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Il Mattino Rassegna Stampa
04.02.2005 Michele Giorgio smentisce se stesso, ma non la propria faziosità
sul quotidiano napoletano

Testata: Il Mattino
Data: 04 febbraio 2005
Pagina: 10
Autore: Michel Giorgio
Titolo: «Segni di disgelo: via Israele da cinque città»
Michele Giorgio smentisce Michele Giorgio. Ieri su Il Manifesto aveva definito di scarsissimo valore le misure adottate (ritiro da alcuni importanti centri della Cisgiordania e rilascio di circa 900 detenuti palestinesi) dal governo israeliano in vista dell'incontro tra Sharon e Abu Mazen la prossima settimana. Oggi su Il Mattino cambia opinione e scrive che "queste misure sono destinate ad avere un impatto positivo" definendole "importanti" e "distensive". Addirittura nello stesso articolo scrive correttamente: "in effetti più che di un ritiro delle forze di occupazione si tratta del ritorno nella strade delle cinque città interessate della polizia palestinese. Le forze armate israeliane infatti già da alcuni mesi hanno lasciato le città palestinesi – rioccupate durante l’operazione «Muraglia di difesa» del marzo del 2002, scattata dopo una ondata di attentati suicidi – e hanno preso posizione intorno ai centri abitati".

Va detto, però, che nel titolo, nel sottotitolo e nell'occhiello non c'è alcun riferimento alla notizia, evidentemente scomoda per Il Mattino, ma che lo stesso Giorgio riporta nel suo articolo, del ragazzino 15enne palestinese fermato ad un posto di blocco israeliano con uno zaino contenente una cintura esplosiva e altre armi.

Ecco l'articolo:

Gerusalemme. Israele ha deciso ieri due importanti misure distensive verso la nuova leadership dell'Autorità nazionale palestinese (Anp) in vista del vertice, in programma martedì prossimo a Sharm el Sheikh, fra il premier Ariel Sharon e il presidente palestinese Abu Mazen, al quale saranno presenti anche il re di Giordania Abdallah e il presidente egiziano Mubarak. Per decisione del Consiglio di gabinetto, le forze armate israeliane usciranno da cinque città della Cisgiordania mentre alcune centinaia di prigionieri politici palestinesi (900 secondo alcune fonti) faranno ritorno a casa.


Per Giorgio i detenuti sono tutti dei semplici "prigionieri politici"


Negoziate dal ministro della Difesa israeliana Shaul Mofaz e dall'ex ministro palestinese Mohamed Dahlan (stretto collaboratore di Abu Mazen), queste misure sono destinate ad avere un impatto positivo sul vertice di Sharm el-Sheikh che, riferiva ieri la stampa locale, potrebbe concludersi con l’annuncio di un cessate il fuoco tra le due parti. La tensione comunque è ancora alta. Ieri sera un quindicenne palestinese, con una cintura esplosiva nascosta nello zaino, è stato bloccato e arrestato dalle truppe israeliane ad un posto di blocco nei pressi di Nablus (Cisgiordania). Un soldato invece è rimasto ferito in una sparatoria avvenuta nei pressi della colonia ebraica di Gush Qatif (Gaza).


Precisamente in seguito ad un attacco di terroristi palestinesi


La prima città cisgiordana da cui si ritireranno i soldati israeliani sarà Gerico. Poi saranno riconsegnate alle forze di polizia palestinesi Tulkarem, Betlemme, Qalqilya e Ramallah. La misura non riguarda Nablus e Jenin, le due «città calde» dell’Intifada. In effetti più che di un ritiro delle forze di occupazione si tratta del ritorno nella strade delle cinque città interessate della polizia palestinese. Le forze armate israeliane infatti già da alcuni mesi hanno lasciato le città palestinesi – rioccupate durante l’operazione «Muraglia di difesa» del marzo del 2002, scattata dopo una ondata di attentati suicidi – e hanno preso posizione intorno ai centri abitati. Il significato reale della decisione presa da Sharon quindi sta nella restituzione delle cinque città al controllo delle forze di sicurezza dell’Anp che Abu Mazen sta riformando e riorganizzando. Proprio ieri un gruppo di 42 ufficiali palestinesi è partito per l'Egitto, dove sarà sottoposto a un addestramento di sei settimane, prima di fare ritorno nella Striscia di Gaza per occuparsi del controllo del territorio dopo il ritiro israeliano previsto entro la fine dell’anno. Abu Mazen in particolare guarda con favore al rilascio di 900 prigionieri palestinesi: 500 verranno liberati la prossima settimana, gli altri 400 in una data ancora da definire, ma entro i prossimi tre mesi. Il ritorno a casa dei detenuti è destinato ad accrescere la popolarità e migliorare l’immagine del presidente palestinese nonché a rafforzare la sua strategia che punta a porre fine all’Intifada. Per questo motivo Abu Mazen ieri ha chiesto che i primi ad essere rilasciati siano i prigionieri che hanno passato più anni in cella. «Non conosciamo le cifre precise, e quali prigionieri (gli israeliani) intendano liberare, ma quel che ci preme è che il primo scaglione sia numeroso ed includa quei detenuti che hanno scontato lunghe pene detentive», ha dichiarato. Il provvedimento tuttavia non riguarderà coloro che sono stati condannati per attacchi contro cittadini israeliani e tra coloro che lasceranno la cella ci saranno ben pochi attivisti di Hamas e di altri gruppi armati. Non è quello che sperava Abu Mazen, che ha necessità di offrire una contropartita al movimento islamico per garantirsi il rispetto del cessate il fuoco.
Quindi, par di capire che la "tregua" sia una scelta, come già in passato, esclusivamente di natura tattica: serve ai gruppi terroristici palestinesi per ricattare Abu Mazen e per riorganizzarsi. Sarà un caso che dopo l'annuncio israeliano della volontà di rilasciare 900 detenuti palestinesi, esclusi quelli "con le mani sporche di sangue", le organizzazioni terroristche, nella sola giornata di ieri, hanno attaccato e ferito 6 soldati israeliani, e l'Anp, forse comprendendo il messaggio ricattatorio dei terroristi, ha declinato l'offerta israeliana definendola addirittura "insultante"?


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