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Il Foglio Rassegna Stampa
29.01.2005 Dialogo Sharon-Abu Mazen
ma la minaccia del terrorismo incombe sempre

Testata: Il Foglio
Data: 29 gennaio 2005
Pagina: 1
Autore: Carlo Panella-Emanuele Ottolenghi
Titolo: «Incontro Mofaz Dahlan-Stato Palestinese e terrorismo»
Due articoli sul FOGLIO che ci danno la misura della situazione fra Israele e ANP.
Il primo è di Carlo Panella:

Israele annuncia la riduzione delle operazioni militari a Gaza. Oggi l’incontro tra Mofaz e Dahlan

Roma. Il premier israeliano Ariel Sharon una biografia segnata da tratti forti: tra questi, il rifiuto della retorica e una feroce diffidenza nei confronti della leadership palestinese. Per questo, quando dice, come successo mercoledì, che crede che si stia aprendo la possibilità di una "svolta storica" nelle relazioni israelo-palestinesi, la notiziaclamorosa. Ancora più clamoroso è il fatto che questa fiducia del primo ministro più oltranzista di tutta la storia d’Israele si basi sugli sviluppi positivi nel modo in cui l’Autorità nazionale palestinese affronta la lotta contro la violenza e il terrorismo, e nella sua
maniera di favorire la via politica". I fatti seguono le parole: Israele ha annunciato la cessazione di tutte le operazioni militari offensive nella Striscia di Gaza dopo che l’Anp schierato 2.000 uomini nel sud e nel centro
della regione; circolano sempre più di frequente negli ambienti dell’Autorità indiscrezioni circa l’imminente liberazione di non meno di 900 detenuti palestinesi (ieri è stato rilasciato un responsabile delle Brigate al Aqsa); inoltre il ministro dell’Industria, Ehud Olmert, annuncia la riapertura della
zona industriale di Erez, a Gaza, a ridosso d’Israele, e la piena collaborazione di Gerusalemme per la creazione di un "distretto palestinese per i palestinesi; i vertici militari, sotto la direzione del ministro della Difesa,
Shaul Mofaz, stanno studiando un eventuale ritiro delle truppe, non soltanto da Gaza, ma anche dalla Cisgiordania. In linea di principio, sostengono sempre fonti dell’Anp, Israele si starebbe accingendo a riconoscere la piena titolarità palestinese nella gestione della Sicurezza in tutti i Territori, un
passo fondamentale, il penultimo, verso la fine dell’occupazione militare seguita all’Intifada delle stragi lanciata da Arafat nel settembre 2000. Su questo argomento è prevista per oggi una riunione di grande importanza lo stesso Mofaz e Mohammed Dahlan, il più ascoltato consigliere per la Sicurezza di
Abu Mazen. L’ottimismo di Sharon e la determinazione di Abu Mazen e Dahlan, hanno un denominatore comune: lo smantellamento della struttura di potere di Yasser Arafat, che ha trasformato l’amicizia "delle buone intenzioni" e delle frasi di circostanza dell’Egitto nei confronti del governo palestinese
ai tempi di Abu Ammar in un padrinato discreto, ma potente. Appena eletto,
nuovo premier palestinese ha licenziato non soltanto i collaboratori più stretti di Arafat, ma tutta la struttura della Moqata: 50
consiglieri su 54. Il giorno dopo questo repulisti, ha potuto inviare 3.000 poliziotti a presidiare le frontiere di Gaza e ha potuto emettere un’ordinanza che, ai tempi di Arafat, sarebbe parsa blasfema: il divieto ai civili palestinesi di girare armati nei Territori.
Sia Sharon sia Abu Mazen sono rafforzati nella propria determinazione a venire incontro all’avversario dalle garanzie del coinvolgimento dell’Egitto, tramite il capo dei servizi segreti, Omar Suleiman. Sia Israele
sia l’Anp hanno avuto assicurazioni da Suleiman su un impegno serio del Cairo a fianco delle forze di sicurezza palestinesi di Mohammed Dahlan (che ha potere proprio grazie alla garanzia egiziana) e anche nella chiusura della rete di tunnel che percorre il confine tra Egitto e Gaza, per anni teatro di
contrabbando d’armi. Pattugliata da una forza multinazionale, che però non controllava molto, ora questa zona sarà presidiata, con piena soddisfazione d’Israele, da soldati egiziani,egiziani, intenzionati peraltro a bloccare l’ingresso in Egitto dei fondamentalisti islamici che la usavano come un comodo corridoio.
La svolta storica è possibile, quindi, ma anche molta fretta a concretizzarla da
parte di tutti e due i contraenti: una volta stabilito il livello minimo di fiducia reciproca, Sharon e Abu Mazen sanno bene che – con o senza una tregua – dovranno presto fare i conti con Hamas, Hezbollah, Jihad islamico e con i loro attentati così ben calibrati far saltare ogni accordo. Non soltanto,
Hamas sta crescendo a dismisura anche sul terreno elettorale: ieri a Gaza ha conquistato sette municipi su dieci, superando di gran lunga al Fatah. Ma Sharon sa di avere molte carte da giocare per far toccare con mano ai
palestinesi che la strategia di Abu Mazen paga,per rafforzare il consenso popolare nella sua strategia di pace, e pare intenzionato a giocarle con grande fretta.
Il secondo è di Emanuele Ottolenghi:
Washington. Hamas è il primo partito nella
Striscia di Gaza alla vigilia del ritiro israeliano.
Nelle elezioni municipali tenutesi questa settimana non era questo il risultato
che Abu Mazen sperava di vedere. Il presidente dell’Anp rappresenta la linea politica che ritiene, dal 2002 a questa parte, che la lotta armata sia il maggior ostacolo alle aspirazioni politiche della causa palestinese. Hamas,
insieme a Marwan Barghouti e i suoi fedeli nel Fatah, credono invece il contrario: la lotta armata è la miglior garanzia per il successo della causa. La vittoria di Hamas nelle elezioni di Gaza non rappresenta necessariamente l’approvazione del pubblico per la continuazione della lotta armata: deriva anche da un diffuso malcontento dovuto alla difficile situazione economica e all’imperante corruzione legata alla vecchia generazione del Fatah, di cui pure Abu Mazen fa parte. Gli uomini chiave nell’apparato di sicurezza palestinese sono molto corrotti. Il rais trova dunque, a tre mesi dalle elezioni municipali
nei grandi centri urbani palestinesi, sette mesi dalle elezioni parlamentari, a
due mesi dall’inizio del piano di disimpegno israeliano, in una difficile posizione: ridurre violenza per favorire al massimo il ritiro
evitando possibili intoppi. Per farlo deve contare su figure legate alla corruzione; al contempo deve mostrare al pubblico palestinese di esser serio sul tema della lotta al mal governo. Abu Mazen ha per ora scelto la strada
della tregua temporanea, accettata da Hamas in maniera provvisoria (30 giorni) e condizionale (in cambio di concessioni israeliane), ma non necessariamente sostenuta dalle Brigate al Aqsa, ormai cadute in mano aHezbollah e all’interferenza iraniana. Ci sono seri rischi nella tregua: in passato ogni
cessate il fuoco temporaneo (la hudna dell’estate 2003, negoziata quando Abu Mazen era premier, è un esempio) è servito ai gruppi armati per riorganizzarsi e migliorare (o ricostituire) le loro capacità operative. Il rafforzamento della forza militare di gruppi come Hamas, se sommato al successo politico ottenuto, potrebbe mettere in crisi l’autorità di Abu Mazen e la sua possibilità di negoziare con Israele oltre il disimpegno. Inoltre, tra coloro che credono nella lotta armata Anp, il marchio diarmata esiste la convinzione che sia stato il terrorismo a far decidere per il ritiro da Gaza gli israeliani. C’è da prevedere che il piano di Ariel Sharon possa essere accompagnato da attacchi terroristici il cui scopo sarebbe quello di trasformare il disimpegno in una débâcle. A meno che Abu Mazen non disarmi i terroristi. Nessun processo di pace può decollare senza la rinuncia della violenza da parte di tutte le forze in gioco. L’Irlanda del nord, spesso maldestramente citata come parallelo rilevante per la risoluzione del conflittogaranzia egizianoVenerdì santo in Irlanda del nord – mai completamente
decollato – prevedeva sì l’inclusione di Sinn Fein nell’apparato di autogoverno
che doveva emergere dagli accordi e che è ora sospeso. Ma la precondizione per
l’attuazione di quell’accordo era che l’Ira, Esercito repubblicano irlandese, non soltanto rinunciasse alla violenza, ma consegnasse le armi.
Abu Mazen punta a una soluzione diversa. Spera infatti di coinvolgere Hamas nel processo politico attraverso una cooptazione delle forze islamiste che si fondi sulla tregua. Ma il consolidamento dell’hudna per il rais precede e prescinde dal disarmo di Hamas e degli altri gruppi. Questo sarebbe un errore,
perché lascerebbe a tutte le forze palestinesile armi necessarie per sabotare in futuro il disimpegno israeliano e possibili successivi negoziati, creerebbe un sistema politico di partiti dotati di milizie armate, una ricetta che garantisce invece che evitare, lo scenario di guerra civile che tanti palestinesi temono. Soltanto un governo, una legge, un’autorità e una forza militare possono esistere in uno Stato sovrano. Entro l’estate, quando si voterà
per il Parlamento palestinese, Abu Mazen dovrà decidere se prendere la strada indicata dall’esempio irlandese e puntare al disarmo tollerare che parte del panorama politico palestinese continui a contemplare la lotta armata, contro Israele ma anche contro l’Anp, se necessario. Se così facesse, ogni speranza
di pace sarà vana. L’Irlanda del nord aspetta ancora il disarmo completodell’Ira e con esso la ripresa di un processo di pace interrotto.
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