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La Repubblica Rassegna Stampa
03.01.2005 Elezioni palestinesi, cronaca scorretta
con critiche tardive alla corruzione dell'era Arafat

Testata: La Repubblica
Data: 03 gennaio 2005
Pagina: 20
Autore: Daniele Mastrogiacomo
Titolo: «Gaza, parte la sfida del voto»
LA REPUBBLICA di lunedì 3 gennaio 2005 pubblica una cronaca delle elezioni palestinesi di Daniele Mastrogiacomo.
Dopo un immancabile riferimento al "muro opprimente" e ai posti di blocco in Cisgiordania, senza citare i terrorisnmo che li rende necessari, Mastrogiacomo scrive della "battaglia" in corso a Gaza, "con incursioni dell´esercito da un lato e lanci di razzi Qassam dall´altro" cancellando la distinzione tra aggressione e difesa e tra attacchi deliberati e indiscriminati a centri abitati e risposte mirate contro i terroristi.
Le riforme annunciate da Nemer Hammad, rappresentante dell'Anp in Italia, toccherebbero, se attuate, mali (l'inefficienza delle forze di sicurezza e il clientelismo) del sistema di potere costruito da Arafat che gli organi di informazione avrebbero avuto il dovere di denunciare quando il raìs era ancora in vita, prima del cambio di regime.

(a cura della redazione di Informazione Corretta)

Ecco l'articolo:

Non accadeva da anni. Sicuramente da quando è iniziata l´Intifada. «Gli alberghi del lungomare hanno riaperto e l´ultimo dell´anno abbiamo ballato fino all´alba», racconta Ahmed, studente in Medicina. L´effetto Abu Mazen, 69 anni, candidato di al Fatah e dato per favorito (65 per cento) alle elezioni presidenziali palestinesi di domenica prossima, nasce da cose come queste. Tante, piccole, ma capaci di cambiare la vita di tutti i giorni. E aver chiesto e ottenuto la riapertura al traffico di una delle più belle aree di Gaza, piena di alberghi e ristoranti, ha molto più peso di un discorso che infiamma la piazza. Certo, rispetto al muro opprimente, ai posti di blocco che dividono a macchia di leopardo la Cisgiordania, la difficile convivenza con gli insediamenti colonici, è poca roba. Possono sembrare palliativi.
Ma quell´area era stata chiusa per ospitare Yasser Arafat, quando scendeva nella Striscia per i suoi bagni di folla. Mahmoud Abbas, che tutti chiamano con il nome di battaglia Abu Mazen, si è concesso il suo abbraccio con il popolo di Gaza e da qui ha lanciato l´ultima settimana di campagna elettorale. Scelta impegnativa. Perché la striscia di terra che confina con l´Egitto è la roccaforte di Hamas, oggi alleata con la Jihad islamica, entrambi contrari alle elezioni; e perché qui, nella tregua generale della Cisgiordania, si continua a combattere una guerra disperata che negli ultimi cinque giorni ha fatto dodici morti tra i palestinesi e tre feriti tra gli israeliani. Nonostante la battaglia in corso, con incursioni dell´esercito da un lato e lanci di razzi Qassam dall´altro, il presidente dell´Olp ha voluto festeggiare proprio qui i 40 anni dalla fondazione di al Fatah. Un modo di confermare il suo legame, affettivo e politico, con il «padre della patria» con il quale, nel 1964, diede inizio alla lotta di liberazione della Palestina. I collaboratori di Abu Mazen erano preoccupati. C´era il timore di provocazioni. Anche da parte israeliana. Gli avevano suggerito di modificare il programma. Un solo incontro. A Gaza. Ma lui ha insistito: «La gente vuole vedere, chiedere, sapere. Andrò anche al sud». E´ stato così.
Seguito da un lunghissimo corteo di auto imbandierate, il candidato di Fatah si è fermato a Khan Yunes e poi a Rafah, quasi al confine con l´Egitto. La folla di 10 mila persone che premeva a tal punto da costringere più tardi Abu Mazen a farsi medicare una mano in ospedale. Ma anche raffiche di kalashnikov in aria al posto degli applausi, ogni volta che il capo dell´Olp elencava gli obiettivi irrinunciabili: niente muro, diritto al ritorno per gli espatriati, liberazione dei prigionieri. Ma Abbas è stato altrettanto chiaro quando ha esortato a chiudere la fase della lotta armata e si è detto convinto che solo «una battaglia politica», senza armi, può portare ad una pace e alla ripresa delle trattative con Israele.
«Il lancio dei missili è controproducente», ha detto, «provoca nuovi interventi dell´esercito». La gente, anche la più disperata, da anni costretta a vivere nei campi dei rifugiati, ci crede. In tutti i territori si respira un´aria di speranza. La politica, in senso classico, torna a dominare sulle armi. Non c´è strada, da Jenin a Hebron, dove non spicchino manifesti, striscioni, volantini, cartelloni con le facce dei sette candidati. «C´è una luce in fondo al tunnel», ripetono in molti. «Ora», ci dice Nemer Hammad, ambasciatore storico dell´Olp in Italia «dobbiamo pensare a casa nostra. Dobbiamo rafforzarci, ricostruire la società palestinese, rimettere in piedi un´economia sfiancata da 4 anni di Intifada. Restituire credibilità a delle istituzioni». La credibilità passa anche spezzando quella catena di nepotismo e corruzione, spesso alimentata o quantomeno sopportata da Arafat. Ecco allora un piano di riforme su cui tutti i candidati concordano. Si inizierà con le forze di sicurezza e militari. Tutti in pensione a 55 anni. «Credo che non esista un esercito al mondo», commenta Hammad, «dove ci sono ancora degli ufficiali in servizio a 80 anni». Nessuno sarà escluso. E questo consentirà di far entrare nuove leve nel futuro esercito palestinese che verranno addestrate anche in Italia. Con i carabinieri per la polizia, con il Sismi e il Sisde per l´apparato di intelligence. Ai congedati sarà assicurata una pensione: identica all´attuale stipendio. Stessa cosa accadrà nei ministeri, nelle strutture organizzate, persino nelle rappresentanze estere che passeranno da 93 a 73 e con il tempo a 60. «Il processo di riforma», ragiona Nemer Hammad, «dovrà essere affrontato con tempi e metodi che non assomiglino ad una vendetta. Tutti, indistintamente, dovranno darsi delle regole. Occorre un segnale: la gente deve capire che è finita l´era dei bigliettini, delle raccomandazioni, dei privilegi basati sui legami con i vertici dell´Anp».
Su corruzione e nepotismo si gioca infatti gran parte della campagna elettorale e la futura credibilità dei candidati. Mustafa Barghuti, l´ex comunista oggi indipendente, ha già chiesto conto ad al Fatah degli aiuti ricevuti in tutti questi anni. Abu Mazen ha replicato puntando il dito sui fondi della ong presieduta dall´avversario usati in campagna elettorale. Piccole schermaglie che toccano temi importanti, forse fondamentali. «Solo quando saremo credibili e veramente rappresentativi», aggiunge Hammad, «penseremo a Sharon e a Israele».
Abu Mazen ha già un piano per la trattativa. «Se dopo Gaza ci saranno altri ritiri, allora saremo convinti che vogliono negoziare. Del muro non vogliamo neanche parlare. Vogliamo un nostro stato, una nostra terra. Unita, continua, dove si possa girare in lungo e in largo». Il vecchio sogno è collegare Gaza alla Cisgiordania. Terra in cambio di terra. Un sogno che Jenin ha accolto con raffiche di mitra, mentre il capo delle brigate al Aqsa sfilava per la città ribelle del nord mano nella mano con Abu Mazen.
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