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La Repubblica Rassegna Stampa
24.01.2005 L'antisemitismo occultato a mia figlia
la nuova fatica di Tahar Ben Jelloun

Testata: La Repubblica
Data: 24 gennaio 2005
Pagina: 29
Autore: Tahar Ben Jelloun
Titolo: «Perché cresce l'odio»
LA REPUBBLICA di lunedì 29 gennaio 2005 anticipa il nuovo capitolo del libro di Tahar Ben Jelloun "Il razzismo spiegato a mia figlia".
Vi si tratta, in modo mistificatorio e scorretto, dell'antisemitismo arabo e islamico in Francia.
Ecco il testo:

Esce in questi giorni da Bompiani un´edizione aggiornata del libro di Il razzismo spiegato a mia figlia. Anticipiamo qui parte del capitolo aggiunto.
Sette anni dopo il dialogo con Merièm, che all´epoca aveva dieci anni, abbiamo constatato, entrambi, che non solo il razzismo non è diminuito ma che è stato banalizzato e in certi casi si è aggravato. Abbiamo cercato di capire le sue nuove manifestazioni: la crescita dell´antisemitismo e dell´islamofobia nelle scuole e nei licei. Abbiamo anche cercato di spiegare cosa ha ottenuto la legge sul laicismo.

Papà, qual è la differenza fra antiebraismo e antisemitismo?
L´antisemitismo è l´odio per tutti i popoli semiti. Gli ebrei e gli arabi sono entrambi popoli semiti; tuttavia dopo la Shoah, dopo il genocidio in cui cinque milioni di ebrei sono stati massacrati dai nazisti, questo termine è stato
riferito al razzismo antiebraico.
L'intera risposta di Ben Jelloun contiene gravi errori di fatto: la parola "antisemitismo" è stata coniata nell'Ottocento per indicare l'ostilità agli ebrei in quanto tali, non ad ebrei ed arabi. Inoltre molto prima che il razzismo ottocentesco inventasse una razza semita che in realtà non è mai esistita, vi era in Europa un’ ostilità antiebraica, radicata e feroce, nutrita di leggende e di propaganda d'odio, senza alcun corrispettivo nelle disposizioni verso gli arabi.

(La cifra di "cinque milioni" di ebrei morti nella Shoah potrebbe essere ripresa dalla "Distruzione degli ebrei d'Europa" di Raul Hilberg. Il quale però calcola almeno cinque milioni e 100 mila morti, e specifica più volte che certamante sono stati di più. La sua preoccupazione è stata però quella della documentabilità secondo i più rigorosi criteri storiografici dei dati forniti. Ben Jelloun avrebbe dunque dovuto senz'altro scrivere "più di cinque milioni")

Qual è la differenza fra antiebraismo e razzismo?
L´antiebraismo è una forma specifica di razzismo, contro gli ebrei, emerso dopo la tragedia che hanno vissuto, risultato di un´impresa mostruosa e sistematica che ha fatto di loro un gruppo perseguitato, disprezzato e poi annientato; questo particolare razzismo, dunque, si differenzia dalle altre forme di razzismo. È una particolare declinazione imposta dalla storia.
Un razzismo specifico verso gli ebrei esisteva prima della Shoah e ne ha costituito, ovviamente, una premessa storica.
E la giudeofobia?
La giudeofobia è un antiebraismo che, all´odio, aggiunge il timore e la paura; la parola fobia significa "paura". La paura dell´ebreo può essere espressa dalla diffidenza, dal sospetto, dal disprezzo o anche dall´invidia; si manifesta con aggressioni verbali o fisiche, insulti, bagarre, profanazioni delle tombe in cui riposano gli ebrei, incendi di sinagoghe, ecc. Si tratta di una serie di fenomeni emersi in questi ultimi tempi, soprattutto in certe periferie e città note per l´elevato tasso di delinquenza, in cui vivono giovani in debito scolastico, disoccupati, analfabeti, talvolta abbandonati a se stessi. Come ha scritto la filosofa Hannah Arendt: «Comprendere è guardare la realtà in faccia con attenzione, senza idee pre-concette, e resisterle se necessario, qualunque sia o possa essere questa realtà». Bisogna fare lo sforzo, dunque, di comprendere.
L'antisemitismo islamico in Francia, prodotto di una campagna politica e di propaganda orchestrata nelle moschee fondamentaliste e alimentato dalla disinformazione sul conflitto mediorientale è presentato come un fenomeno di marginalità sociale, secondo lo stesso schema giustificazionista che ha guidato le autorità scolastiche e giudiziarie francesi nella loro decisione di non reprimere con sufficiente severità il fenomeno, di fatto favorendolo.
Perché ragazzi che non riescono a finire la scuola dell´obbligo o che vivono in condizioni di disagio se la prendono con gli ebrei?
Perché intorno agli ebrei persistono dei luoghi comuni, dei pregiudizi che, appena si dà una crisi sociale o economica, li indicano come colpevoli e responsabili. Ce la prendiamo con gli ebrei perché sono una minoranza. Anche in Francia, dove pure sono circa settecentomila, sono considerati come una minoranza, per quanto importante sul piano storico e culturale. Inoltre, uno dei luoghi comuni più diffusi su questa minoranza è che gli ebrei hanno successo in tutto, controllano la finanza e i mezzi di comunicazione. Ciò che si diceva di loro prima di Hitler in Germania, in Austria, in Francia e in Polonia, si ripete anche oggi, settant´anni dopo. Si sente di nuovo parlare dell´ «ebraismo che domina le banche e i media», di «lobby ebraica che agisce dietro le quinte del potere». I pregiudizi sono duraturi e finiscono per diventare letali. L´antiebraismo razziale, l´odio dell´ebreo in quanto ebreo, è una ideologia comparsa nel XIX secolo. E persiste.

Ma è solo un problema legato alla loro condizione di minoranza.
Ovviamente ci sono altri elementi che spiegano questo montare dell´antiebraismo che, oltre a essere storici, sono legati a questioni di politica internazionale. Ma gli adolescenti che se la prendono con gli ebrei e li insultano sono spesso essi stessi vittime di emarginazione e razzismo. Sono soggetti malvisti, poco considerati da una parte della società. Quando queste persone se la prendono con gli ebrei, lo fanno più per invidia che per ragioni direttamente politiche. Rimproverano loro di essere "ricchi e griffati". Allo stesso tempo, li rimproverano di essere avari; da cui l´insulto: "tirchio come un ebreo". Talvolta si tratta solo di banalità come questa.

Gli antisemiti arabi sono essi stessi vittime del razzismo, non hanno motivazioni politiche, molto spesso rivolgono agli ebrei accuse "banali" come quella di avarizia (sulla cui falsità Ben Jelloun non si esprime in modo esplicito):altri argomenti per minimizzare e giustificare, ignorando l'origine politica dell'antisemitismo in Francia, ovvero la demonizzazione di Israele cui anche Ben Jelloun ha contribuito e contribuisce.
Sì, ma gli ebrei e gli arabi che qui sono in conflitto sono comunque tutti francesi!
Aggiungo una cosa: il montare dell´antiebraismo non emerge solo dal fatto che degli arabi, fra cui molti giovani, di razza francese odi altre origini, anche non arabe, spesso di ceti poco abbienti, partecipano a scontri di questo tipo. Dobbiamo ricordare che i voti del Fronte Nazionale, partito che ha banalizzato il razzismo in tutti i sensi, si mantengono intorno al 17 per cento nelle diverse elezioni.
Sì, nei media, i giovani di origine maghrebina si oppongono spesso agli ebrei. Si chiedono testimonianze a giovani ebrei insultati da ragazzi arabi a scuola o per strada. Non si mostra mai abbastanza ciò che succede sull´altro fronte, quello dei non-ebrei.

È vero che, generalmente, si attribuiscono questi comportamenti ai giovani di origine maghrebina; in realtà partecipano a questo antiebraismo anche giovani antillani, africani o francesi di nascita. Talvolta si tratta delle stesse persone che se la prendono con gli arabi e che li incolpano di tutto ciò che non funziona nelle periferie. Il razzismo non è selettivo. Per questo l´antiebraismo si accompagna a un razzismo antiarabo, antinero?

Come?
Con un effetto contagio. Faccio un esempio: nella notte tra il 19 e il 20 aprile 2004, sono state segnate sul portale di una moschea di Strasburgo delle croci uncinate con la scritta "morte agli arabi". Devi tenere presente una cosa importante: sono stati gli europei a uccidere milioni di ebrei: nazisti tedeschi, fascisti italiani, franchisti spagnoli, le milizie francesi che collaboravano con gli occupanti tedeschi. Non sono gli arabi i responsabili di questa orribile tragedia; dovrebbe essere una ragione in più, per loro, per non cadere nell´antiebraismo. (...)

Ma l´opinione diffusa, nel mio liceo per lo meno, è che gli arabi e gli ebrei non si amino. Da un certo momento in poi, i due gruppi hanno interrotto i rapporti; ognuno di loro si isola e si circonda di odio. Uno studente che conosco diceva: «Perché gli arabi, che sono così numerosi e che hanno diversi Stati, alcuni dei quali molto ricchi di petrolio, non fanno spazio e accolgono i palestinesi, lasciando gli ebrei in pace in Israele, che invece è un piccolissimo paese?»
È una caricatura che non tiene conto della storia, le cose non sono così semplici. Una stessa terra è rivendicata da due popoli.

Non solo Ben Jelloun non accenna alla deformazione del conflitto israelo-palestinese e alla demonizzazione di Israele, ribalta le accuse di semplificazione sugli ebrei e su chi difende le ragioni di Israele.
Ma arabi ed ebrei si ignorano; non c´è traccia di dialogo. Nel mio liceo ci sono pochi studenti arabi ma quelli ebrei, che sono più numerosi, hanno la tendenza a stare solo tra di loro e a non discutere con gli altri.
Il tuo liceo non è rappresentativo. Nella maggior parte dei quartieri della periferia di Parigi e in alcune città di provincia, il numero di studenti arabi è molto più alto di quello degli studenti ebrei. Detto questo, si nota spesso che arabi ed ebrei non si rispettano e non si conoscono veramente; certo, gli uni e gli altri sono francesi ma hanno mantenuto profondi legami con le radici dei loro genitori o dei loro nonni. Così un giovane francese di origine maghrebina non si sente francese al cento per cento; i suoi genitori non hanno scelto la nazionalità francese, conservano la speranza di tornare a vivere nel paese che hanno lasciato. I loro figli, certo, hanno fatto un´altra scelta (ma potevano fare diversamente?): il loro paese è la Francia, ma questo non impedisce che si sentano ancora maghrebini, arabi o berberi, e di conseguenza coinvolti da ciò che succede nel mondo arabo e in particolare in Palestina.
Utilità della forma dialogica: quello che non si può dire direttamente lo si può far dire alla "seconda voce". Così, è la figlia a suggerire che siano gli ebrei a isolarsi, a rifiutare il contato con gli arabi, a emarginarli non appena questi siano in minoranza. A Ben Jelloun resta la parte del padre saggio, che ricorda alla figlia che il suo liceo è un eccezione, in genere sono gli arabi ad essere in maggioranza. Ciò che però non ricorda è che se in Francia vi è incomunicabilità tra arabi ed ebrei lo si deve ad aggressioni di arabi contro ebrei, non al contrario.
Spiegami, papà, perché un giovane francese di origine maghrebina non dovrebbe sentirsi francese al cento per cento.
Perché non è stato fatto niente, o quasi niente, perché egli diventasse mentalmente, culturalmente, psicologicamente francese. La sua integrazione è stata trascurata dalla società di questo paese. Talvolta gli immigrati sono stati parcheggiati in città di transito, altre volte in case popolari diventate ben presto insalubri. Sono stati allontanati dai centri vitali. E questo ha favorito lo sviluppo della delinquenza.
? Ti interrompo, papà, perché tu parli di integrazione anche riferendoti a persone che sono nate qui, in Francia. Non credi che si dovrebbe usare un´altra parola?
? Sì, hai ragione, si dovrebbero usare le parole emancipazione, accettazione, inserimento nel tessuto sociale, si dovrebbero dare a queste persone i mezzi per emergere socialmente e culturalmente, ma la parola integrazione ha il vantaggio di poter essere applicata in modo più generale, anche nei casi di coloro che non sono nati in Francia e sono diventati francesi col tempo.
? E la parola assimilazione?
? Assimilare non è un´azione positiva, è un fare che consiste nell´inghiottire; implica il cancellare le differenze. Queste persone non vengono più considerate come straniere e si chiede loro di rinunciare a tutto ciò che costituisce la loro particolarità. Gli si chiede di abbandonare certe tradizioni e costumi, di integrarsi nel tessuto sociale dimenticando e facendo dimenticare le proprie origini. Alcuni cambiano nome perché queste origini non siano più individuabili, altri si impegnano con grande zelo per avere comportamenti e mentalità ricalcati su quelli della società francese. Ma fino a che queste persone metteranno in discussione la propria identità, si sentiranno a disagio ? e il loro inserimento sarà conflittuale.
Che la si chiami "integrazione" o "assimilazione" è certo che l'inserimento dei musulmani in Francia, e in ogni altra democrazia-liberale, richiede da parte loro l'accettazione di regole e valori incompatibili con un'interpretazione fondamentalista dell'Islam.
Un aspetto del problema che Ben Jelloun vuole continuare a ignorare.

(critica a cura della redazione di Informazione Corretta)

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