essere il punto centrale del vertice di Sharm, che durerà poche ore. Il summit dovrebbe anche formalizzare alcuni accordi concordati negli ultimi giorni da israeliani e palestinesi per un primo generale raffreddamento della situazione sul terreno, e incamerare dichiarazioni di ottimismo sulla prospettiva della pace. Fra le prime misure di «buona volontà» chieste da Abu Mazen c'è la liberazione dei detenuti palestinesi. Israele ha accettato di liberarne 900 su 8000, dopo il summit, ma rifiuta di liberare detenuti con «sangue sulle mani». L'Anp chiede che il numero dei liberati sia maggiore. Un altro accordo che dovrebbe essere annunciato è quello sul ritiro dell'esercito israeliano da cinque città cisgiordane, Gerico, Betlemme, Qalquilya, Tulkarem e Ramallah, che verranno restituite al controllo delle forze di sicurezza Anp. Sharon dovrebbe inoltre aprire ad un coordinamento con l'Anp dell'annunciato ritiro da Gaza. Abu Mazen dovrebbe sollevare anche la questione della barriera di difesa israeliana, quella che i palestinesi chiamano il «muro dell'apartheid» la cui costruzione è stata condannata anche dall’Onu. Dall'articolo emerge soprattutto il tentativo del giornalista di eliminare qualsiasi rapporto di causa-effetto tra il terrorismo palestinese e le risposte militari israeliane, infatti l'autore parla a più riprese di "violenza" o "spirale di violenza" stabilendo implicitamente un'equazione (spuria) tra le azioni dei terroristi e quelle dell'esercito israeliano. Ma è lo stesso autore a contraddirsi quando, intento a tessere le lodi di Abu Mazen, dice che il "clima di ottimismo" e la "quasi tregua" sono dovuti principalmente alle rapide iniziative intraprese dal presidente palestinese per raggiungere un accordo con le "fazioni palestinesi" (mai terroristi!), ammettendo implicitamente che nel momento in cui le attività terroristiche palestinesi calano, anche Israele non ha la necessità di agire militarmente.
Sempre a pagina 5 troviamo l'articolo: "Bimba uccisa a Gaza, rilasciato l’ufficiale". Il titolo è in perfetto stile Il Mattino: estremamente scorretto e mistificatorio. Leggendolo non si capisce affatto che l'ufficiale israeliano è stato vittima di calunnie da parte di alcuni soldati, bensì sembra che sia stato liberato nonostante le accuse. L'articolo, poi, più che la cronaca degli ultimi e importanti sviluppi sembra il resoconto dell'accadduto scritto il giorno dopo i fatti, quando, appunto, i sottoposti accusarono l'ufficiale di aver infierito sul corpo esanime dell'adolescente palestinese. Solo in chiusura, infatti, si riferisce dell'ammissione di alcuni soldati (anche se Il Mattino parla di "uno dei testimoni") di aver testimoniato il falso, senza peraltro spiegare esplicitamente che proprio le accuse gravi che riguardavano il capitano, e che Il Mattino seguita a riportare rivestendole di una qualche verosimiglianza, sono state smontate. Non a caso, nell'articolo, il tragico errore che portò all'uccisione della bambina viene definito "agghiacciante uccisione", come se le accuse invece di essere smentite fossero state confermate.
Ecco l'articolo: Non cessa di riservare sorprese l’agghiacciante uccisione di Iman al-Hams, 13 anni, la piccola palestinese crivellata di colpi il 5 ottobre scorso a Rafah (Gaza) dopo che era entrata in una zona militare nei pressi dell'avamposto israeliano Ghirit, al confine con l'Egitto. Da settimane il comandante di una compagnia della Brigata Givati era accusato di aver infierito sul cadavere di Iman, su cui avrebbe scaricato un intero caricatore a distanza ravvicinata. Ad inchiodarlo erano, fra l'altro, le deposizioni rese da alcuni sottoposti. Invano il comandante, un capitano, aveva detto di essere oggetto di false accuse per via di faide interne nella compagnia, dove i soldati veterani non erano disposti ad accettare la sua ferrea disciplina. E ieri un tribunale militare ne ha deciso la scarcerazione dopo che uno dei testimoni ha ammesso di aver testimoniato il falso Invitiamo i lettori di Informazione Corretta a dare il proprio giudizio su quanto scritto dal quotidiano napoletano. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail pronta per essere compilata e spedita.