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Il Manifesto Rassegna Stampa
08.02.2005 Nè fatti, nè argomentazioni. Solo pregiudizi contro Israele
in un artcolo di Maurizio Matteuzzi

Testata: Il Manifesto
Data: 08 febbraio 2005
Pagina: 13
Autore: Maurizio Matteuzzi
Titolo: «Sharm, l'imprimatur di Rice»
IL MANIFESTO pubblica martedì 8 febbraio 2005 un articolo di Maurizio Matteuzzi sul vertice di Sharm el Sheik.
L'attuale sostegno dell'amministrazione statunitense alla leadership palestinese arriva, secondo Matteuzzi, dopo anni in cui tutte le "nefandezze" di Israele sono state appoggiate.
Le "nefandezze" di Israele sono ovviamente le azioni di difesa dal terrorismo. Per contro i lanci di razzi qassam e i tiri di mortaio sui civili israeliani, che le truppe palestinesi ora schierate a Gaza hanno il compito di fermare, per Matteuzzi sono "attacchi terroristici" solo tra virgolette.
Israele, naturalmente, cercherà di tirare per le lunghe i negoziati, impedendo la nascita di uno Stato palestinese. Abu Mazen è un leader debole, gradito in modo sospetto agli americani, che non può far altro che "ringraziare".
L'intero articolo trascura completamente qualsiasi tentativo di suffragare le sue tesi con fatti o argomentazioni: si limita a ripetere i dogmi della fede anti-israeliana propagandata dal quotidiano comunista in ogni circostanza.
"Se i fatti sono contro di noi", danno l'impressione di pensare al MANIFESTO, "tanto peggio per i fatti".

Ecco l'articolo:

Ora che è morto e sepolto Arafat, assurto a simbolo dell'impossibilità di arrivare alla pace - con Sharon assurto a simbolo della volontà di pace -, sembra difficile frenare l'ottimismo dopo il viaggio del nuovo segretario di stato Usa in Israele e Palestina, e alla vigilia del vertice israelo-palestinese di oggi a Sharm el-Sheik. Il Bush-2, dopo avere coperto tutte le nefandezze di Israele nei quattro anni del Bush-1, e dell'Intifada, promette che gli Usa «saranno molto attivi», parola di Condoleezza Rice.

Era il primo contatto ad alto livello dell'amministrazione Usa con la nuova e più gradita leadership palestinese. L'elezione del «moderato» Abu Mazen alla presidenza dell'Anp, in gennaio, sembra avere per incanto sbloccato la impasse. Crediti politici e crediti economici aperti ai palestinesi. Dopo aver incontrato Sharon e il ministro degli esteri israeliano Shalom domenica a Gerusalemme - ammonendo che anche per loro è venuto il momento di «dolorose concessioni» -, ieri Rice è andata a Ramallah per parlare con Abu Mazen. Nella conferenza stampa congiunta a nessuno è sfuggito che Rice si è rivolta al suo interlocutore come «President Abbas». Arafat, Bush e soci lo chiamavano al massimo e ostentatamente «Chairman Arafat», che in italiano si traduce presidente ma che non significa affatto capo di Stato.

«Questo è il momento più incoraggiante degli ultimi anni per un progresso fra israeliani e palestinesi», ha detto la Rice al momento della sua partenza per Roma, dove oggi incontrerà Berlusconi e avrebbe dovuto incontrare papa Wojtyla. «Parto con molta fiducia nel successo» del vertice di oggi che vedrà riuniti a Sharm el-Sheikh Sharon, Abu Mazen, il presidente egiziano Mubarak e il re giordano Abdallah.

I passi previi alla visita gratificante di Rice e all'incontro di oggi sono stati il dispiegamento di poliziotti palestinesi sul confine fra Gaza e Israele per impedire gli «attacchi terroristici» e la mezza tregua strappata da Abu Mazen a Hamas e ai gruppi combattenti da un lato e, dall'altro, l'impegno a liberare 900 prigionieri palestinesi (ma non i più significativi politicamente) e a ritirarsi dalle principali città della Cisgiordania (ma non da Jenin) e l'annuncio della sospensione delle «esecuzioni mirate».

«Ovviamente bisogna fare di più», ha detto ieri Rice riferendosi ai palestinesi, ma «è un inizio incoraggiante». Che va premiato. Con la nomina sul campo di Abu Mazen a «Presidente Abu Mazen», con l'invito al nuovo leader palestinese a Washington in primavera per un vertice a tre alla Casa bianca, con la richiesta di Bush al Congresso di concedere in un prossimo futuro all'Anp 350 milioni di dollari e, nell'immediato, aiuti per 40 milioni di dollari: poco più di un'elemosina ma un'elemosina di una qualche valenza simbolica; e infine con la nomina del generale William Ward, a nuovo «security co-ordinator» dell'amministrazione Usa che non riprenderà la «diplomazia dello shuttle» dei tempi andati ma dovrà «incoraggiare la ripresa del coordinamento bilaterale in materia di sicurezza» e, soprattutto, incarnare il rinnovato impegno Usa.

«Una nuova opportunità», per il ministro israeliano Shalom. «Un buon inizio», per Saeb Erakat, l'ex-negoziatore palestinese. Ma i palestinesi non possono fare altro che accontentarsi e ringraziare, al momento. Ringraziare Sharon che acconsentirà oggi a incontrare il leader palestinese a Sharm el-Sheikh dopo 4 anni di ostracismo; ringraziare la Rice per il suo impegno; ringraziare Mubarak e Abdallah per il loro più che sospetto interessamento.

Da Sharm oggi ci si aspetta una dichiarazione formale di tregua delle attività armate da ambo le parti, se non proprio della fine dell'intifada. Poi nelle successive settimane e mesi si vedrà cosa succede. Un cessate il fuoco sarebbe un buon viatico per la ripresa dei negoziati sulla roadmap, che gli americani dicono di voler riesumare e portare avanti. Ma sono in pochi a credere che Sharon - oltre alla priorità del ritiro unilaterale da Gaza - voglia davvero impegnarsi a riprendere in mano quel piano di pace complessivo - ancorché pessimo per le speranze palestinesi - in quanto si troverebbe di fronte i nodi più spinosi e irrisolti: i confini definitivi degli Stati di Israele e di Palestina, il futuro delle centinaia di colonie israeliane in Cisgiordania, il destino dei profughi palestinesi, lo status di Gerusalemme. Ma Israele è maestro usare il fattore tempo e in Medio Oriente l'interim tende a diventare permanente, per cui i negoziati finali resteranno lontani qualunque sia l'esito del vertice di Sharm e lo stato palestinese - pur nella forma di staterello tipo bantustan - potrebbe restare per chissà quanto tempo nel limbo.
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