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Corriere della Sera Rassegna Stampa
31.01.2005 La memoria della Shoah e il suo uso strumentale
Giorgio Israel indica alcuni motivi di riflessioni per Sergio Romano

Testata: Corriere della Sera
Data: 31 gennaio 2005
Pagina: 27
Autore: Sergio Romano
Titolo: «Quante memorie nel giorno della memoria»
Il commento di Sergio Romano sul Corriere della Sera di oggi (31 gennaio 2005) sul giorno della memoria mi trova d’accordo, salvo un paio di precisazioni non secondarie.
Dice Romano che "per il numero delle vittime e la spietata strategia "industriale" degli assassini, il genocidio degli ebrei non ha confronti", ma che non pare giusto che le innumerevoli altre stragi che si sono avute nel corso del Novecento siano "diventate nel grande libro della Storia, note a pié di pagina".
Sono d’accordo, perché anch’io ho sempre trovato sbagliato e inaccettabile considerare la Shoah come un "unicum" senza confronti nella storia. In un certo senso certamente essa lo è, ed è proprio nel senso indicato da Romano: ovvero, si tratta di un’applicazione di metodi scientifici e industriali sistematici all’organizzazione di uno sterminio pianificato, come è provato anche dal fatto che anche una sezione dissidente della IBM partecipò con strumenti "proto-informatici" a questa impresa. Non vi sono esempi storici paragonabili, salvo forse il gulag staliniano, su cui tuttavia gli studi sono ancora poco sviluppati. Tuttavia, dal punto di vista morale, sarebbe sciagurato stabilire delle gerarchie di stragi, e la sacralizzazione della Shoah non è soltanto sbagliata, ma anche controproducente.
Ciò detto, la prima osservazione da fare è che oggi tale sacralizzazione danneggia proprio gli ebrei, e non soltanto per il rischio di creare risentimento e ostilità per quella che Romano chiama "occupazione della memoria europea". Ma perché il fatto assolutamente paradossale è che a pié pagina della Shoah stanno finendo non soltanto il gulag, le stragi cambogiane o gli stermini in Ruanda e via continuando, ma anche tutte le persecuzioni condotte contro gli ebrei nel corso di quasi duemila anni. Come ha mostrato il recente dibattito su questi temi sul Corriere della Sera, le persecuzioni antiebraiche cristiane – fra cui alcune di particolare efferatezza come quelle condotte nella Spagna medioevale –, i ghetti, i pogrom, l’antisemitismo dei Procotolli, ecc. sono derubricate a vicende minori. Vicende minori come, per l’appunto, il gulag… Non ci si sorprenda poi se i più accaniti fautori dell’unicità della Shoah si trovano oggi tra i nostalgici del comunismo.
Il secondo paradosso è che tra tutte le vicende della storia contemporanea una soltanto venga da taluni dichiarata paragonabile alla Shoah: e cioè il "genocidio" dei palestinesi che starebbero facendo gli israeliani… A tanto può arrivare la malafede e lo stravolgimento della verità, la quale imporrebbe invece di mettere nel testo pieno – altro che a pié di pagina – le stragi e l’odio antisemita dei terroristi palestinesi nei confonti degli israeliani.
Infine, qualche osservazione circa le responsabilità. Che gli ebrei abbiano progressivamente preso coscienza di quel che era stato loro inflitto, e oggi siano sempre più decisi a battersi per non ricadere sotto consimili mannaie, è indubbio. Ma anche qui c’è qualcosa che non torna in quel che si va dicendo in giro. Proprio nel corso del succitato dibattito sul Corriere della Sera si è insistito moltissimo sul fatto che era quasi "colpa" degli ebrei se nel dopoguerra non si parlava della Shoah e non ci si era resi conto delle sue dimensioni. Si è arrivati fino a sfidare la verità dicendo che le comunità ebraiche avevano elevato un muro di silenzio attorno alle leggi razziali… Chi conosca un poco di storia, o ne sia stato testimone, sa benissimo che non è così, e che il muro di silenzio era principalmente eretto dall’esterno: dalla destra per ovvi motivi, e dalla sinistra perché, fino a non molti anni fa, voleva far passare i campi di sterminio come un evento della lotta di classe, e parlava di "internati", "prigionieri", ma mai di "ebrei". Oggi la situazione si è rovesciata. Solo per "colpa" o "merito" degli ebrei? Suvvia… Per capire che c’è qualcosa non va basta vedere con quanto zelo certe iniziative della memoria vadano a parare sulla santificazione degli ebrei morti e la demonizzazione di quelli vivi (i cattivi israeliani), e sulla sacralizzazione della Shoah per assolvere il gulag.
Quanto precede è confermato se lo si guarda, per così dire, dall’altra parte. Se la Shoah è l’unico male della storia e gli altri misfatti sono messi a pié di pagina, allora il popolo tedesco – che così massicciamente aderì al nazismo – diventa il popolo criminale della storia per eccellenza. È un po’ troppo, anche per la coscienza di chi abbia avuto gran parte della famiglia sterminata nei lager. In fin dei conti, bisogna ricordare che – sia pure nella dovuta proporzione con il crimine commesso – la Germania postbellica ha fatto un’opera di "lavacro" morale e di presa di coscienza storica di un rigore notevole. Quando si sentono certi storici postcomunisti , dopo aver tromboneggiato sull’unicità della Shoah, avere la faccia di bronzo di dire – come udito in un convegno – che in fin dei conti il gulag era una struttura creata non per uccidere ma per lavorare… ebbene, viene da chiedersi a quale gioco poco pulito si stia giocando.
Se Sergio Romano riflettesse a questi aspetti potrebbe rivedere alcune parti del suo noto libro in modo da renderle più equilibrate e accettabili.

Giorgio Israel

Ecco il testo di Romano, preceduto dalla lettera a cui risponde:

È comprensibile che la nostra comunità ebraica appoggi incondizionatamente questa campagna per il « Ricordo » , ma non è giusto che dimentichi i tanti ebrei, dirigenti e popolo, perseguitati, inviati nei gulag, uccisi nell'Urss comunista. Lei avrà visitato, a Mosca, la locale Sinagoga e certamente avrà ascoltato i lamenti di quei tre o quattro vecchietti sopravvissuti ad altre fasi dell'Olocausto. Anche Gorbaciov, l'uomo che tanti altri danni ha inferto al suo Paese, ha fatto poco per loro.
Voleva soltanto rifare una verginità al suo partito. Non abolirlo. Anche per questo, lei sa, è stato cacciato.
E a proposito: perché non accomunare al ricordo della Shoah le tante altre analoghe malvagità nel mondo? A cominciare, appunto, dai milioni di persone trucidate nell'Unione Sovietica ( alcuni, non smentiti, parlano di oltre 15 milioni di essere umani).
Certo! Da noi se ne parla poco.
Cittadini, tv e stampa sono sempre condizionati da un ancora forte partito comunista ( qualunque sia, oggi, il suo nome). Antonio Natoli anatol@ tin. it

Caro Natoli, conosco bene la Grande Sinagoga di Mosca. E' un edificio neoclassico, con colonne ricoperte da un intonaco giallino, più simile a una biblioteca che a un edificio religioso. Quando vi andai per la prima volta, il rabbino mi presentò quattro anziane persone che festeggiavano una ricorrenza ebraica facendo colazione in un angolo del tempio. Quando vi tornai, dopo il crollo dell'Unione Sovietica, era piena di gente: vecchi, ragazzi, famiglie giunte da città lontane. Ne chiesi la ragione e mi indicarono una giovane ebrea d'origine americana, alta ed energica, che correva da una stanza all'altra per dare informazioni a chi desiderava partire per lo Stato d'Israele. In quella occasione dovetti andare al ministero degli Esteri per un appuntamento. Aspettavo nell'atrio che qualcuno venisse a prendermi quando gli occhi mi caddero su una grande targa murata da poco. Era la lunga lista dei funzionari del ministero, quasi tutti ebrei, che erano stati epurati, processati, fucilati o condannati a morire di freddo e lavori forzati nei gulag siberiani. Lei si chiede perché le persecuzioni sovietiche, le carestie ucraine, le purghe staliniane e i trasferimenti forzati delle popolazioni « ostili » da una regione all'altra appaiono oggi meno gravi delle persecuzioni naziste. Le ragioni sono almeno tre. In primo luogo il genocidio degli ebrei è avvenuto in un Paese che appartiene alla nostra Europa e con cui abbiamo rapporti molto più stretti di quelli che ci legano alla Russia. E' naturale che questa constatazione, insieme alle leggi razziali approvate allora in molti Stati europei, susciti in noi un sentimento di maggiore responsabilità. In secondo luogo esistono ancora in alcuni Paesi dell'Europa occidentale molte persone che hanno creduto nel comunismo e che esitano a condannare un Paese, l'Urss, in cui avevano investito tante speranze. E in terzo luogo infine le comunità ebraiche, soprattutto negli ultimi quarant'anni, hanno saputo agitare il problema sino a farne la maggiore tragedia del Novecento. Comprendo i loro sentimenti, ma temo che questa occupazione della memoria europea abbia avuto l'effetto di creare risentimento e persino ostilità. Insieme alla sua lettera, caro Natoli, ne ho ricevute molte altre che lamentano questa « discriminazione » . Per il numero delle vittime e la spietata strategia « industriale » degli assassini, il genocidio degli ebrei non ha confronti. Ma gli armeni perseguitati dai turchi, gli ucraini decimati dalla politica staliniana, gli istriani infoibati dai partigiani di Tito, i cinesi massacrati dai giapponesi, i milioni di tedeschi cacciati dalle loro case, i serbi uccisi dai croati e i bosniaci uccisi dai serbi sono finiti ai margini del quadro, sono diventati, nel grande libro della Storia, note a pié di pagina. E questo, anche a me, non è parso giusto.
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