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Il Manifesto Rassegna Stampa
29.12.2004 Piuttosto che proibire la propaganda antisemita, risolviamo il "problema Israele"
il quotidiano comunista difende Al Manar, la televisione degli Hezbollah

Testata: Il Manifesto
Data: 29 dicembre 2004
Pagina: 14
Autore: Donatella Della Ratta
Titolo: «Al Manar, l'inutile oscuramento»
Immaginiamo che negli anni 30 la Francia decidesse di proibire la diffusione della propaganda antisemita nazista entro i suoi confini.
E immaginiamo che un giornale italiano commentasse questa decisione con la seguente frase:
"Il problema vero è che i media tedeschi, come i paesi lingua tedesca, come le strade tedesche, come le genti germaniche, hanno un problema: gli ebrei e ciò che implicano nella costituzione del Reich. Rimuoverlo dai loro media così come dalle loro coscienze sarà persino più difficile che sradicarlo dalle onde dell'etere. A meno che non si voglia, piuttosto che bandire, cominciare ad affrontare per risolvere ".
"Il Popolo d'Italia"? "La difesa della razza"? O non piuttosto l'edizione clandestina dell'"Unità"?
Impossibile pensare a quest'ultima ipotesi.
Eppure, il 29 dicembre 2004, sostituendo "arabi" a "tedeschi", "Israele" ad "ebrei", "Stato palestinese" a "Reich", e i riferimenti alla propaganda nazista con quello alla televisione di Hezbollah Al Manar, questa stessa frase può essere letta su di un giornale nato da una fazione dissidente del Partito Comunista Italiano.
Si tratta proprio della stessa frase, dato che Al Manar diffonde una propaganda che non ha nulla da invidiare a quella nazista, come il nostro sito ha più volte documentato, e che la soluzione a cui pensa per il "problema Israele" è il genocidio: è il genocidio che hanno esplicitamente invocato sia l'ayatollah Khamenei, a capo del regime iraniano che degli Hezbollah è il principale finanziatore, che il ministro della difesa siriano, di quel paese cioè che salvaguardia la "libertà di informazione" e il "pluralismo" in Libano consentendo le trasmissioni di Al Manar, quando ha ossevato che, stanti gli equilibri demografici del Medio Oriente, se ogni arabo uccidesse un ebreo sarebbe molto facile risolvere il "problema Israele".
Il quotidiano in questione è IL MANIFESTO, che in passato era stato, sulla vicenda Al Manar, reticente ed ambiguo. Tutt'altro che reticente è invece questo articolo di Donatella Della Ratta: "Al Manar", scrive l'apologeta comunista dei neo-nazisti islamici, "discende da una tradizione di libertà di espressione che vede nel Libano un caso senza precedenti nel mondo arabo, e forse con pochi antenati nel mondo intero"; se Diaspora, sceneggiato nel quale un governo ebraico segreto provoca guerre, diffonde malattie infettive e collabora con i nazisti allo sterminio degli ebrei europei allo scopo di instaurare un dominio razzista sul mondo, è "un feuilletton del Ramadan denunciato come violentemente antiebraico", (è stato denunciato come antiebraico, non si sa da chi, e non è detto che lo sia) Irhabioun (Terroristi) è invece "una serie che, come recita il sito web della rete, documenta i soprusi e le violenze «perpetrati dai sionisti contro gli arabi e i musulmani dall'usurpazione della Palestina".
"Documenta", senza mai nemmeno esagerare un po'.

Ecco l'articolo:

Un paio di manette attaccate a un'antenna satellitare. È questa l'immagine che campeggia sul sito web dell'emittente televisiva libanese Al Manar di proprietà del partito Hezbollah, interdetta dalle trasmissioni via cavo e via satellite in Francia con l'accusa di diffondere violenza e odio antisemita, e balzata in cima alla lista nera delle organizzazioni terroristiche stilata dagli Usa. «Non vediamo la ragione per cui, qui o in qualsiasi altro posto, un'organizzazione terroristica dovrebbe essere autorizzata a diffondere odio e istigare alla violenza attraverso l'etere tv», è stato il lapidario commento del portavoce del dipartimento di stato americano Richard Boucher alla decisione di aggiungere Al Manar alla lista del terrorismo internazionale (dove già da tempo campeggia il nome dell'organizzazione politica Hezbollah).

Decisione che oltretutto comporterebbe, per chiunque abbia legami con il canale, il rifiuto del visto di ingresso sul territorio americano o, nel caso si tratti di persone già residenti, l'avvio della procedura di espulsione. «Le autorità americane dovrebbero fare attenzione a non assimilare la lotta contro l'antisemitismo con la lotta contro il terrorismo», ha commentato Reporters sans Frontiéres. «Con questa decisione, i giornalisti di Al Manar rischiano ormai, in caso di conflitto, di essere considerati come belligeranti e i loro uffici come obiettivi militari».

Come se non bastasse, la tensione - già alta nel post 11 settembre e nel pieno della guerra all'Iraq - fra paesi arabi da una parte, e Usa e Europa dall'altra, rischia di diventare un abisso di incomprensioni e risentimento. Molta stampa araba parla di un complotto ai danni dei media arabi, o comunque di tutti i media non allineati con la politica statunitense, mentre il direttore delle news di Al Manar, Hassan Fadlallah, condanna i provvedimenti nei confronti della rete come «attacchi alla libertà di espressione ed esercizi di terrorismo intellettuale», anche se, osserva il direttore generale della rete Mohamed Haider, quello che sorprende di più «è l'atteggiamento della Francia, un paese riconosciuto in tutto il mondo per il suo attaccamento ai diritti dell'uomo e alla libertà di espressione».

Intanto il ministro delle comunicazioni libanese Elie Ferzli ha dichiarato di voler rendere pan per focaccia, avviando una procedura di censura dei canali francesi in Libano, ma una cinquantina di distributori via cavo sul territorio libanese ha già volontariamente esplulso la rete francofona Tv5 dai bouquet di offerta, in segno di solidarietà con Al Manar.

La popolarità di cui l'emittente gode, del resto, non è alta soltanto in Libano, ma anche in Palestina e sempre più in tutto il mondo arabo, con un bacino di utenza di oltre 50 milioni di telespettatori. Nata ufficialmente all'inizio degli anni novanta, al termine della guerra civile libanese, Al Manar è figlia di una cultura di mass media di mobilitazione e di propaganda, maturata nel paese proprio durante gli anni del conflitto, quando ogni parte politica belligerante - cristiani maroniti, musulmani sunniti, e fra gli altri, anche il partito degli Hezbollah - aveva la propria voce nell'etere. Allo stesso tempo Al Manar discende da una tradizione di libertà di espressione che vede nel Libano un caso senza precedenti nel mondo arabo, e forse con pochi antenati nel mondo intero: un paese dove, prima dello scoppio della guerra civile, si contavano centinaia di testate giornalistiche e dove la televisione nacque già privata, nel 1956, ad opera di imprenditori locali. Fino al 1976 la televisione in Libano restò un affare gestito in regime di concorrenza e libero mercato, con due operatori commerciali che si disputavano telespettatori e pubblicità, nell'assenza di monopolio di stato. I tratti fondanti dei media libanesi - il pluralismo e la libera concorrenza - hanno l'altra faccia della medaglia nell'estrema frammentazione - e, a volte, faziosità - delle voci politiche espresse attraverso le televisioni nate come funghi con la guerra civile, e alle quali la legge dell'audiovisivo del 1994 ha cercato di dare un ordine.

Fra la miriade di emittenti che hanno dovuto spegnere le trasmissioni, e quelle - come le popolarissime Future tv ed Lbci - trasformatesi in canali di intrattenimento, Al Manar è una delle poche ad aver conservato lo spirito politico iniziale: una linea editoriale con al centro delle sue preoccupazioni la questione palestinese e la mobilitazione contro l'occupazione israeliana del sud del Libano (terminata, qualcuno dice, grazie anche ad Al Manar) e della Palestina.

Cosa che si traduce in un palinsesto dove, fra emissioni prettamente religiose e analisi dei campionati di calcio europei, si trovano talk show sulla scena politica libanese (a detta di molti su Internet, i migliori e quelli con «meno peli sulla lingua») e programmi come Irhabioun (Terroristi), una serie che, come recita il sito web della rete, documenta i soprusi e le violenze «perpetrati dai sionisti contro gli arabi e i musulmani dall'usurpazione della Palestina».

Al Manar non è nuova a questo genere di prodotti: due anni fa fece parlare di sé con Diaspora, un feuilletton del Ramadan denunciato come violentemente antiebraico, e all'uscita di The Passion montò il trailer della pellicola con immagini dei prigionieri iracheni torturati dagli americani. Al Manar è famosa anche per i suoi «stacchetti» di immagini esplicitamente (la statua della Libertà che diventa un teschio di morte) anti Usa o Israele, sempre più spesso sottotitolati in inglese, forse anche in virtù dell'accresciuta popolarità dopo le polemiche.

Al Manar è una rete televisiva anti-israeliana, lo è esplicitamente, nella sua mission editoriale, tradotta in inglese sul suo sito e sotto gli occhi di tutti, fin dalla nascita della rete. La civile Francia dei diritti si risveglia soltanto ora e bandisce la rete, in nome dell'incompatibilità con i valori dello stato. Ma c'è un altro stato - quello libanese - in rottura diplomatica con Israele che non riconosce, e dove Hezbollah è un partito, con tanto di seggi in parlamento, democraticamente eletto, per il quale è tanto legittimo «dire» quanto per la Francia «far tacere».

Eppure: la tecnologia senza frontiere non è senza frontiere solo a seconda delle circostanze, e il pubblico arabofono residente in Francia, alla faccia del divieto, si guarda Al Manar via Arabsat, così come il pubblico libanese, alla faccia delle minacce del ministro della comunicazione per ora si guarda Tv5 addirittura sull'etere di casa. E se pure non esistessero queste benedette parabole senza stato ci sarebbe sempre Internet, dominio dell'illimitato per eccellenza. Bandire una televisione per principio, seppure nella giustezza delle argomentazioni, è anacronistico e non risolve il problema vero. Il problema vero è che i media arabi, come i paesi arabi, come le strade arabe, come le genti arabe, hanno un problema: Israele e ciò che implica nella costituzione dello stato palestinese. Rimuoverlo dai loro media così come dalle loro coscienze sarà persino più difficile che sradicarlo dalle onde dell'etere. A meno che non si voglia, piuttosto che bandire, cominciare ad affrontare per risolvere.
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