Il quotidiano comunista torna ad attaccare Israele, a deformarne la realtà, a fare il tifo per i palestinesi oltranzisti due articoli di Michele Giorgio
Testata: Il Manifesto Data: 01 febbraio 2005 Pagina: 8 Autore: Michele Giorgio Titolo: «Il quotidiano comunista torna ad attaccare Israele, a deformarne la realtà, a fare il tifo per i palestinesi oltranzisti»
Per IL MANIFESTO non ci sono dubbi: la bambina palestinese morta ieri a Gaza è stata uccisa dagli israeliani. Abu Mazen, però, lamenta Giorgio, non retrocede dalla sua irragionevole convinzione di poter ottenere la pace con Israele. Soltanto Hamas "risponde" alla rottura israeliana della tregua (che il gruppo terrorista islamico non ha ancora accettato). Viene anche sottolineato che la "risposta" di Hamas non ha prodotto vittime, quasi ciò fosse merito dell'organizzazione terroristice e non del caso. Ancora una volta IL MANIFESTO sposa le ragioni dell'oltranzismo palestinese, contro quelle dei realisti che vogliono la fine del conflitto armato con Israele. Ecco l'articolo, "Gaza, uccisa bambina di 11 anni": Il presidente Abu Mazen non ha dubbi e ieri da Mosca ha fatto sapere che «esiste una chance storica» per la pace in Medioriente. Da Gaza invece giungono notizie che contraddicono il suo ottimismo. Lo stillicidio quotidiano di vite umane palestinesi prosegue, nonostante da oltre una settimana le organizzazioni armate dell'Intifada stiano osservando una tregua non dichiarata. Una bambina 11 anni, Noran Dib, è stata uccisa dai colpi sparati da un carro israeliano mentre si trovava nel cortile della scuola - gestita dall'Unrwa, l'agenzia Onu che assiste i rifugiati palestinesi - nel campo profughi di Brazil (Rafah), a sud di Gaza. A riferirlo non sono stati soltanto i responsabili della scuola ma anche funzionari dell'Onu. «Noran era in fila con tutte le altre - ha raccontato una sua compagna - all'improssivo ha urlato ed è caduta, noi siamo scappate via». Un'altra bambina Aysha Khatib, 7 anni, è rimasta ferita ad una mano. Domenica, sempre a Rafah, i militari israeliani avevano ucciso un palestinese di 65 anni che, per sbaglio, era entrato in una zona dichiarata off-limits dalle forze di occupazione. Paul McCann, portavoce dell'Unwra a Gaza, ha denunciato l'accaduto. «E' la quinta volta in cui gli alunni della nostra scuola rimangono coinvolti», ha detto ricordando che altre due bambine rimasero uccise in sparatorie simili l'autunno scorso. L'esercito israeliano, attraverso la sua emittente Galei Tzahal, ha comunicato che sta svolgendo indagini sull'accaduto ma di non avere avuto notizia di raffiche sparate da un carro armato. La reazione palestinese non si è fatta attendere. Colpi di mortaio sono caduti vicino a un insediamento ebraico di Gaza, senza provocare né vittime né danni. L'attacco è stato rivendicato da Hamas, come rappresaglia per l'uccisione della bambina. L'accaduto potrebbe avere un impatto sul cessate il fuoco osservato dai palestinesi. Non su Abu Mazen che ha ignorato l'accaduto, così come aveva fatto finta di non sapere dei morti palestinesi dei giorni scorsi e dei progetti israeliani relativi a Gerusalemme est, a cominciare dalla confisca delle proprietà dei palestinesi che non risiedono più nel settore arabo della città. Da Mosca, dove è in visita ufficiale, il presidente palestinese ha affermato che «c'è una grande opportunità di continuare il lavoro per stabilire la sicurezza e la stabilità». Sul tavolo c'è ora il summit tra Abu Mazen avrà, forse l'8 febbraio, con il premier israeliano Sharon. Il leader palestinese è intenzionato a chiedere la liberazione degli 8 mila detenuti politici in carcere in Israele e sosterrà la necessità di un coordinamento tra le due parti in occasione della prevista evacuazione delle 21 colonie ebraiche di Gaza e di quattro piccoli insediamenti in Cisgiordania. Sharon invece vuole parlare soltanto di sicurezza e i suoi assistenti hanno escluso il vertice prenda in esame anche il rilancio del piano di pace. Ieri sera era previsto un nuovo incontro tra il ministro della difesa israeliano Shaul Mofaz e l'ex ministro palestinese Mohammed Dahlan. Oggi, secondo indiscrezioni, Israele potrebbe cominciare a far arretrare le sue truppe da quattro città cisgiordane. A fianco di questo proclama "bellicista" Giorgio firma l'articolo "Tsunami? Punizione per i nemici di Israele." Nell'intento di dipingere Israele come un paese dominato da fanatici religiosi Giorgio scova le dichiarazioni di un rabbino israeliano, vicino la movimento dei coloni, per il quale il maremoto in Asia sarebbe stato provocato dalla "tristezza" divina per il sostegno della comunità internazionale al piano di disimpegno da Gaza. Se da un lato occorre sottolineare che il rabbino Eliahu, questo il nome del leader spirituale, non ha, come si evincerebbe dal titolo e dall'inizio dell'articolo, parlato in modo inequivocabile dello tsunami come "punizione divina", ma solo come "conseguenza" della comunità internazionale dell'atteggiamento verso Israele della comunità internazionale, dall'altro è ovvio che, nonostante le precisazioni di Giorgio in senso contrario, la posizione di chi vede nel ritiro da Gaza un atto sacrilego non è per nulla rappresentativa della società israeliana, che appoggia invece maggioritariamente quel ritiro. Anche fra chi vi si oppone vi sono posizioni diverse, ed'è del tutto da dimostrare che le tesi di Eliahu siano realmente influenti. Vale la pena di sottolineare poi, che IL MANIFESTO non si è mai occupato dei molti predicatori islamici che hanno visto nello tsunami una punizione per popolazioni che hanno fatto affari con ebrei e accolto i "corrotti" turisti occidentali (vedi Federico Steinhaus, "La potenza del complotto ebraico scatena lo tsunami!" Informazione Corretta, 11-01-05) . Erano ben di più del solitario rabbino Eliahu, ma, per qualche motivo non difficile da immaginare, erano anche meno interessanti per il quotidiano comunista. Ecco l'articolo: Vietato sostenere il rispetto della legalità internazionale e il ritiro delle forze di occupazione dalla striscia di Gaza. I «trasgressori» verranno puniti con morte e distruzione. E' quanto afferma l'ex rabbino capo (sefardita) di Israele Mordechai Eliahu che ha citato, a sostegno della sua tesi, lo tsunami che ha devastato il Sudest asiatico. In una intervista alla rivista ultraortodossa Ma'ayanei Hayeshua, ripresa dal principale quotidiano del paese Yediot Ahronot, Eliahu ha detto che l'eccezionale maremoto che ha fatto 200 mila morti - peraltro tra popolazioni povere - non è stato altro che una punizione divina per il sostegno internazionale al piano per il ritiro israeliano dalla striscia di Gaza, voluto dal premier Ariel Sharon. «Quando il Santissimo, sia sempre benedetto, è arrabbiato con le nazioni del mondo che non aiutano Israele - ma vogliono evacuare e disimpegnare e interferire nei nostri affari e metterci in pericolo - allora il santissimo batte le mani con tristezza, e questo provoca il terremoto» ha dichiarato senza alcuna considerazione per i tanti morti e per le sofferenze di coloro che sono scampati ad una fine orribile ma devono fare i conti con la fame e le malattie.
Qualcuno si affretterà a spiegare che sono frasi di un «fanatico isolato». Ma non è così. Eliahu, che è stato rabbino capo di Israele negli anni `80 e `90, non è un anziano affetto da arteriosclerosi ma uno dei leader spirituali del movimento dei coloni. E' noto per essere uno dei più accaniti oppositori dello smantellamento dei 21 gli insediamenti di Gaza e di quattro della Cisgiordania. Le parole di Eliahu contano e anche molto, come indica la manifestazione di due giorni fa di 100 mila israeliani contro piano di Sharon, di cui l'esponente religioso è stato uno dei promotori. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione del Manifesto. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.