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La Repubblica Rassegna Stampa
01.02.2005 La resistenza irachena è andata a votare contro il terrore
i terroristi, invece, le hanno sparato contro

Testata: La Repubblica
Data: 01 febbraio 2005
Pagina: 1
Autore: Adriano Sofri
Titolo: «Di chi sono quegli elettori»
In prima pagina LA REPUBBLICA di martedì 1 gennaio 2005 pubblica un articolo di Adriano Sofri, che riportiamo.
Non condividiamo la separazione istituita da Sofri tra il giudizio sulle elezioni e quello sull'impiego della forza che le ha rese possibili, nè il titolo dato dal giornale, che ci sembra avanzare una rivendicazione infondata a nome di una parte politica, ma ci pare comunque che questo articolo contribuisca a fare chiarezza su molti degli equivoci politici e morali "ai limiti dell'infamia" che si sono consumati sulla vicenda irachena.
Ecco il testo:

La sinistra, e specialmente la sinistra che si vuole intransigente e pura (bella intenzione, senz´altro), e inclina così spesso ai pregiudizi e ai conformismi, si sente comunque riscattata e nobilitata dalla solidarietà con gli ultimi e le vittime. Questo benintenzionato alibi diventa disastroso quando si equivoca sugli ultimi e le vittime coi quali schierarsi. Nella vicenda delle elezioni irachene il fraintendimento è stato così grosso da far rischiare l´infamia.
La denigrazione e l´irrisione delle elezioni immaginava di misurarsi con l´occupazione militare degli americani e dei loro alleati, con i gruppi e le personalità politiche considerate fantocci degli occupanti, con i fiancheggiatori ideologici dell´esportazione armata della democrazia. Però alle sette di domenica mattina la mano è passata agli iracheni, che in tanti hanno deciso di avventurarsi nelle strade minacciate dai mortai e dai cecchini, di mettersi in coda dietro sconosciuti che potevano essersi cinti di tritolo, di percorrere chilometri a piedi per arrivare al loro seggio, di salutare le telecamere col dito indice intinto nell´inchiostro elettorale. Da quel momento, il giudizio sprezzante sulle elezioni riguardava loro, le famiglie intere vestite a festa per andare a votare, le vecchie e i vecchi trasportati al seggio su carretti spinti a mano, i gruppi di donne nere o colorate in cammino verso i seggi. Bisognava guardare quelle persone e reinterrogarsi sulla resistenza. Non per ripetersi che non si possa chiamare col nobile nome di Resistenza gli attentatori delle autobombe, delle cinture esplosive, dei sequestri e delle decapitazioni rituali: bestemmia immeritevole di discussione. Né per ridiscutere di una guerriglia che ha mietuto migliaia di vittime fra gli iracheni, scelti fra i disoccupati in coda per un posto nella polizia o nella Guardia Nazionale, fra gli operai disposti a impiegarsi con un datore di lavoro straniero, fra le donne salariate per fare le pulizie con qualche ditta straniera ? o semplicemente fra i passanti di una strada o di un mercato. All´opposto, per ammirare la resistenza di quei votanti alla minaccia assassina che li aveva ammoniti con tanta iattanza. Gente ragionevolmente impaurita che alzava le dita in segno di vittoria, che dichiarava agli intervistatori: "Non abbiamo paura". Che diceva: "Questo è il mio paese", e lo certificava col polpastrello macchiato di inchiostro copiativo. Molte di quelle persone hanno votato probabilmente per formazioni e leader tentati dall´intolleranza religiosa e patriarcale. Molti saranno animati dal desiderio che gli americani e tutti gli altri militari stranieri se ne vadano al più presto dall´Iraq. Il futuro del loro paese resta gravido di sofferenze, sopraffazioni e frustrazioni. Ma intanto sono andati a votare, sfidando un´intimidazione fanatica e vigliacca ? chiamo senza esitazione vigliacca anche la violenza degli assassini suicidi.
Se la nostra sinistra è degna, se la nostra intransigenza non si esaurisce nella vanità, quei votanti sono i nostri. Si sono affacciati ai balconi, hanno messo il naso fuori dalla porta, si sono avventurati silenziosamente nelle strade, sono diventati file composte e prudenti e via via più larghe e sicure e allegre. Un popolo che si desta.
Una sinistra che non si sia dimenticata di onorare il coraggio civile e la dignità, e di amare la vita comune, sta dalla loro parte, e li ringrazia per averla rimessa, nella triste confusione, al posto giusto. Sta dalla loro parte, del resto, qualunque persona perbene, di qualunque residenza politica. Lungo la giornata di domenica, le frasi pronunciate con un compiaciuto sarcasmo dal pieno sole di Porto Alegre o da qualche palazzo europeo, sulla farsa e la beffa e la truffa delle elezioni irachene, suonavano sempre più stridule e imbarazzanti. Meglio era astenersene già alla vigilia, e anche di proclamare per conto terzi che la democrazia e le elezioni sono un lusso superfluo se non un inganno per un popolo che ha bisogno di mangiare e bere e avere l´elettricità e i farmaci e la benzina. I votanti di domenica pensano che non si viva di solo pane e benzina e farmaci e luce: anche di orgoglio personale e civile.
L´Iraq ha voltato una pagina importante. Chissà che non serva a farne voltare una anche a noi, che abbiamo tutti questi farmaci, tutte queste elezioni.
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