Perchè Israele può fidarsi veramente solo degli Stati Uniti intervista a Michael Oren
Testata: Il Foglio Data: 03 febbraio 2005 Pagina: 2 Autore: Amy K. Rosenthal Titolo: «Perchè sinistra, Europa e Nazioni Unite non fanno sentire Israele al sicuro»
IL FOGLIO di giovedì 3 febbraio 2005 pubblica a pagina 2 un'intervista di Amy K. Rosenthal a Michael Oren, , ex consigliere della delegazione israeliana presso le Nazioni Unite, membro del think tank israeliano Shalem Center e autore del saggio storico "La guerra dei sei giorni"(si veda nella nostra sezione libri per saperne di più), oggi ristampato negli Oscar Mondadori. Ecco l'articolo: Non c’è nessuno che sappia difendere il diritto all’esistenza dello Stato d’Israele come Michael Oren. Da buon ebreo americano ha deciso di coniugare idealismo e azione ed è andato a vivere in Israele, dove si è arruolato in Tsahal per combattere la guerra del Libano nel 1982. Poi ha ripreso la divisa americana, quella della sesta flotta, per "dare una mano" – come dice lui – nella prima guerra del Golfo, restando un (atipico) intellettuale. E’ stato consigliere della delegazione israeliana presso le Nazioni Unite, ora è membro del think tank Shalem Center di Gerusalemme e, nel 2002, ha pubblicato un libro, "La guerra dei sei giorni" (uscito in Italia nel 2003), tiene due rubriche, – una sul Washington Post e una su New Republic – e ha anche coltivato la sua passione per le storie e i personaggi. Oren è molto attento agli ultimi sviluppi in medio oriente, senza perdere di vista le influenze esterne, soprattutto il ruolo degli Stati Uniti di George W. Bush e della destra cristiana che, come ha detto David Brooks, editorialista del New York Times, alla conferenza organizzata dal Foglio con l’Adl e il ministero degli Esteri, "è in America l’alleato naturale degli ebrei e di Israele". Secondo Oren "esiste ancora un certo antisemitismo a destra", ma è la sinistra mondiale ad aver perso la direzione: "Buona parte della sinistra europea è diventata così moralmente povera da non sapersi smarcare dalle più terribili forme di estremismo islamico, escludendosi da qualsiasi discussione produttiva sull’antisemitismo". Oren definisce "curioso" il fatto che "un europeo di sinistra un giorno dica che gli ebrei non hanno il diritto di avere uno Stato, o addirittura che sono ‘nazisti’, e il giorno seguente li inviti a una discussione sull’antisemitismo. Le due cose non stanno insieme". La destra cristiana americana è invece diventata una grande sostenitrice di Israele anche perché Bush "ha tenuto conto degli umori di 70 milioni di elettori più delle opinioni di 2-3 milioni di elettori ebrei". Il presidente americano e il premier israeliano sono spesso stati definiti "assassini" e "colonialisti", perché l’antiamericanismo e i sentimenti anti-israeliani sono spesso le facce della stessa medaglia: "Israele e Stati Uniti credono più di ogni altro paese nell’amore per la patria, nell’uso impenitente della forza e sono entrambi molto religiosi. Sono questi gli elementi che segnano la differenza con l’Europa occidentale. Quando gli europei vedono Israele come un’appendice degli Stati Uniti non hanno del tutto torto: è una caratteristica dell’asse israelo-americano e attiene anche ai rapporti tra i due capi di Stato. Bush e Sharon si trovano sulla stessa lunghezza d’onda. Sono colonialisti? Gli Stati Uniti non hanno più alcuna colonia da molto tempo e Israele non ne ha mai avuto una, ha insediamenti in aree ‘contese’ che stanno in parte fuori e in parte dentro al suo territorio nazionale". E’ anche per questo che, in sede Onu, sono sempre gli Stati Uniti a sostenere Israele, perché "hanno una coscienza del mondo, una visione chiara e globale" molto diversa da quella della Francia, per esempio, che "organizza funerali di Stato per Yasser Arafat": "Quando vediamo cose del genere sappiamo di sentirci al sicuro soltanto con gli Stati Uniti". Le Nazioni Unite non possono essere mediatori super partes perché sono "fondate sulla regola della maggioranza. I paesi musulmani e del Terzo mondo, che votano in blocco contro Israele, sono i più rappresentati nell’Assemblea generale. Per di più l’Europa spesso li segue, per cui finisce che il 35 per cento delle risoluzioni su Israele sono una condanna. Poi paesi come Libia e Arabia Saudita siedono nella Commissione Onu per i diritti umani: questi fattori non mettono certo l’Onu in una posizione in cui possono giocare un ruolo realisticamente mediatore nel conflitto arabo-israeliano". L’atteggiamento dell’Europa nei confronti del conflitto israelo-palestinese è stato "notevolmente sbilanciato", secondo Oren, in quanto, "non riuscendo a giocare un ruolo utile, l’Europa ha finito per squalificare se stessa". Avrebbe dovuto essere più bilanciata, ma è "inconcepibile anche soltanto l’aver mostrato un così dogmatico rispetto per Arafat, un uomo corrotto e violento, responsabile dell’omicidio di molti israeliani e di tanti arabi, un uomo che ha mentito in ogni occasione: conferirgli autorevolezza è stato molto irrispettoso". Secondo Oren, infatti, esiste una differenza tra l’espressione critica verso Israele e l’antisemitismo, ma "l’antisionismo è spesso indistinguibile, finisce per confluire nell’antisemitismo". Per esempio, "ci sono fumetti con Sharon che mangia bambini palestinesi o Sharon che guida un carro armato contro Gesù Bambino a Betlemme: queste immagini sono prese dalla letteratura antisemita e danno un messaggio inequivocabilmente antisemita". Ogni volta che Israele "è tenuto sotto accusa" molto più di ogni altro Stato occidentale, allora si tratta di antisionismo, "quando gli europei paragonano il trattamento di Israele sui palestinesi al nazismo, si tratta di antisemitismo". Il comportamento dell’Europa è ambiguo, ma ci sono i nemici dichiarati, come la Siria – "Bush si è impegnato per bloccare la vendita di armi russe con un certo successo, ma la preoccupazione rimane", spiega Oren – e l’Iran, "la maggiore minaccia per Israele", che "sta tentando di prendere il controllo sul Libano del sud ed è coinvolto nel terrorismo palestinese iracheno. Gli iraniani proveranno a spostare il loro confine occidentale". La cattura di Osama bin Laden è una priorità dell’Amministrazione americana ma ora è necessario "instaurare la democrazia in Iraq e favorire l’accordo di pace tra israeliani e palestinesi". E’ quello che, secondo Oren, Tony Blair non ha capito bene: non ci sarà alcuna "pace di Londra" perché "il premier inglese ha configurato la conferenza in modo tale da non affrontare il tema della pace ma quello della riforma democratica palestinese". Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione de Il Foglio. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.