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Il Manifesto Rassegna Stampa
03.02.2005 Non succederà nulla: per il quotidiano comunista il vertice tra Sharon e Abu Mazen è fallito prima di cominciare
previsione o speranza?

Testata: Il Manifesto
Data: 03 febbraio 2005
Pagina: 11
Autore: Michele Giorgio - la redazione
Titolo: «Un vertice con poco sale - Sempre più colonie»
IL MANIFESTO di giovedì 3 febbraio 2005 pubblica a pagina 11 un articolo di Michele Giorgio sul previsto vertice tra Sharon e Abu Mazen.
Se il rifiuto di incontrare Abu Mazen dopo l'attentato a Karni era stato definito dal quotidiano comunista un "siluramento", la decisione di incontrarlo è ora irrilevante.
Se l'occupazione delle città palestinesi e i detenuti palestinesi erano ostacoli alla tregua, ora il piano di ritiro delle truppe da quattro città e la disponibilità a liberare circa 900 detenuti sono irrilevanti.
Se l'uccisione di una bambina palestinese a Rafah, attribuita a Israele, era la causa scatenante della "risposta" di Hamas, ora o il fatto che l'Anp escluda la responsabilità dell'IDF non è neppure menzionato.
Israele, continua a sostenere IL MANIFESTO, non è disposta a concedere nulla ai palestinesi e porterà così al fallimento delle trattative di pace e del tentativo di governo di Abu Mazen.
Se l'attribuzione delle responsabilità è basata, come abbiamo visto, su una accorta selezione delle notizie da evidenziare e di quelle da nascondere, lo scenario previsto sembra rispondere più a un desiderio che ad una analisi fondata sui fatti.
L'intifada, per Giorgio e compagnia, deve continuare, qualunque cosa faccia Israele.

Si incontreranno martedì prossimo a Sharm El-Sheikh, Ariel Sharon e Abu Mazen, alla presenza di re Abdallah di Giordania, su invito del presidente egiziano Hosni Mubarak. L'annuncio è stato dato ieri dal capo dei servizi di sicurezza egiziani Omar Suleiman al termine degli incontri avuti in Israele e nei Territori occupati. E' stata una sorpresa a metà. Mubarak e Abu Mazen infatti avevano discusso nei giorni scorsi della ipotesi di un vertice e Israele ne era stato informato. L'incontro in ogni caso ha un valore simbolico, le prospettive che il summit possa concludersi con una svolta sono minime. Lo indica peraltro l'esitazione del segretario di stato Condoleeza Rice a prendervi parte («è una tappa incoraggiante», si è limitato a commentare ieri il portavoce della Casa bianca, Scott McClellan). Ciò non ha indotto buona parte dei media internazionali ad esprimere giudizi più cauti. Al contrario il vertice è stato presentato come una ripresa a tutti gli effetti del negoziato di pace. Si respira di nuovo quell'atmosfera artificiale fatta di sorrisi e strette di mano sotto i riflettori delle telecamere, che aveva segnato gran parte della pace di Oslo (1993-2000) in cui incontri internazionali e summit venivano presentati come momenti culminanti di un processo inarrestabile verso la pace. Il successivo fallimento del vertice di Camp David (luglio 2000) dimostrò che, in mancanza di una mediazione internazionale imparziale, israeliani e palestinesi erano incapaci di trovare una soluzione ai nodi del conflitto: Gerusalemme, i profughi, la sovranità palestinese, il controllo del territorio e delle sue risorse naturali.
A Sharm El-Sheikh, il premier israeliano Sharon andrà per due motivi: migliorare la sua immagine nel mondo arabo e perché al vertice si parlerà soprattutto di sicurezza. A confermarlo è stato indirettamente il ministro palestinese per i negoziati, Saeb Erekat, che, in una intervista ad una agenzia di stampa, ha esortato i partecipanti al vertice ad affrontare anche i temi politici: occupazione militare delle città palestinesi, il muro in costruzione in Cisgiordania, la questione delle migliaia di detenuti politici in carcere in Israele, la colonizzazione. In sostanza ha chiesto la attuazione della «Road Map». E non è un caso che il premier Abu Ala abbia insistito da parte sua sulla importanza che all'incontro nel Sinai prenda parte anche Condoleeza Rice. Washington per il momento non sembra intenzionata a giocare le sue carte e lascia intendere che si limiterà, sino a nuovi sviluppi, ad aumentare il suo aiuto economico ad Abu Mazen.
Edward Abington, ex console generale Usa a Gerusalemme, ha rivelato che Bush e Rice si stanno preparando ad intervenire «con generosità». Il Congresso ha già approvato uno stanziamento di 50 milioni di dollari e, a suo dire, è ora alla ricerca di altri 150 milioni per l'Anp. Sul fronte politico l'Amministrazione Usa invece non muoverà ancora passi importanti anche se George Bush dedicherà al Medio Oriente e alla questione israelo-palestinese parte del suo discorso alla nazione.Più concreto di Sharm El-Sheikh dovrebbe invece rivelarsi un altro «vertice» in terra egiziana. La guida suprema del movimento islamico Hamas, Khaled Mashaal, è al Cairo in attesa di un incontro con Omar Suleiman con il quale discuterà del cessate il fuoco nei Territori occupati. In un'intervista rilasciata ad Al Jazeera, Mashaal ha detto che la tregua palestinese dipende in larga misura da Israele. Il punto principale - ha detto - «sta nel ritiro di Israele dalle proprie posizioni». Senza questo impegno, ha aggiunto «anche se ci saranno molti summit, la situazione non cambierà e il popolo palestinese è pronto a continuare la resistenza se non si vedrà una luce all'orizzonte».
A fianco del pezzo di Giorgio troviamo un breve articolo sulla colonizzazione "selvaggia" della Cisgiordania nel quale vengono equiparati sia l'estensione naturale, cioè dovuta all'incremanto demografico, degli insediamenti già esistenti e la costruzione di insediamnti ex novo, sia la costruzione di insediamenti legali e quella di outpost (composti in genere da poche roulotte) illegali, attribuendo anche questi alla responsabilità del governo.
Due gravi manipolazioni della realtà.
Ecco l'articolo:

Ritirarsi da Gaza per colonizzare sempre più selvaggiamente la Cisgiordania. Il rapporto annuale sugli insediamenti pubblicato ieri dall'organizzazione pacifista israeliana Peace Now sembra confermare il reale scopo del cosittetto «piano di disimpegno», voluto dal premier israeliano Ariel Sharon, che prevede l'evacuazione di tutti gli insediamenti dalla Striscia entro la fine del 2005. Secondo Peace Now, nel corso di tuttoil 2004, Israele ha continuato sia ad ingrandire molte delle 128 colonie della Cisgiordania, sia a stabilire decine di cosiddetti «outpost», caravan e baracche che possono fungere da embrioni di colonie o da prolungamento degli insediamenti in vista di una loro espansione. L'organizzazione israeliana ha calcolato che questi «protoinsediamenti», da aggiungere alle colonie vere e proprie, hanno raggiunto le 99 unità, 12 delle quali sono in grande espansione e altre 15 in ampiamento. Per quanto riguarda gli insediamenti invece, in 21 di questi si sta costruendo al di fuori dei confini, in contraddizione con l'impegno di Sharon a bloccarne l'espansione. 3.500 sono le unità abitative in costruzione nelle colonie della Cisgiordania. Molte di queste interessano gli insediamenti ad est di Gerusalemme. Tra le colonie che si stanno espandendo maggiormente figurano Ma'aleh Adumim, Beitar Ilit, Modi'in Ilit, Alfei Menasheh e Adam.
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