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La Stampa Rassegna Stampa
12.01.2005 Il mondo arabo e Abu Mazen
intervista di Fiamma Nirenstein al diretore del Memri Ygal Carmon

Testata: La Stampa
Data: 12 gennaio 2005
Pagina: 9
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «Sostenuto dagli arabi ma senza entusiasmo»
LA STAMPA di mercoledì 12 gennaio 2005 pubblica a pagina 9 un'intervista di Fiamma Nirenstein a Ygal Carmon, direttore del Memri, l' Istituto di ricerca sui media medorientali, sulla percezione da parte del mondo arabo dell'attuale situazione politica mediorientale, in particolare dopo l'elezione diAbu Mazen.
Ecco l'articolo:

Ygal Karmon è il direttore del Memri, l’Istituto di ricerca sui media mediorentali, un centro di studi con la sede centrale a Washington e una quantità di diramazioni da Baghdad, a Gerusalemme, a Berlino.
Dottor Karmon, le elezioni palestinesi, l’imminenza dello sgombero voluto da Sharon, le elezioni in Iraq cui mancano ormai pochi giorni disegnano un cambio di scena. Come lo percepisce il mondo arabo? Come vede la figura di Abu Mazen?
«In generale ho una sensazione di distanza, di perplessità, anche se ovviamente l’elezione di Abu Mazen ha suscitato una quantità di commenti di speranza per la causa palestinese e di congratulazioni. In generale tutti i media dei Paesi circostanti citando le benedizioni e gli auguri dei loro Raiss al nuovo presidente palestinese, testimoniano del fatto che nessuno di loro, certamente, è contro Abu Mazen. Tuttavia, c’è cautela: più che essere dichiarazioni di apprezzamento politico o personale specifico, sono segni di sostegno e speranza per la risoluzione della questione palestinese in maniera vantaggiosa per i loro fratelli, e si mostra una certa fiducia che questo potrà accadere. Non c’è problema con Abu Mazen: egli è il candidato istituzionale dell’Egitto, della Giordania, dell’Arabia Saudita, della Siria, e persino del Kuwait con cui ha ristabilito i rapporti rotti nel ‘91 per il sostegno a Saddam. Abu Mazen ha incontrato tutti quanti prima delle elezioni».
Il ministro Tajeb Abd el Rahmin tuttavia, mi ha detto che il mondo arabo e molto preoccupato, temendo un contagio democratico.
«Mi sembra da una parte un’osservazione corretta, dall’altra esagerata».
Corretta nell’esame di come sono state condotte le operazioni di voto?
«Esatto: merita certo ammirazione l’eccezionale quiete e la dignità delle procedure e della folla che ha votato, e anche se non si tratta di democrazia intesa alla nostra maniera, è certo rimarchevole che Mustafa Barghuti, che pure protesta, abbia preso il venti per cento contro la grande macchina del Fatah. E’ un miracolo di democrazia nel mondo arabo».
Allora ha ragione Abd el Rahmin.
«No, perché i Paesi arabi vedono la democrazia palestinese come una pura funzione del problema di questa zona che per quanto simbolica è per altro molto particolare. Interessa molto di più l’Iraq: quelle elezioni là e lo stabilirsi di una democrazia nel cuore del mondo arabo, in un grande Paese, questo desta preoccupazione. E probabilmente, salvo che per le zone infestate dal terrorismo, si vedranno scelte altrettanto pacifiche e ordinate come quelle viste qui. E oltre alla discussione più generale su Islam e democrazia, diventerà oggetto di dibattito per tutti quanti il problema sollevato qualche giorno fa su Al Hajat di Washington nell’articolo di Salama Naamat: come mai noi arabi adesso vediamo inizi di democrazia solo perché essa ci viene imposta con delle occupazioni militari?»
Abu Mazen sarà un riformatore?
«Per ora vediamo un uomo che si era molto esposto fino a due anni fa, che poi ha fatto marcia indietro utilizzando il "discorso" estremista. I palestinesi sono stati molti assorbiti nella loro guerra e la richiesta di democrazia a volte è solo la richiesta di una linea politica tatticamente diversa. E poi Abu Mazen ha da battere l’educazione all’odio, il massimalismo sul diritto al ritorno, la diffusione onnicomprensiva di armi. Compiti difficilissimi. Tuttavia, nonostante un certo pessimismo, sono pronto a sperare con tutti».
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