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La Stampa Rassegna Stampa
24.12.2004 Condanna in Israele per l'esibizione di una "stella gialla" da parte dei coloni che protestano contro lo sgombero di Gaza
un articolo di Fiamma Nirenstein

Testata: La Stampa
Data: 24 dicembre 2004
Pagina: 9
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «Una stella gialla riapre le ferite di Israele»
A pagina 9 LA STAMPA di venerdì 24 dicembre pubblica un articolo di Fiamma Nirenstein sull'uso di una stella arancione simile a quella gialla imposta dai nazisti agli ebrei, nella protesta di una parte dei coloni contro il piano di sgombero di Gaza, e sulle reazioni che l'iniziativa ha determinato in Israele.
Ecco l'articolo:

Non si getta una stella gialla (anche se la chiami «arancione») nell’agone della politica israeliana senza pagare pegno. La nuova tattica di protesta estrema messa in piedi dai coloni alla vigilia di quel governo di coalizione che dovrebbe avviare lo sgombero, applicare agli abiti anche a quelli dei bambini il segno che i nazisti pretesero che ogni ebreo portasse cucito sugli abiti durante la Shoa, segnale di un destino di imminente distruzione, crea orrore e sconcerto in tutto lo spettro politico israeliano, anche a destra. Ed è in verità un segnale distruttivo e autodistruttivo di estremismo ideologico massiccio, accompagnato dalla petizione del gruppo delle «Donne in Verde» che raccoglie firme di soldati che minacciano l’esercito di disubbidire ai superiori se verrà loro ordinato di sgomberare gli insediamenti. Israele, che ha segnato la risurrezione degli ebrei dalle ceneri di Auschwitz, porta come segno distintivo l’idea che gli ebrei non dovranno mai più subire umiliazioni e persecuzioni: l’idea stessa che adesso i coloni, anch’essi ebrei, anch’essi israeliani, accusino altri ebrei, altri israeliani di perseguitarli e sradicarli come fecero i nazisti nel secolo scorso è una autentica rivoluzione concettuale, una stravolta utilizzazione della tragedia assoluta che giustifica alla fine chiunque usa malignamente e con odio il paragone della Shoah in altre occasioni, per esempio quando parla del conflitto israeliano-palestinese.
Le reazioni sono molto dure: «Riprovevole» è l’aggettivo usato dal centro Wiesenthal nel suo comunicato che dice: «I protestatari si uniscono ai peggiori diffamatori di Israele»; Abraham Foxman capo dell’«Antidiffamation league» ha espresso «disgusto» per la scelta, e ha spiegato che si tratta di mancanza di rispetto per i sopravvissuti e le vittime dell’Olocausto. Natan Sharanski, ministro per Gerusalemme e in genere comprensivo delle ragioni dei settler destinati a essere sradicati dalle loro case, ha detto che «l’uso della stella gialla mina tutti gli sforzi di chi combatte contro l’antisemitismo, specialmente di coloro che disegnano analogie fra le azioni d’Israle e quelle dei nazisti». Molti dei settler stessi, particolarmente i sopravvissuti, si rifiutano di indossare la stella e dicono: «La simpatia che i coloni possono conquistare per la loro soffrenza, verrà seppellita dalla memoria della sofferenza incomparabile della distruzione del popolo ebraico che essi stessi stessi sollevano». Anche Avner Shalev, il direttore di Yad Va Shem, è inorridito: «Se la memoria della Shoah invece di essere un elemento unificante diventa un fattore di divisione, Israele ne soffrirà alquanto».
«Io soffro per questa gente che deve lasciare case in cui vive da tre generazioni, ma non dimentichiamo che io e la mia famiglia e i sopravvissuti che vivono a Gaza hanno già indossato, nella realtà di una storia ben diversa, la stella gialla» spiega Shevach Weiss, sopravissuto professore di scienze politiche e ex presidente del Parlamento Israeliano. «I residenti del Gush Kativ saranno ricompensati, saranno accompagnati con amore e solidarietà fino alle loro nuove case, dove cresceranno figli e nipoti in seno al loro popolo..non vengono umiliati; non vengono scannati nelle foreste; non sarà ordinato loro di scavare la loro tomba prima dell’esecuzione; non marceranno o lavoreranno come animali finchè cadranno morti; non saranno sottoposti a selezioni; non moriranno di fame o di sete; non andranno con i loro genitori, bambini, nonni, nelle camere a gas; non saranno asfissiati; le loro ossa non saranno frantumate e gettate nelle fosse comuni..i settler oggi per quanto arrabbiati e sofferenti, sanno nel profondo del loro cuore quanto è sbagliato volgarizzare la memoria dell’Olocausto..».
In realtà la battaglia dei coloni ha preso una strada apolitica, tutta ideologica e che rischia di farsi sempre più acuta in un momento in cui la morte di Arafat ha riaperto qualche spiraglio alla Road Map, come si è visto anche dall’atteggiamento di Abu Mazen durante la visita di Gianfranco Fini e di Tony Blair. Questo estremismo ricorda il periodo in cui durante le manifestazioni dei coloni apparivano caricature di Rabin in abiti nazisti: lo spauracchio di questo odio mortale si riverbera ora su Sharon, che ormai appare in pubblico pesantemente protetto e sempre più determinato a andare avanti per la sua strada.
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