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La Repubblica Rassegna Stampa
13.01.2005 Un'intervista rispettosissima e del tutto innocua al premier palestinese Abu Ala
che fa propaganda anti-israeliana senza nessuna replica efficace

Testata: La Repubblica
Data: 13 gennaio 2005
Pagina: 10
Autore: Fabio Scuto- Alberto Stabile
Titolo: «Adesso Bush e Sharon facciano un gesto di pace»
LA REPUBBLICA pubblica a pagina 10 un'intervista al premier palestinese Abu Ala.
Fin dal titolo, "Adesso Bush e Sharon facciano un gesto di pace" si annuncia una sostanziale approvazione per le tesi propagandistiche del politico palestinese: è a Israele che spetta ora fare "un gesto di pace", i palestinesi hanno già fatto quello che spettava loro.
Esattamante, occorre però chiedersi, che cosa hanno fatto? Il terrorismo continua, l'incitamento è stato ridotto ma non eliminato, persino il linguaggio di Abu Mazen in campagna elettorale è divenuto più estremista, mentre la sua condanna della violenza è motivata dalla valutazione dei rapporti di forza attuali e non da motivi di principio.
Decisamente, è ai palestinesi, non a Israele che spetta ora compiere un "gesto di pace" concreto.
Ecco l'articolo:

RAMALLAH - Abu Ala ha appena concluso la riunione finale dell´ultimo governo palestinese dell´era Arafat, ma sarà ancora lui a guidare il primo governo dell´era Abu Mazen. Se c´è un personaggio indifferente ai mutamenti della stagione politica questo è Ahmed Qorei, detto anche Abu Ala. Molti, dopo la morte del Rais lo consideravano un perdente. Abu Mazen, invece, prima ancora di accettare le dimissioni del vecchio esecutivo, lo ha confermato alla testa del nuovo. Ed ora Abu Ala sorride delle voci circolate a Ramallah: «Ma quali dissensi! Io e Abu Mazen apparteniamo alla stessa scuola. Formiamo una squadra affiatata».
Signor Primo ministro, ogni giorno missili Qassam vengono sparati contro obiettivi israeliani. Stamani c´è stato un attacco kamikaze, un israeliano è morto, tre soldati sono rimasti feriti. Non le sembra questo il modo migliore per sabotare l´atmosfera favorevole che si è creata dopo l´elezione di Abu Mazen?
«Non possiamo accusare solo i palestinesi. Dobbiamo ricordare anche quali sono state le azioni degli israeliani in questi giorni. Stamattina due ragazzi sono stati uccisi in un villaggio a nord di Ramallah, martedì è stato assassinato a Tulkarem un nostro attivista politico. C´è la minaccia concreta di demolire migliaia di case a Rafah per costruire il canale che dovrebbe impedire di scavare i tunnel. Queste azioni ci fanno sentire perennemente sotto minaccia, ci fanno perdere la speranza. Noi siamo contro i Qassam. Abu Mazen lo ha dichiarato esplicitamente. Siamo pronti a un cessate il fuoco unilaterale, ma questo richiede che dall´altra parte ci siano comportamenti che non ostacolino questa nostra decisione».
A Ramallah sono sati colpiti due terroristi di Hamas, a Tulkarem il "militante politico" faceva parte di un'organizzazione terroristica. La distruzione delle case a Rafah serve appunto a fermare il traffico d'armi. Invece di ricordare questi fatti al loro interlocutore, però, Scuto e Stabile cambiano argomento. Ecco infatti come prosegue l'intervista
Durante la campagna elettorale è sembrato che lei dissentisse da Abu Mazen sulla necessità di abbandonare la lotta armata. Pensa che l´intifada violenta abbia ancora qualche margine di successo?
«Sono assolutamente d´accordo con Abu Mazen, tutti e due vogliamo una pace basata sulla giustizia e tutti e due vogliamo portare avanti un´iniziativa seria, che abbia scadenze e tempi precisi. Le differenze sono soltanto sulle parole usate».
Che vuol dire un´iniziativa di pace seria?
«Vuol dire che ci sentiamo impegnati ad impedire che civili israeliani vengano colpiti dentro il territorio israeliano. Questa è una questione morale, umana e di civiltà. Su questo siamo impegnatissimi. Ma non possiamo dimenticare che siamo sotto un´occupazione che causa sofferenze. Tutte le leggi anche quelle divine autorizzano la resistenza all´oppressione. Per questo insistiamo per un cessate il fuoco di entrambe le parti, una tregua anche temporanea, durante la quale ci sforzeremo di trovare attraverso il dialogo una soluzione al conflitto. Speriamo che ci sia serietà d´intenti da parte di Israele e del Quartetto. In particolare gli Stati Uniti devono dimostrare di essere credibili. Voglio essere chiaro, è tempo di giocare a carte scoperte. Tatticismi, furbizie, fughe dagli impegni assunti, tutto questo non serve a niente».

Abu Ala ha dichiarato che l'Anp è impegnata a "impedire che i civili israeliani vengano colpiti dentro il territorio israeliano". Se ne deduce che non è impegnata a impedire né che i civili israeliani siano colpiti nei Territori, né che i militari israeliani siano colpiti da entrambi i lati della linea verde.
Sarebbe stato lecito e doveroso chiedere al premier palestinese: " E questa sarebbe un'iniziativa di pace seria?"
Invece Scuto e Stabile cambiano ancora argomento:

Cosa vuol dire? E´ un messaggio a Sharon?
«Sharon ha tutta la legittimità, la capacità individuale e il sostegno politico di sedersi al tavolo delle trattative e trovare una soluzione. Da parte nostra, legittimati dalla elezione di Abu Mazen, anche noi abbiamo questa possibilità. Possiamo trattare, nel modo che si riterrà più opportuno, bilateralmente o in una cornice internazionale, ma non c´è più né la voglia né il tempo di sedersi per trovare soluzioni parziali».
Il suo ministro degli Esteri Nabil Shaath, ha detto che l´incontro tra Sharon e Abu Mazen potrebbe avere luogo entro due settimane.
«Non mi risulta. Ma posso dire che non andremo a un incontro se non sarà ben preparato».
Tuttavia, una ripresa del processo di pace sembra finalmente possibile. Allora è vero, come sostenevano Sharon e Bush, che l´ostacolo era Arafat?
«Arafat non è mai stato un ostacolo alla pace. Anzi, è stato il palestinese che ha avuto più coraggio nello scegliere la via della pace. Negli anni, Arafat ha portato i palestinesi ad accettare ciò che era proibito: le risoluzioni dell´Onu 242 e 338. Si è assunto la responsabilità di firmare gli accordi di Oslo, la decisione più difficile della nostra storia, e tutti gli accordi che ne sono seguiti».

A questo punto occorrerebbe ricordare ad Abu Ala alcuni dati di fatto: il rifiuto delle offerte israeliane ad Oslo, l'abbandono del processo negoziale, la scelta della violenza, il rifiuto dell'offerta di Taba, che migliorava ancora, rispetto alle aspirazioni palestinesi, quella di Taba, il sostegno al terrorismo e all'incitamento contro Israele, la gestione totalitaria e clientelare del potere, la rivendicazione del "diritto al ritorno" come leva per distruggere Israele: atti e scelte politiche di Arafat che gli hanno certamente tolto, se mai l'aveva avuta, la qualifica di partner per la pace.
Scuto e Stabile rivolgono invece ad Abu Ala un'innocua domanda da finti ingenui, che permette all'abile politico palestinese di rigettare su Israele le responsabilità del raìs:

Ma allora perché adesso è diventato improvvisamente possibile ciò che non lo era mentre Arafat era in vita? Cosa è cambiato?
«Considero l´aver detto che Arafat non era un partner per la pace come la più grande bugia dell´epoca moderna. Come è possibile dire che non c´è un partner ad un popolo ad una leadership che ha rinunciato al 78 per cento della Palestina storica e ha accettato di fondare il suo Stato nel rimanente 22 per cento? Se chi ha accettato tutti questi compromessi non è considerato un partner credibile, chi può essere allora un vero partner? Comunque, Arafat è morto, Abu Mazen è stato eletto presidente. I cambiamenti da parte nostra ci sono stati. Ma da parte israeliana non vedo il benché minimo cambiamento. Né vedo cambiamento da parte della Casa Bianca, a parte il benvenuto dato a Abu Mazen».
Cosa intende per cambiamenti?
«Intendo che venga bloccata la costruzione del Muro, che sia fermata l´espansione degli insediamenti, che cessino le uccisioni mirate, che vengano rimossi i posti di blocco nei Territori. Se questo sarà fatto, se gli americani si vorranno impegnare, troveranno in noi i migliori partner».

Senza aver dato nessuna garanzia circa la lotta al terrorismo Abu Ala pone, come precondizione per un dialogo fruttuoso, l'abbandono da parte di Israele di ogni misura di difesa.
Una richiesta assurda, che ha lo scopo, evidente, di attribuire anticipatamente a Israele la responsabilità di un eventuale fallimento del processo negoziale.
Lungi dall'incalzare Abu Ala sul terrorismo e sulla volontà dell'Anp di combatterlo, Scuto e Stabile avvallano la sua pretesa che solo Israele abbia degli obblighi nel processo negoziale, e formulano una domanda da lui certamente gradita:

Quindi, ha ancora delle riserve sulla disponibilità di Bush e Sharon?
«Certo, e finché vedrò che non cambierà nulla, continuerò ad averle. È la nostra esperienza del passato. Le parole non servono più».
Scuto e Stabile non ricordano ad Abu Ala i passi concreti già compiuti da Sharon: il piano di ritiro da Gaza, la liberazione di aprte dei prigionieri, la facilitazione delle elezioni, la disponibilità a immediati colloqui.
Invece, ancora una volta, cambiano discorso:

A Ramallah già circolano liste coi nomi dei nuovi ministri. Il suo Consigliere per la sicurezza Jibril Rajub si improvvisamente dimesso martedì. Cosa sta succedendo?
«Rajub aveva tutto il diritto di dimettersi. Qual è il problema? Quanto ai nuovi ministri, tutto è possibile».
Sembra che lei non voglia parlare di politica.
«Se volete, preferisco dimenticarla. Quando ho incontrato Andreotti a Roma ci siamo detti che gli uomini, quando diventano anziani, come noi, dimenticano tre cose: la prima è di abbottonarsi i pantaloni, la seconda sono i nomi delle persone. La terza cosa che dimenticano è... qual era la terza cosa». Risate.
E siccome il loro interlocutore a certe domande proprio non vuole rispondere, non insistono, e si fanno due belle risate con lui.

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