Le opinioni smentite, e quelle confermate, dai fatti neocon statunitensi e opinionisti italiani alla prova delle elezioni irachene, in due articolo di Christian Rocca
Testata: Il Foglio Data: 01 febbraio 2005 Pagina: 2 Autore: Christian Rocca Titolo: «Gli ideologi non erano i neocon, ma gli esperti e i diplomatici - Gli ops-inionisti d'Italy, quelli che hanno opinioni smentite dai fatti»
A pagina 2 IL FOGLIO di martedì 1 febbraio 2005 pubblica un articolo di Christian Rocca, "Gli ideologi non erano i neocon, ma gli esperti e i diplomatici": Gli iracheni dunque avevano una voglia pazzesca di libertà, come ampiamente previsto dai maltrattati teorici dell’esportazione della democrazia. A noi occidentali, stanchi di pratiche democratiche, basta un po’ di maltempo oppure una bella giornata di sole per disertare in massa le urne. In Iraq, dove la democrazia non c’è mai stata e dove gli esperti di geopolitica ci dicevano che non sarebbe mai potuto accadere ciò che è successo domenica, gli iracheni hanno sfidato i kamikaze islamico-fascisti e le minacce dei nostalgici di Saddam pur di aggrapparsi a un futuro democratico. L’alta affluenza alle urne e questa gran voglia di democrazia hanno stupito soltanto chi ha dato credito alle analisi Lilli Gruberstyle. Costoro troveranno altri argomenti per continuare a spararle grosse (indizio: si rischia la dittatura della maggioranza sciita, quindi la guerra civile). Certo non potranno essere loro ad accorgersi del grande malinteso intellettuale di questi anni post 11 settembre, che è questo: la straordinaria partecipazione al voto, prima in Afghanistan e poi in Iraq, dimostra che gli ideologi non erano i neoconservatori, le cui idee hanno ricevu to l’entusiastica conferma dei diretti interessati, piuttosto i professorini del politicamente corretto fuori e dentro l’amministrazione Bush. L’idea iniziale dei neocon, che piaceva al Pentagono, era quella di abbattere il regime di Saddam e di installare subito un governo di oppositori che si impegnasse a ricostruire il paese, preparare una nuova Costituzione e portare il paese alle urne. Quest’idea rivoluzionaria è stata presto accantonata da un presidente criticato da mezzo mondo e impegnato a ottenere la riconferma alla Casa Bianca. Per un anno Bush ha tenuto duro, ma non è stato Bush. Ha dato ascolto ai realisti, quelli di cui ora si è innamorata la sinistra italiana, e ai diplomatici di carriera del Dipartimento di Stato. Tre settimane dopo la caduta di Saddam, Bush ha sostituito l’ex generale Jay Garner (l’architetto dell’autonomia dei curdi) con il diplomatico Paul Bremer, ha coinvolto le Nazioni Unite, ha affidato tra gli applausi dei giornali liberal le chiavi dell’Iraq ai diplomatici con laurea a Yale e cravatta regimental. Anziché dare subito il potere agli iracheni, un’idea considerata pericolosa e "estremista" e "neocon", gli arabisti del Dipartimento di Stato e della Cia, cioè gli avversari dei neocon, hanno provato a governare il paese giudicandolo ancora incapace di auto-amministrarsi. Cose buone ne hanno fatte, come la debaathificazione, senza la quale sciiti e curdi, cioè l’80 per cento degli iracheni, non avrebbero iniziato il cammino democratico. Ma il risultato è stato disastroso, così come è disastroso nel Kosovo tuttora governato dalla comunità internazionale. L’esercito di liberazione è diventato, tecnicamente, di occupazione e i sospetti sulle reali intenzioni degli americani, alimentati dalla propaganda di Al Jazeera, dei terroristi e dei nostalgici del regime, sono aumentati. Per un anno l’Iraq è stato governato dalla coalizione occidentale ed è diventato un laboratorio dove i veri ideologi, cioè i diplomatici di professione, hanno provato ad applicare quello che hanno imparato sui manuali di Harvard e sugli editoriali del New York Times: e cioè che la democrazia non è esportabile, specie in Medio Oriente, quindi dobbiamo insegnargliela noi. Quel modello non ha funzionato perché se mancava la luce la colpa era del governo, cioè degli americani; se non c’era sicurezza la colpa era di Bremer. Non ci fosse stato l’Ayatollah Sistani a insistere sul processo elettorale, discuteremmo ancora di egida dell’Onu e di forze multinazionali arabe. Eppure la stampa ha continuato ad accusare di "estremismo ideologico" i neoconservatori, cioè gli unici che non pretendevano di fornire alcuna soluzione studiata a tavolino se non quella di lasciare liberi gli iracheni di badare a se stessi. Le cose infatti sono migliorate il 30 giugno scorso quando la sovranità è passata agli iracheni. Gli ideologi hanno tentato di imporre la loro visione anche sulle elezioni, provando a spostarle e spiegando che non c’erano le condizioni. Il Times lo ha scritto ancora sette giorni fa. La realtà del Medio Oriente li ha smentiti. Sempre di Christian Rocca è l'articolo "Gli ops-inionisti d'Italy, quelli che hanno opinioni smantite dai fatti", un'antologia di previsioni sbagliate e opinioni al limite del ridicolo sulle elezioni irachene. Provenienti tutte da illuminati commentatori che, per qualche piccolo dettaglio fuori posto nella realtà, rispetto al racconto che ce ne fanno,ben difficilmente rinunceranno a darci lezioni: Non ne hanno mai azzeccata una. Sono gli ops-inionisti, quelli che sbagliano sempre analisi ma continuano a spiegarci il mondo, nonostante le loro opinioni risultino – ops! – smentite dai fatti. Sono Vittorio Zucconi, Barbara Spinelli, Eugenio Scalfari, Ennio Caretto, Furio Colombo, Sergio Romano, Bernardo Valli e tutti gli altri volenterosi antiamericani d’Italy. Ci avevano avvertito che l’intervento in Afghanistan avrebbe provocato 5 milioni di profughi, e non è successo. Poi che Hamid Karzai era poco più che il sindaco di Kabul, ma ha preso una caterva di voti in tutto il paese. Ci hanno detto che l’America stava perdendo la guerra con l’Iraq, ma due settimane dopo è stata abbattuta la statua di Saddam. Ci hanno spiegato che Bush aveva perso i dibattiti con Kerry (3 a 0) e che l’Altra America lo avrebbe cacciato, ma non ci hanno preso e ancora non se ne sono fatti una ragione (Zucconi, 10 giorni fa su Bush: "E’ persuaso di avere ricevuto un mandato politico e non, come altre ricerche di opinione indicano, soltanto un attestato di simpatia personale"). Ci hanno detto che in Iraq c’è la resistenza, ma Zarqawi è alleato con i repubblichini che uccidono gli iracheni liberati. La democrazia non è esportabile, ci hanno spiegato, ma in 100 giorni hanno votato in Afghanistan e in Iraq. Ci hanno detto che le elezioni erano un’imposizione degli invasori e che non c’erano le condizioni, ma sono stati smentiti dagli iracheni. Ora dicono che ci sarà la guerra civile, ma con tali precedenti c’è da essere ottimisti. Ci sono anche le eccezioni: tra lunedì e domenica Angelo Panebianco (Corriere), Guido Ceronetti (Stampa) e Vittorio Parsi (Avvenire) hanno scritto cose appropriate e non separate dai fatti. Gli ops-inionisti invece no. A cominciare da Repubblica che, domenica, cioè nel giorno del voto, ha dedicato 5-pagine-5 al povero Saddam. Titolo: "Il prigioniero di Bagdad". Sommario: "Saddam da 400 giorni sta in una cella tre metri per quattro dove scrive poesie e cura una piccola palma". Che carino. E. Mauro, voto 1 (inqualificabile) "L’amministrazione statunitense ha tentato più volte di rinviare questo voto… Ora Bush appoggia il processo elettorale… ma ancora una volta si sbaglia". (domenica) B. Spinelli, voto 8 (non sa di che cosa parla) "La macchina della propaganda washingtoniana, vestita con i panni dell’informazione accettata acriticamente, era stata assai abile nell’accreditare il sospetto di un probabile disastro, nel giocare quella essenziale partita politica che si chiama il gioco delle aspettative. (ieri) V. Zucconi, voto 10 (è un fenomeno) "Elezioni a gennaio?… Come si potrà organizzare in regime di coprifuoco e in presenza di una guerra civile che miete vittime in tutto l’Iraq centrale, una campagna elettorale? Almeno un simulacro di campagna elettorale? Le liste degli aventi diritto al voto? I seggi e gli scrutatori? I comizi? Le liste dei candidati? Di tutto ciò nessuno parla". (14 novembre) Scalfari, voto 6 (ché non legge il suo giornale) "Non ci sarà niente di tutto ciò e neppure, ovviamente, l’esportazione della democrazia in Iraq". (26 settembre) Scalfari, voto 4 (perché talvolta lo legge) "Le stesse elezioni, come i partiti che ne hanno chiesto il rinvio pensano, potrebbero essere una tragedia". (28 novembre). "Porterà a una democrazia? Nell’attesa si può dubitare". (ieri) Bernardo Valli, voto 4 (nun ce vo’ sta’) "Quindi, tecnicamente, usando i criteri europei e internazionali queste elezioni erano invalide prima ancora di tenersi, sebbene l’Europa abbia sorprendentemente stanziato 30.5 milioni di euro". (ieri, la Stampa) G. Chiesa, voto 2 (nun c’è mai voluto sta’) "Ecco perché le elezioni democratiche in Iraq sono liberticide e, esse sì, profondamente antidemocratiche… Come si fa a considerare libere elezioni di questo tipo? Come si fa a considerarle democratiche?… Ha perfettamente ragione al Zarqawi quando afferma che la democrazia è nemica dell’Islam". (ieri, Quotidiano Nazionale) Massimo Fini, voto 1 (burp). Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione de Il Foglio. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.