sabato 23 novembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






Il Manifesto Rassegna Stampa
26.01.2005 Chi si difende dal terrorismo è razzista
sostiene il quotidiano comunista

Testata: Il Manifesto
Data: 26 gennaio 2005
Pagina: 9
Autore: Michelangelo Cocco
Titolo: «Prossima fermata, apartheid»
Titolo: "Prossima fermata apartheid", sottotitolo: "Israele: un treno obbligatorio per uscire da Gaza. Stop al transito libero verso Ramallah".
Di cosa tratta questo articolo pubblicato dal MANIFESTO del 26 gennaio 2005.
Come i nostri lettori possono verificare leggendone il testo da noi pubblicato più sotto di una soluzione studiata da Israele per permattere il collegamento tra Gaza e la Cisgiordania senza favorire l'infiltrazione di terroristi in Israele.
Nulla a che vedere con l'apartheid dunque, ma per il quaotidiano comunista la pretesa israeliana di difendersi dal terrorismo è una forma di razzismo.

Ecco l'articolo:

Un treno che colleghi la Striscia di Gaza alla Cisgiordania, per permettere ai palestinesi di spostarsi da una parte all'altra dei Territori occupati. A prima vista l'ultima idea del governo israeliano guidato dal premier Ariel Sharon potrebbe sembrare un gesto di buona volontà, ma in realtà andrebbe nella direzione opposta, quella del restringimento ulteriore della libertà di movimento della popolazione occupata da 38 anni. «Un treno rappresenta un'alternativa ideale, perché i terroristi non possono salirvi e scendervi a piacimento», ha dichiarato ieri alla Reuters una delle fonti anonime che ha svelato il progetto. Ma un'alternativa a cosa? Alla strada - più precisamente il «corridoio sicuro» - che gli occupanti tennero aperto a singhiozzo dopo gli accordi di Oslo del 1993, per poi chiuderlo definitivamente all'inizio della seconda intifada. L'alternativa è dunque una linea ferroviaria, lunga un centinaio di chilometri, che impedirebbe ai palestinesi di spostarsi troppo liberamente in un corridoio percorribile in macchina. Un'idea per la quale, sempre secondo la Reuters, il vicepremier, il laburista Shimon Peres, s'appresta a chiedere finanziamenti alla Banca mondiale.
Ma, aspettando il treno, la repressione della libertà di movimento dei palestinesi passa per il checkpoint. Ieri il colonnello Mickey Edelstein ha confermato che dal prossimo mese di luglio gli abitanti di Gerusalemme est non potranno più spostarsi liberamente verso Ramallah, la capitale della politica palestinese, 15 chilometri a nord della Città santa. «Quando sarà ultimata la barriera di sicurezza nell'area di Gerusalemme, nel luglio 2005, il posto di blocco di Qalandia subirà cambiamenti e miglioramenti - ha detto Edelstein al quotidiano Ha'aretz -. I possessori di carta d'identità israeliana che vorranno attraversare il checkpoint dovranno munirsi di permesso per entrare nell'area A (quelle che secondo Oslo sono sotto completo controllo palestinse, ndr)». Qalandia da checkpoint sarà trasformato in terminal e i palestinesi di Gerusalemme est subiranno un'altra pesante discriminazione.
Con questa situazione sul terreno, dall'Egitto l'inviato statunitense in Medio Oriente, il sottosegretario di stato William Burns, ha dichiarato che «Questo è il momento più promettente per i progressi tra israeliani e palestinesi da diversi anni a questa parte». A proposito della decisione di una corte israeliana di autorizzare la costruzione di cinque chilometri di muro nei pressi dell'insediamento di Ariel, Burns, atteso nei prossimi giorni a Gerusalemme, ha detto che «la posizione degli Stati uniti sulla barriera è molto chiara (contraria, ndr) soprattutto perché crea ulteriori complicazioni ai palestinesi che dalle loro case vogliono raggiungere i posti di lavoro». Una situazione quella di Ariel - dove il muro entra per 20 chilometri all'interno della Cisgiordania per inglobare la popolosa (16.000 abitanti) colonia illegale - contro la quale ieri hanno manifestato centinaia di persone. I dimostranti, tra i quali palestinesi e internazionali dell'International solidarity mouvement, hanno provato a bloccare gli operai che stavano costruendo il muro nel villaggio di Iskaka e si sono scontrati con la polizia israeliana. Il premier palestinese, Abu Ala, da parte sua ha commentato così le ultime iniziative del governo Sharon: «Ci stiamo sforzando al 100% per dichiarare una tregua, ma Israele ci sta mandando un pessimo messaggio con la costruzione del muro e l'espansione delle colonie». Tra gli sforzi citati da Abu Ala c'è l'accordo raggiunto con gli israeliani per il dispiegamento di centinaia di poliziotti palestinesi anche nel sud di Gaza. Un passo ulteriore verso una tregua formale attesa a giorni.
Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione del Manifesto. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.

redazione@ilmanifesto.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT