L' esercito israeliano si ritirerà da cinque città palestinesi una cronaca di Fiamma Nirenstein
Testata: La Stampa Data: 01 febbraio 2005 Pagina: 5 Autore: Fiamma Nirenstein Titolo: «Israele lascerà cinque città palestinesi»
LA STAMPA di martedì 1 febbraio 2005 pubblica a pagina 5 un articolo di Fiamma Nirenstein su previsto ritiro israeliano da cinque città palestinesi. Ecco l'articolo: Adesso che dopo le elezioni irachene gira veloce la ruota del Medio Oriente, i palestinesi e gli israeliani, nel grande gioco di Bush della democratizzazione con conseguente pacificazione della zona, hanno un ruolo di primissimo piano. La notizia più rivoluzionaria è quella dell’abbandono da parte dell’esercito israliano in tempi molto ristretti, addirittura giorni, di cinque città palestinesi: Ramallah, sede del parlamento palestinese per prima, poi Kalkilya, Betlemme, Tul Karm e Jerico. Cinque grossi centri, da cui si allontaneranno le forze finora preposte al contenimento degli attacchi terroristici, per lasciarne il controllo completo alle divise blu e verdi della polizia palestinese. Non c’è dubbio che si tratti di una sperimentazione, sia pure limitata, di sovranità nazionale, e di un gesto di grande fiducia verso Abu Mazen. Bisogna pensare che la carta della sicurezza, da quando Sharon ha intrapreso la strada dello sgombero di Gaza (in serrata preparazione, nonostante la enorme manifestazione di domenica a Gerusalemme, 150 mila dimostranti disperati e irati col primo ministro) è la carta unica che il governo gioca nei confronti di una destra agguerrita. E le sconfitte su questa linea non sono poche, se si pensa che ieri di nuovo i missili Kassam sono caduti sull’insediamenti di Neve Dkalim a pioggia, nonostante il dispiegamento delle forze palestinesi in zona. Quindi, la discussione è dura anche sul secondo passaggio rivoluzionario che si prepara per il futuro: i palestinesi chiedono la liberazione di quasi tutti i circa ottomila detenuti palestinesi nelle celle israeliane. Sharon sarebbe già pronto a rilasciarne sempre in tempi brevi, 900, senza «sangue sulle mani», ovvero non coinvolti in attività terroristiche. Non solo: molti ricercati di primo piano, fra cui il numero uno delle Brigate di Al Aqsa a Jenin, Zacharia Zbeidi, danno segno chiaro di non temere più di essere braccati dai servizi segreti israeliani, come se esistesse un qualche accordo in cambio della cessazione degli attentati: Zbeidi è persino apparso alla tv israeliana sul Canale Due, ieri sera, dichiarando che si fida di Abu Mazen, che non compirà più attentati, che vuole essere integrato nel futuro del suo Paese. A sua volta Hamas, che ha vinto le elezioni locali, dà segnali di voler entrare nel giuoco del potere, e gli analisti in maggioranza pensano che proprio la sua partecipazione alle elezioni deve comunque essere considerata come un segnale positivo. Sgomberi e aministie non sono facili da inghiottire dal pubblico israliano dopo l’esperienza del passato: i cittadini israeliani ricordano che sia gli sgomberi degli anni a partire dal ‘95 dalle città palestinese (furono tutte lasciate) e, nel corso degli anni, le molte grandi amnistie, di fatto hanno poi portato alla terribile Intifada delle stragi. Ma adesso Arafat non è più sulla scena e Abu Mazen basa la ricerca del consenso sulla convinzione che la sua gente abbia bisogno di calma, ordine e pulizia amministrativa più che di combattere contro Israele. La sua lunga visita all’estero, iniziata ieri con un incontro con Putin a Mosca, dopo visite al Cairo e in Giordania, prevede la Turchia e la Svizzera: tappe complesse, che includono ricerca di consenso internazionale per la sua tregua interna (Cairo e Giordania) creazione di poteri alternativi nell’area a quello degli Usa (Svizzera, dove con la carta di Ginevra si sancisce la solita politica europea filopalestinese, e soprattutto Russia dato che Putin cerca di nuovo un ruolo centrale in Medio Oriente) e fronte moderato musulmano, oggi molto in ascesa a causa della situazione irachena dopo il voto, con la Turchia. Tutti vogliono fare in fretta per prepararsi a una acconcia svolta mediorentale: Condoleezza Rice ha fatto di Gerusalemme la sua urgentissima tappa, fra due giorni, del primo viaggio ufficiale. All’indomani della sua parteza, l’8 febbraio, dovrebbero incontarsi per la prima volta Sharon e Abu Mazen. Ciascuno dei due contendenti piazza delle pedine che acquistino meriti e nel contempo pongano limiti. A Washington Dov Weisglass, braccio destro di Sharon prepara i colloqui con Condoleezza che vuole vedere e fare vedere al mondo, in fretta, quanto il Medio Oriente sia cambiato. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare il proprio parere alla redazione de La Stampa. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.