Un romanzo di fantasia presentato come un libro di storia Golda Meir raccontata come se fosse Diana d'Inghilterra
Testata: La Stampa Data: 20 gennaio 2005 Pagina: 10 Autore: Maria Corbi - Fiamma Nirenstein Titolo: «Tra eros e politica la giovane Golda ama un palestinese - Una vita da leggenda»
Golda Meir come Mata Hari, una donna dalla tumultuosa vita sessuale, che solo ora viene rivelata. Una Diana d'Inghilterra ante litteram. La STAMPA di giovedì 20 gennaio 2005 pubblica a pagina 10 un articolo di Maria Corbi, "Tra eros e politica la giovane Golda ama un palestinese", nella pagina " esteri", dove si danno abitualmente notizie dall'estero, appunto, e dove non capita mai di leggere recensioni a romanzi. Invece è un romanzo ad esservi recensito, come se si trattasse non di un'opera di fantasia, come in realtà è, ma di fatti realmente avvenuti. La giornalista, Maria Corbi, ha scritto un pezzo dimenticandosi che il materiale che aveva davanti era un romanzo, non la confessione di un "testimone". Conosce anche poco ciò di cui scrive. La vita di Golda Meir non è diventata un Musical a Broadway, è stato invece uno spettacolo di prosa, dove una bravissima attrice, Tuvah Feldshuh, è stata un'ora e mezzo da sola sul palcoscenico nei panni di Golda Meir raccontandone con estrema bravura la vita, raccogliendo ben 10 minuti di applausi alla fine di un vero e reale tour de force. Niente Musical, quindi. Scrive poi che a Golda Meir piacevano gli uomini, dando per scontata una tresca con l'allora Re di Transgodania Abdallah. La signora Corbi non ha veramente idea di cosa sia stata la vita di Gloda, tutta dedicata alla costruzione dello Stato d'Israele e alla famiglia. Vita che lei stessa ha raccontato nella autobiografia uscita anche in italiano. Farla passare passare per una assatanata di sesso significa falsificare la storia oltre che compiere un'operazione ignobile. Ci chiediamo cosa abbia spinto Maria Corbi a scrivere un articolo simile. Per fortuna che la Stampa ha chiesto un commento a Fiamma Nirenstein (che pubbliamo insieme all'articolo della Corbi), nel quale vengono smentite le affermazioni della giornalista. Se domani un qualche scriteriato (il romanzo dello scrittore palestinese ha un valore letterario zero) decidesse di raccontare "La vita e gli amori di Luigi Einaudi",affibiandogli un bell'elenco di amanti, presentandolo come uno che perdeva la testa per il gentil sesso, ci chiediamo come lo accoglierebbe la Stampa. Editoriale in prima pagina ? Con una indagine sulla dolce vita al Quirinale di quei tempi ? Interrogando quel che rimane di cameriere e maggiordomi ? Oppure lasciandolo nel luogo che più sarebbe indicato, la spazzatura ? No, a Golda Meir viene riservato il trattamento che conosciamo, C'è da rimanere senza parole.
Invitiamo i nostri lettori a scrivere alla Stampa per chiedere le ragioni di una simile pubblicazione. Peggio che un oltraggio alla memoria, un oltraggio al buon senso. Capita spesso che grandi donne e grandi uomini, nel bene e nel male, con il tempo si trasformino in icone glamour ad uso e consumo dell’immaginazione e della curiosità collettiva. Trasformazione che ha colpito anche Golda Meir, «madre» dello Stato di Israele, forte, complicata mascolina, un percorso di vita timbrato dalla storia. La sua vita adesso è un musical di successo a Broadway, un suo amore segreto è invece protagonista di un romanzo scritto da Selim Nassib, giornalista nato a Beirut da una famiglia in parte ebrea (il suo precedente romanzo «Ti ho amatoo per la tua voce», è stato un best seller). «L’Amante Palestinese» (edizioni e/o) è una storia carnale, dove il desiderio si mischia alle vite, e anche alle tappe della nascita di uno Stato. Siamo tra gli anni Venti e il 1948 ( anno della proclamazione dello stato di Israele) in una terra contesa, alle radici del conflitto arabo israeliano. Perchè nel filo narrativo, la passione, i turbamenti del cuore, sono intrecciati a questa parentesi storica, ancora dolorasamente aperta. Ebrei e arabi, fratelli e eppure divisi. Capaci di amarsi, come fanno Golda e il palestinese Albert Pharaon, ricco banchiere, ma destinati a vivere da nemici nella stessa casa. Pagine che rivelano (o dipingono) il lato più intimo della pasionaria del sionismo, la febbre che la spinge tra le braccia di Albert in incontri clandestini, travolgenti e colpevoli. Siamo abituati a immaginare la Meir severa, con i capelli tirati a crocchia dietro la nuca, il naso importante, l’assoluta impermeabilità a qualsiasi frivolezza. Ricordiamo il suo volto anziano, segnato dal sole dei Kibbutz, la sua tempra di acciaio. E invece scopriamo in questo libro una specie di eroina da soap opera che vive molto lottando, ma soprattutto molto amando gli uomini. Al primo appuntamento con Albert, Golda «cede subito, come una diga che si rompe sotto la pressione. Sono gettati l’uno contro l’altra, confusi, perdono il controllo di sé stessi, non sanno più cosa fanno. I corpi si urtano e si lacerano senza freni». E ancora: «Le grandi mani di Albert si infilano senza nemmeno rendersene conto sotto l’abito di Golda e percorrono l’intimità di una pelle che freme per il piacere». Quale attendibilità abbia questa ricostruzione, che ha provocato dure reazioni in Israele anche dall’intellighentia più conservatrice oltre che dagli eredi dell’ex primo ministro, lo spiega l’autore nel prologo: «Conosco questa storia da sempre. Albert Pharaon, era il nonno del mio amico Fouad...Una delle nipoti di Albert vive ancora al Cairo, dove si è sempre sentita in esilio...Albert andava a trovarla ogni volta che era di passaggio in città. Amava i cavalli, come lui. Albert le raccontava di Golda, non poteva parlarne con nessun altro. Il resto della famiglia preferiva non sapere. Uno di loro andava a letto con il nemico. Era qualcosa di inimmaginabile, indecente, quasi osceno». Una storia tramandata, dunque, di cui a Tel Aviv non risulta nessuna traccia, come ammette lo stesso autore: «I figli, il biografo di Golda Meir sono esterrefatti. A Golda gli uomini piacevano, ma i suoi amanti erano ebrei come la sua gente, non ne ebbe altri. Tranne per una notte, forse, il re Abdallah di Transgiordania». Con i «forse» i «se» il «possibile» non si scrivono i libri di storia ma si costruisce, come in questo caso, un romanzo di amore, dove la protagonista è una donna libera, giovane che miscela impegno a spensieratezza. Ai compagni politici regala la sua intelligenza e la sua motivazione ma anche il suo corpo. Come succede con Dalman Shazar, proprietario del Davar il quotidiano del partito laburista. «Lui le ha dato la forza di lasciare la famiglia, lui l’ha avuta», scrive Nassib. David Remez, proprietario di Solel Boneh, l’azienda che costruisce le strade, i ponti, le case di tutto lo «yishuv» (comunità ebraica in Palestina) ha mantenuto con Golda tutte le promesse (le ha trovato una sistemazione, l’ha introdotta) e Golda sarebbe «potuta cadere tra le sue braccia». «Remez l’aveva sentito», ci racconta questo romanzo. «Ma l’uomo prende tempo, sa che il momento arriverà. Zalman è stato più veloce». Una descrizione dei personaggi chiave della storia di Israele come una combriccola di adolescenti, con Golda nella parte dell’eroina della festa dall’appetito in amore «insaziabile». Una giovane donna che non trova e non si pone limiti, intensa sia negli ideali che nel cuore. Un uomo sofferto, Albert. l’amante, che cerca un intensità di mente e sensi per stordire il dolore per quello che sarà. Sullo sfondo la Palestina sotto mandato britannico, terra di arrembaggi economici, cambiamento, tensioni, fanatismo, speranze e illusioni. Una terra che divide due popoli, e che alla fine dividerà i due amanti. All'articolo di Maria Corbi risponde, sempre apagina 10, Fiamma Nirenstein, con l'articolo "Una vita da leggenda" Tutto in lei è stato leggenda, e come spesso capita alle leggende il suo retaggio è divenuto polemica, dato che la storia d’Israele è troppo epica, controversa, belligerante, per essere attraversata in carrozza. L’emigrazione in America dalla Russia (nasce a Kiev nel 1989) sulla disperata nave Pocahontas porta Golda in un’America democratica su cui balena il sogno di un’Israel socialista. Così Golda, insegnante, diventa un membro del Poalei Zion, i lavoratori di Zion, lunghe riunioni azzurrine (fumava come una pazza) sul sogno di emanciparsi dal ghetto e tornare alla terra dei padri per redimerla rendendola fertile e redimersi dalla mancanza di appartenenza, dalle persecuzioni, dal ghetto. Fin dall’età di sedici anni è la compagna e poi sposa di Morris Meyerson, che si imbarca con lei nell’avventura di una vita in Israele, prima tappa il kibbutz Merhavia. Tutto il mondo socialista si accorge subito di lei, in primis Ben Gurion che la mette al lavoro nel mondo dell’Histadrut, sindacato onnipresente nella società israliana e poi nell’Agenzia Ebraica; nel ’48 di fronte all’attacco concentrico di cinque eserciti arabi dopo la partizione dell’Onu raccoglie fondi negli Usa per sostenere il confronto. Poi, travestita da araba, incontra senza successo re Abdullah di Giordania per chiedergli di non entrare in guerra: le pressioni degli altri vicini erano troppo grandi. Ben presto Golda diventerà ambasciatrice in Urss, e una delle maggiori promotrici dell’immigrazione sovietica. Ministro del lavoro, poi degli esteri, poi primo ministro, sbatte la testa nella Guerra del Kippur nel ‘73: non capisce, né lei né Moshe Dayan, che Egitto e Siria preparano l’attacco. L’attacco giunge con tante perdite. Questo, insieme alla sofferenza che le causava la quasi assenza di quella vita familiare del suo immaginario di ebrea di Shtetl, è stato il grande scoglio della sua vita. Anche se il suo partito laburista conquistò di nuovo il governo - perché in fondo la guerra era stata vinta - nel ‘74 Golda lo lasciò a Ytzchak Rabin. Davvero impensabile che oltre a Israele e alla sua famiglia abbia avuto altri amori. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare il proprio parere alla redazione de La Stampa. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.