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La Stampa Rassegna Stampa
05.01.2005 Abu Mazen definisce Israele "nemico sionista"
l'ambiguità del probabile successore di Arafat nell'analisi di Fiamma Nirenstein

Testata: La Stampa
Data: 05 gennaio 2005
Pagina: 13
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «Abu Mazen parla di «nemico sionista»»
LA STAMPA di mercoledì 5 gennaio 2005 pubblica un articolo di Fiamma Nirenstein sull'uso da parte di Abu Mazen dell'espressione "nemico sionista".
L'articolo, informato e corretto, è intitolato «Abu Mazen parla di "nemico sionista"».
L'occhiello, "Dopo l'uccisione di sette ragazzi palestinesi" non spiega il contesto di questo episodio, presentato invece con precisione dalla giornalista: il tentativo da parte dell'esercito israeliano di fermare il continuo lancio di razzi Kassam da parte dei terroriti di Hamas.
Ecco l'articolo:

"Il nemico sionista"? Ma non esisteva più! Questa era infatti un’espressione usata dal mondo arabo come estremo segno di rifiuto, una vendetta verbale potentemente delegittimante,come dire che Israele non esiste neppure in quanto nome proprio di Stato. Questa espressione era stata messa nel cassetto anche da Arafat, ripristinata solo dall’estremismo islamista di Hamas, e neppure tanto spesso. E adesso il candidato principe alle prossime elezioni presidenziali palestinesi, Abu Mazen, considerato nel mondo intero un moderato, un’autentica promessa di ritorno alla trattativa dopo quasi cinque anni di Intifada dei terroristi suicidi, ha riproposto questa espressione durante un bagno di folla.
Negli ultimi giorni, l’escalation verbale che accompagna la sua campagna è diventata uno stile che fa agitare gli israeliani, ma anche il resto del mondo. E’ accaduto dirante la giornara di campagna elettorale di ieri: la mattina Abu Mazen era ancora a Gaza, a Khan Yunes, e il pomeriggio a Ramallah: in ambedue i luoghi il Fatah ha organizzato comizi di massa. A Rammallah una folla nutrita e composta da due gruppi distinti caratterizza queste manifestazioni. La gente: negozianti, impiegati, avvocati, studenti universitari, molti bambini, ragazze in blue jeans oppure con gli abiti tradizionali della religone islamica, grandi gruppi compatti di fellah, i contadini con la kefia e il bastone, la povera gente vestita solo con una felpa vecchia nel freddo invernale, i notabili con la cravatta e le giacche italiane che si fanno vedere l’uno all’altro per dire «"io c’ero"; e poi la folla giovanile e ribollente dell’Intifada, i giovani ora diciottenni o ventenni che non hanno mai visto altro che spargimento di sangue, tutti ornati di nastri e bandane con bandiere e kefie; molti sono parte dei tanzim, parecchi delle Brigate di Al Aqsa, alcuni sono ricercati a cui Abu Mazen ha promesso un futuro senza doversi più nascondere. Lo sostengono, ha promesso loro la vita.
Gridano, sventolano bandiere, scandiscono insieme il nome di Abu Mazen e di Arafat, giurano di vendicare gli shahid, di proseguire la rivoluzione, ma scandiscono anche «ti abbiamo scelto, Abu Mazen», e suona come una minaccia e una promessa. Ieri la giornata era molto dura: fra la sera di lunedì e la giornata di ieri, gli israeliani avevano ricevuto una scarica di missili Kassam nella zona di Gaza, dentro e fuori la linea verde;uno di questi missili ha quasi centrato un autobus pieno di bambini, altri la cittadina di Sderot (nella Linea Verde) che ha già avuto vari morti, e una fabbrica a Netzarim, negli insedimenti. La risposta è stata durissima: un cannone ha sparato da un tank un proiettile che a Beth Lakia, nel nord della Striscia,ha ucciso sette ragazzi; un’escalation imprevista e terribile, tanto che il comandante dell’unità israeliana ha dichiarato il suo dispiacere, ripetendo che tuttavia era impossibile evitare il tentativo di scovare i nidi dei kassam, pronti a sparare di nuovo i loro missili.
Probabilemente, Abu Mazen ha sentito la pressione della folla infuriata: così, ha aggiunto a una collana di dichiarazione contradditorie («la lotta armata ha danneggiato la nostra causa e deve avere termine» ma anche «fratelli di Hamas, non si romperà mai l’unità fra tutte le fazioni»; «E’ un errore sparare missili kassam» ma anche «fratelli militanti (ovvero armati), siete eroi combattenti della libertà»; «cercheremo la trattativa» ma anche «il diritto al ritorno è una strada obbligata») anche quella, molto pesante, del «nemico sionista». Abu Mazen vuole evitare che a lui si pensi come a un burattino degli israliani.
Ma gli israeliani, che fino ad ora avevano mantenuto un compunto silenzio sull’uomo che deve sostituire Arafat, cominciano a percepirlo come un grande punto interrogativo. Il vice di Ariel Sharon, Ehud Olmert, ha detto che si tratta di una dichiarazione «intollerabile e inaccettabile» e che «non può servire come base per nessuna futura collaborazione, e dopo il nove di gennaio, guarderemo questi commenti in modo diverso da come li guardiamo oggi». E anche Silvan Shalom, ministro degli Esteri, contegnoso e riservato sulle elezioni, secondo la linea del governo, ha esclamato: «Questa poi non si era sentita da molto tempo». E tuttavia, Abu Abbas lunedì a Gaza non si era peritato di sollevare l’ira di Hamas sostenendo che gli attacchi con i missili sono inutili. Cerchiobottismo palestinese.
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