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Il Manifesto Rassegna Stampa
12.01.2005 Cinema militante contro Israele
recensione e proclami sul qiuotidiano comunista

Testata: Il Manifesto
Data: 12 gennaio 2005
Pagina: 16
Autore: Sergio Di Giorgi
Titolo: «»
"Combattere Israele vincendo, e senza armi" è il richiamo in prima alla recensione di Sergio di Giorgi al film "Private", pubblicata dal MANIFESTO di mercoledì 12 gennaio 2005. La frase è ambigua: può riguardare la storia raccontata nel film, oppure il film stesso, esaltato (non possiamo dire se a torto o a ragione, dal punto di vista del Manifesto, perchè non lo abbiamo visto) come opera "militante".
Nell'articolo si legge a proposito dell'attore palestinese protagonista del film, Mohammed Bakri, "Del resto, lui stesso ha vissuto e vive sulla propria pelle quel dramma quotidiano: dopo aver diretto nel 2002 Jenin...Jenin (durissimo documentario sulla distruzione di quel campo profughi) lui e la sua famiglia, dopo una violenta campagna di stampa, sono stati perfino arrestati per un breve periodo nel villaggio dove abitano, in Galilea. E proprio questo è alla base del suo nuovo progetto: «sto scrivendo un film sulla mia vita in Israele dopo Jenin...Jenin: prima di allora ero una star anche in Israele, dopo sono diventato il diavolo. Sarà il racconto dei miei tanti amici, veri e falsi, in Israele»".
"Jenin... Jenin" è un film completamante menzognero, che racconta un "massacro" che ormai tutti sanno non essere mai avvenuto.
Nel film "La route de Jenin", Piere Rehov, l'autore di "The Silent Exodus" sui profughi ebrei dai paesi arabi, raccoglie le testimonianze dei palestinesi intervistati nel film di Bakri, che rivelano di aver mentito e la natura fraudolenta del'operazione. Proponiamo allora un altro slogan, al posto di quello del quotidiano comunista:
"Combattere Israele senza armi da fuoco, ma con quelle della propaganda e della menzogna". Vincendo? Non è detto.
Ecco l'articolo:

Affollatissima anteprima nazionale e conferenza stampa - alla presenza di produttori, distributori e parte del cast - per l'uscita (venerdì prossimo) di Private di Saverio Costanzo (classe 1975); solo 25 copie ma nelle sale «giuste», come dice Luciano Sovena dell'Istituto Luce, delle principali città (Anteo e Eliseo a Milano, Eden a Roma, purtroppo con un doppiaggio che azzera il bel «pastiche» linguistico del film, per fortuna già si prepara l'edizione in dvd, come ha confermato il produttore Mario Gianani). L'opzione milanese si deve forse alla vicinanza geografica e «culturale» con il festival di Locarno dove il film ha vinto un po' a sorpresa il Pardo d'oro e un secondo premio per l'interpretazione di Mohammad Bakri, icona del cinema palestinese e israeliano, da Khleifi a Gitai a Barbash a Masharawi. Dopo il successo a Locarno, il film comunque è stato venduto in 35 paesi, Usa compresi (dove uscirà a marzo), e sta compiendo un bel tragitto nei festival (Toronto, Haifa e sarà in gara a Rotterdam). Ma per un film come Private (il titolo sta per soldato, ma gioca l'ambiguità semantica, in inglese come in italiano) le curiosità maggiori riguardano l'accoglienza del film in Palestina e in Israele (qui si è fatta avanti anche la distribuzione commerciale). Vi si narrano infatti le drammatiche vicende - ispirate a una vicenda di cronaca vera- di una famiglia palestinese (colta e relativamente agiata) la cui casa su tre livelli (isolata a metà strada tra gli insediamenti dei coloni e un villaggio palestinese) viene violentemente occupata dai soldati israeliani (interpretati da attori israeliani) che relegano il padre e capofamiglia (Bakri), la moglie (la brava Areen Omari, già in Haifa e Ticket to Jerusalem di Masharawi) e i loro cinque figli (tra questi alcuni ragazzini «napoletano-palestinesi») nel solo piano terra, con uso strettamente sorvegliato di bagno e cucina.
La sintassi cinematografica è di stampo documentaristico, la scuola di Costanzo (rivelato da un documentario di sorprendente acutezza sulla reazione all'attacco alle Twin Towers degli italo-americani di Brooklyn), ma lo spostamento del set (dalla «green line» israeliana, divenuta troppo rischiosa) al litorale calabrese di Roccella Ionica esalta la volontà registica di realizzare uno «psicodramma» che fa leva sui vissuti personali degli attori e dove i personaggi, da entrambe le parti, simboleggiano posizioni diverse rispetto al conflitto.
«L'esperienza più intensa - ricorda il regista Saverio Costanzo - è stata in settembre la proiezione al festival di Haifa. Dopo il rituale dibattito, tutto il pubblico si è trasferito su un prato antistante la sala; abbiamo continuato a parlare per due ore; c'erano tutte le generazioni israeliane, un vecchio ufficiale che aveva partecipato alla prima occupazione dell'esercito britannico e i giovani in partenza per la leva e destinati ai Territori occupati. Non li aveva disturbati lo sguardo di un regista straniero; più indispettiti erano i commenti dei giornali, specie quelli di destra. M'aariv ha stroncato il film, non tanto nel merito, ma perchè «non abbiamo bisogno che altri vengano a raccontarci queste cose». Forse invece c'è tanto bisogno che israeliani e palestinesi vedano e discutano un film come questo, soprattutto i giovani nelle scuole, ammonisce Bakri, che ricorda come ancora il film non sia stato visto in Palestina: «con il ministero della cultura avevamo organizzato una proiezione prima di natale a Ramallah, poi rimandata a febbraio per via delle elezioni».
A proposito di elezioni, Bakri è d'accordo con Abu Mazen «perchè anche lui non crede che il conflitto israelo-palestinese possa essere risolto con la violenza. È lo stesso messaggio del film, e credo che anche per questo, oggi, quest'opera avrà buona accoglienza in Palestina». Ma non nasconde i problemi: «da troppo tempo l'occupazione israeliana vuol dire morte e sangue, e genera a sua volta altro sangue, ma sono solo i nostri due popoli che devono risolvere il conflitto. Io ho 51 anni e ho vissuto il film come padre prima che come attore; ai miei figli dico spesso di lasciare il paese, ma poi vorrei che rimanessero, come fa il protagonista di Private».
Del resto, lui stesso ha vissuto e vive sulla propria pelle quel dramma quotidiano: dopo aver diretto nel 2002 Jenin...Jenin (durissimo documentario sulla distruzione di quel campo profughi) lui e la sua famiglia, dopo una violenta campagna di stampa, sono stati perfino arrestati per un breve periodo nel villaggio dove abitano, in Galilea. E proprio questo è alla base del suo nuovo progetto: «sto scrivendo un film sulla mia vita in Israele dopo Jenin...Jenin: prima di allora ero una star anche in Israele, dopo sono diventato il diavolo. Sarà il racconto dei miei tanti amici, veri e falsi, in Israele».
Opposti atteggiamenti, tra diffidenza e volontà di collaborazione hanno attraversato anche il set. Il giovane Lior Miller (che in Israele è una star televisiva e nel film è il «cattivo» comandante Ofer) in conferenza stampa offre un illuminante punto di vista sulla lavorazione del film. «Nel mio paese viviamo ormai alla giornata, ma la gente vuole ancora credere nella pace. Secondo me il film coglie una parte della verità, per questo fa discutere. Eppure, io e i miei colleghi ci siamo opposti di fronte a certe scene secondo noi troppo violente da parte dei soldati, abbiamo chiesto a Costanzo di renderle meno dure». E Bakri conferma che «tanto gli attori palestinesi che quelli israeliani cercavano di portare il regista dalla loro parte. Per fortuna, Saverio aveva le idee chiare ed ha resistito».
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