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Il Manifesto Rassegna Stampa
22.12.2004 "Rozzo" e "strumentale" chiedere ai palestinesi la fine del terrorismo
come fa Fini, che per questo diventa un "israeliano"

Testata: Il Manifesto
Data: 22 dicembre 2004
Pagina: 3
Autore: Maurizio Matteuzzi
Titolo: «Fini, mediatore impossibile»
Da pagina 3 di IL MANIFESTO riprendiamo l'articolo di Maurizio Matteuzzi "Fini, mediatore impossibile".
Secondo Matteuzzi Fini, descritto come un traditore del suo passato e della sua "giovinezza" che "ormai gli israeliani considerano uno di loro", non può essere un mediatore attendibile perchè chiede ai palestinesi di farla finita con il terrorismo.
Posizione "rozza" e "strumentale". Posizione "raffinata" e non "strumentale", se ne deduce, sarebbe invece incoraggiarli a proseguire.
Ogni ulteriore commento appare superfluo.

Dopo aver abiurato il passato e la sua giovinezza, Gianfranco Fini è ormai diventato un habitué e un fan di Israele (gli israeliani l'hanno capito e lo considerano ormai uno dei loro). Quella cominciata ieri e conclusa oggi è la terza visita di Fini nello stato ebraico, la prima però da ministro degli esteri (i piccoli post-balilla crescono). Ufficialmente quello di ieri e oggi doveva essere un tour diplomatico dedicato ai palestinesi e ai loro territori occupati. Ma, tanto per mettere in chiaro le cose con gli uni e con gli altri, ieri mattina dopo una breve passeggiata per la città vecchia di Gerusalemme e una visita al Santo sepolcro, il pio Fini è andato prima a una colazione di lavoro con il ministro degli esteri israeliano Sylvan Shalom e poi a un incontro con il premier Ariel Sharon.

Nel pomeriggio si è spinto fino a Ramallah dove ha incontrato il premier Abu Ala e il ministro degli esteri Nabil Shaat e oggi ci è tornato per parlare con Abu Mazen, il presidente dell'Anp a interim che il 9 gennaio, sulle ali degli auspici di israeliani, americani ed europei, i palestinesi catapulteranno alla presidenza.

Ieri Fini è arrivato a Ramallah in coincidenza con la fine dei 40 giorni del lutto islamico per la morte di Arafat. Si è fatto forza ed è andato anche lui a rendere omaggio alla tomba alla Muqata dello scomparso Mr. Palestina. Gli deve essere costato molto perché su Arafat «il mio giudizio è diverso da quello di parte dei paesi europei» ma ne ha subito approfittato per far capire ai palestinesi che l'aria è cambiata: «Dobbiamo guardare avanti e occorre pretendere dalla nuova dirigenza dell'Anp un atteggiamento diverso nei confronti del terrorismo».

Il ministro Fini è andato in Israele e Palestina sbandierando velleità di mediazione nel conflitto israelo-palestinese e più in generale in Medio Oriente. In realtà ci è andato come testa di ponte di un governo - quello di Berlusconi - totalmente asservito al trio Sharon-Bush-Blair (che è arrivato ieri sera in loco) - e quindi nella peggior posizione per tentare una mediazione - e con un solo messaggio per i palestinesi e per gli arabi: lotta al terrorismo e collaborazione economica e militare per stroncarlo. Fini ha annunciato - guarda caso nella conferenza stampa congiunta con il ministro degli esteri israeliano Shalom - che l'Italia manderà i carabinieri per addestrare gli ufficiali palestinesi e che sarà sviluppata la collaborazione dei rispettivi servizi di sicurezza. Come se il conflitto israelo-palestinese potesse essere risolto solo con la fine del «terrorismo», che dell'occupazione è l'effetto più che la causa. Una visione talmente rozza e strumentale che solo gli israeliani e gli americani osano sostenerla. E che Fini fa propria con lo zelo proprio dei convertiti.

Il fresco ministro degli esteri che va dai palestinesi a dirgli cosa devono fare per fermare «il terrorismo» e che assicura l'impegno dell'Italia in «un ruolo di mediazione» per isolare i terroristi e facilitare i rapporti fra Israele e i paesi arabi moderati (in gennaio ha annunciato un'altra tournée in Egitto, Giordania e Siria iscritta d'ufficio fra i moderati), è lo stesso che ha ripetutamente giustificato l'ingiustificabile muro della vergogna israeliano, che è il ministro degli esteri di un governo che in Iraq scodinzola dietro Bush (e Blair), che di recente ha mandato in parlamento la bozza di un accordo di cooperazione militare con Israele. Ma quale ruolo di mediazione? Al massimo un ruolo da comparsa. Scriveva qualche giorno fa il Debka, un sito vicino ai servizi israeliani ma a volte bene informato, che «l'obiettivo di Washington è dispiegare un nuovo fronte Usa-Italia-Isreaele in attesa delle prossime mosse diplomatiche israelo-palestinesi prima che l'Europa entri nelle iniziative di pace progettate per il 2005 e 2006. Questo rafforzerà l'Italia come il più fedele alleato dell'America in Europa in rapporto all'Unione europea, specie alla Francia».
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