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La Stampa Rassegna Stampa
22.01.2005 Primi tentativi di Abu Mazen
l'analisi di Fiamma Nirenstein

Testata: La Stampa
Data: 22 gennaio 2005
Pagina: 8
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «Abu Mazen scommette sulla riconciliazione»
Come si sta muovendo Abu Mazen, e Israele ? l'analisi di Fiamma Nirenstein, come sempre accurata su entrambi i versanti.
Ecco l'articolo:

GERUSALEMME
SE sia risolutivo non si sa, ma certo è un giorno speciale nella storia del conflitto fra israeliani e palestinesi. Non si erano mai visti un migliaio di poliziotti palestinesi armati vestiti di verde, di blu e grigio, armati, senza che gli israeliani si mettessero di mezzo, agenti delle Forze della sicurezza preventiva, di Forza 17, alcune guardie persino delle «Squadre della morte», che a Gaza erano state sciolte per la loro brutalità, dispiegati di fronte a Beit Hanun, Beit Lahie, Khan Younis, i luoghi da cui in genere vengono sparati i missili Kassam che colpiscono Israele, impegnati a fermare le auto dirette verso i check point.
Nel frattempo gli israeliani avevano riaperto il passaggio verso Gaza dall’Egitto, e anche i check point di Karni e di Rafah, teatri di recenti sanguinosi attentati. Gesti, di incoraggiamento prima ancora che di fiducia, cui fa eco l’annuncio che Hamas, a Gaza, ha stilato un documento anch’esso senza precedenti: fra le consuete dichiarazioni di odio per «l’entità sionista», ritenuta «il peggior nemico del popolo palestinese» all’articolo 4, pure all’articolo 6 si dichiara che semmai, a una serie di condizioni che riguardano la fine dell’occupazione e altro, l’organizzazione terrorista è pronta a riconoscere i confini del ‘67, ovvero, di fatto a venire sulla linea di Abu Mazen e soprattutto dell’Olp.
Guardiamo adesso le forze in campo per capire quanto c’è da sperare. Il punto di partenza è l’elezione di Abu Mazen, inteso dal mondo intero come l’uomo della possibile riconciliazione, permanente o temporanea. Vengono subito dopo gli attacchi terroristici dei giorni scorsi, segnati dall’uso ormai strategico dei missili che piovono fuori della linea verde, sugli insediamenti e anche dentro Israele, soprattutto sui Sderot, cittadina poco lontana da Gaza. Ancora ieri è stata seppellita una ragazzina di diciassette anni, Ella Abukassis colpita con i fratelli sulla strada di casa.
Sharon dà un segnale duro a Abu Mazen: facendogli capire che lo ritiene responsabile per il bene e per il male, sospende i contatti e comincia tormentate riunioni con gli alti ranghi dell’esercito per stabilire se Gaza deve essere oggetto di un’operazione militare su larga scala. Anche il ministro della Difesa Shaul Mofaz, non è contento dell’ipotesi, crede che si debba dare tempo a Abu Mazen, sa che impaludarsi a Gaza, la zona più popolata del mondo e per di più pervasa di Hamas, sia una mossa fatale che poi richiederà gestione, denaro, spiegazioni agli americani almeno per un anno a venire. Intanto Abu Mazen si decide: ha promesso agli uomini delle Brigate di Al Aqsa che si sono arruolati fra le sue forze di sicurezza in via di riforma di riportare a casa i prigionieri, dare loro potere, affrancare i ricercati dalla fuga continua. E anche la Jihad Islamica avrebbe raggiunto un accordo con lui, ha annunciato la tv israeliana, solo parzialmenete smentita dagli interessati: i colloqui sono ancora in corso.
Su questo si basa il suo potere: servizi armati fedeli e riformati, rafforzati dall’arruolamento di coloro che invece teoricamente potrebbero attaccarlo. Tenta la stessa operazione con Hamas e lo fa con la carota, ma anche con il bastone. Da una parte promette potere e gestione politica delle nuova situazione, dall’altra avverte che disturbare il manovratore potrebbe essere fatale a un’organizzazione già defedata dalla guerra in cui ha perso tanti uomini. Ormai la parte forte di Hamas è a Damasco, Abu Mazen chiede all’Egitto di organizzare una riunione al Cairo e Mubarak promette. Hamas deve smettere di spingere per nuovi attentati per seguitare a ottenere finanziamenti e armi dalla Siria e dall’Iran; gli uomini di Gaza decidono di provare a verificare se un accordo con Abu Mazen può essere loro utile e la risposta è che per ora, potrebbe convenire.
Il pegno è l’apertura a Hamas nelle elezioni del prossimo luglio, così da fornire anche all’organizzazione integralista islamica uno spazio della fruttifera stagione di ricostruzione che si prevede se le cose miglioreranno. Ma miglioreranno? Le variabili sono tante: uno sparo incauto dell’esercito israeliano e, soprattutto, un attentato terroristico (e ce ne sono in abbondanza) di quelli che provano a dimostrare che Abu Mazen non vale nulla, possono mettere in moto il piano già pronto dell’invasione di Gaza. E allora anche il piano del disimpegno sfumerebbe all’orizzonte.

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