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La Repubblica Rassegna Stampa
24.01.2005 Intervista a Elie Wiesel
che ricorderà la Shoah all'Onu e ad Auschwitz

Testata: La Repubblica
Data: 24 gennaio 2005
Pagina: 13
Autore: Andrea Tarquini
Titolo: «Racconto la mia Memoria, il mondo nonpuò dimenticare»
LA REPUBBLICA di lunedì 24 gennaio 2004 pubblica un intervista a Elie Wiesel, che terrà il discorso di commemorazione della Shoah all'Onu e ad Auschwitz.
Wiesel pronuncia parole chiare anche sui temi più attuali dell'antisemitismo islamico e dell'odio della sinistra radicale per Israele, e indirettamnte risponde alle mistificazioni di Tahar Ben Jelloun ospitate dal giornale poche pagine dopo (vedi "L'antisemitismo occultato a mia figlia", Informazione Corretta 24-01-05).
Ecco l'articolo:

BERLINO - Sopravvissuto all´Olocausto, poi Premio Nobel per il suo impegno internazionale, Elie Wiesel è forse la massima autorità morale della cultura ebraica contemporanea, e sarà protagonista della settimana della Memoria. Alla vigilia, ha concesso un´intervista a Repubblica.
Saranno solo giorni della Memoria o acquisteranno valenza di azione politica?
«Io non sono un politico. Cerco di dare una dimensione morale alla mia attività. Così farò anche alla commemorazione all´Onu, la prima in assoluto, e quella ad Auschwitz».
Che cosa dirà?
«Porterò la testimonianza della mia Memoria. Dirò che se e quando il Mondo rinuncerà alla Memoria dell´Olocausto, sarà come se sceglierà di uccidere le vittime una seconda volta, dopo che la prima volta fu incapace di salvarle».
La tentazione di dimenticare e voltare pagina con un tratto di penna sembra diffusa. Quanto è pericolosa?
«Credo che sia sempre esistita. Il pericolo cresce con gli anni. È un problema biologico: i sopravvissuti sono sempre più vecchi, muoiono. All´inizio del dopoguerra, avevano poca voglia di parlare. Ricordavano solo incontrandosi. E per mostrare voglia di vivere, s´incontravano soprattutto ai loro matrimoni, o alla nascita di figli e nipoti. Oggi invece s´incontrano ai funerali dei vecchi compagni di prigionia. Il tempo scorre, un funerale dopo l´altro sta spazzando via i sopravvissuti. Ogni sopravvissuto che muore porta con sé nella tomba una parte della Storia».
Teme l´oblìo delle vittime e non solo quello del resto del mondo? «Ricordo che nei primi anni dopo la guerra i sopravvissuti non amavano parlare. La loro priorità erano i figli che nascevano, la vittoria della Vita. I figli cui volevano risparmiare memorie di dolore. Fu tentazione non di dimenticare ma di rimuovere».
E l´oblìo degli altri?
«Spesso ho constatato che la gente non vuole ascoltare, né capire, né sapere. E questo non vuol dire che io o altri testimoni non sappiamo spiegare e raccontare quanto accadde. No: dall´inizio del dopoguerra esiste una barriera tra i testimoni che narrano e un pubblico che non vuole capire. Noi sopravvissuti, pur riluttanti a ricordare, ci dicemmo allora che dovevamo obbligarci a narrare in nome del Ricordo. E che dovevamo mettere a fuoco il problema centrale di oggi come di allora: l´antisemitismo. L´antisemitismo avrebbe potuto esistere senza la Shoah, ma non ci sarebbe stata la Shoah senza l´antisemitismo. Eppure, è doloroso dirlo, oggi gli intellettuali europei, che per giusta tradizione parlano sempre delle vittime, non mi fanno udire la loro voce a favore delle vittime dell´antisemitismo. Per questo le due cerimonie sono importanti. È come per l´anniversario del D-Day, lo sbarco alleato in Normandia: il 60mo anniversario è molto più importante del 50mo».
Perché?
«Perché per molti di noi sopravvissuti è l´ultimo grande anniversario cui saremo presenti. Tra dieci anni, molti di noi non ci saranno più».
Con quali ricordi personali va ai grandi appuntamenti?
«Da un lato mi sento gratificato. Dopo decenni di lavoro in nome del Ricordo, finalmente il mondo si è deciso ad ascoltare. Quando noi eravamo nei Lager pochissimi chiesero a Hitler di rinunciare al genocidio, e gli alleati si guardarono dal bombardare le linee ferroviarie che portavano ad Auschwitz».
L´Europa oggi è sicura per gli ebrei, è vaccinata contro l´antisemitismo o no?
«L´antisemitismo mi sembra molto più in crescita in Europa occidentale che non all´Est. In Europa occidentale vivono o si insediano molti più ebrei. A volte penso che il mondo non impara nulla. Nel 1945, se mi avessero detto che sessant´anni dopo avrei di nuovo dovuto combattere perché l´Olocausto non si ripetesse, perché l´antisemitismo non tornasse, non ci avrei creduto. Credevo che l´antisemitismo fosse morto ad Auschwitz. Invece purtroppo non fu così. Ad Auschwitz morirono gli ebrei. L´antisemitismo è molto vivo».
Fino a che punto gli ebrei possono sentirsi sicuri in Europa?
«Non vivo in Europa, non posso dirlo io. Ma l´anno scorso durante un viaggio in Francia m´impressionò molto il fatto che, dopo le mie conferenze, gli ebrei non mi chiedevano "se" dovevano partire, ma "quando". Questa paura è un sintomo reale di cui i non - ebrei dovrebbero prendere coscienza. Ma c´è anche uno sviluppo positivo enorme».
Quale?
«Il grande miglioramento dei rapporti tra ebrei e cristiani, specie tra ebrei e cattolici. Forse non a caso nel papato di questo Pontefice che ha saputo definire il nazismo "Male assoluto". Spero fiducioso che gli intellettuali europei ascoltino e capiscono questo passo enorme rispetto al 1943, quando il Papa sapeva. Ma era Pio XII, non il Papa venuto da Cracovia».
Insisto: è soddisfatto della posizione degli intellettuali europei? «Sono insoddisfatto soprattutto delle posizioni degli intellettuali di sinistra radicale. Non ammetteranno mai di comportarsi da antisemiti: parlano di antisionismo o di critiche a Israele. Sono onesti, rispettano le sofferenze del prossimo e le denunciano. Ma a volte vanno troppo oltre: quando criticano Israele dimenticano che gli israeliani ricordano ancora la Shoah».
Quanto sono pericolosi i neonazisti tedeschi?
«Oggi in Germania le comunità ebree crescono. Molti ebrei vi si trasferiscono dall´est. L´antisemitismo è considerato osceno in Germania prima e più che altrove. Tra i miei studenti di Storia i giovani tedeschi sono i migliori. I più bravi a imparare la Storia dell´Olocausto. Sono tormentati da sensi di colpa. Dico sempre loro: io non credo nella colpa collettiva. I bambini figli di assassini non sono assassini anche loro, sono bambini e basta. Quel che i giovani tedeschi d´oggi devono fare è impedire che i loro coetanei vengano sedotti dal neonazismo. Ma il problema è europeo, non tedesco. L´Unione europea dovrebbe iscrivere tra le sue priorità un´educazione capillare sull´antisemitismo e l´Olocausto. Cominciando dagli asili e dalle elementari».
Tra nuove destre in Europa, guerre ovunque, eserciti di democrazie accusati di torture, il mondo ha perso la dimensione etica 60 anni dopo l´Olocausto?
«La perdita della morale cominciò anche tra i comunisti. In Urss dopo la guerra dei sei giorni del 1967 la Pravda e le Izvestija paragonarono Moshe Dayan, artefice della vittoria militare israeliana, al criminale nazista Adolf Eichmann. O con sbandate antiebraiche di intellettuali rispettati come Martin Walser. La minimizzazione dell´Olocausto comincia spesso da piccoli passi».
Quanto teme l´antisemitismo islamico?
«È un problema, mi sembra. Vedo dimostrazioni in Europa in cui Bush e Sharon vengono paragonati a Hitler e si invita a ucciderli. È un antisemitismo contagioso. Sono purtroppo molto pochi i musulmani che prendono posizione contro. Forse hanno paura. E l´Islam usa certi metodi.nelle scuole palestinesi s´insegna non l´odio verso Israele, bensì l´odio verso gli Yahudin, gli ebrei».
Ricorda il Terzo Reich?
«Non amo questi paragoni. Ma insegnando ai bambini a uccidere gli odiati ebrei si producono terroristi suicidi, un´arma assoluta che poi semina la morte contro chiunque. Ebrei e no. È la triste conferma: l´antisemitismo è una minaccia per tutti, non solo per gli ebrei».
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