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Il Foglio Rassegna Stampa
16.12.2004 Abu Mazen prova a cambiare la politica palestinese, con l'opposizione di Farouk Kaddoumi e di Teheran
le prospetive e le incognite di una fase promettente, ma incerta

Testata: Il Foglio
Data: 16 dicembre 2004
Pagina: 1
Autore: un giornalista
Titolo: «Il rais e l'anti rais»
In prima pagina IL FOGLIO di giovedì 15-12-04 pubblica l'articolo "Il rais e l'anti rais", sulle novità della politica di Abu Mazen e sugli ostacoli che le si frappongono, in primo luogo l'opposizione degli oltranzisti che si riconoscono nella linea di Faruk Kaddoumi e nei suoi alleati iraniani.
Roma. Il leader dell’Olp, Abu Mazen, accentua ogni giorno che passa la svolta che l’uscita di scena di Yasser Arafat ha reso possibile, ma la sua azione è contrastata, con speculare simmetria, dalla strategia del suo grande antagonista palestinese: Faruk Kaddoumi, leader di al Fatah, il più
consistente partito palestinese, che si muove in piena sintonia con gli oltranzismi siriani e iraniani. E’ difficile dire quale sia la mossa più innovativa compiuta da Abu Mazen, perché
sono tutte impensabili ai tempi di Arafat. Per il mondo arabo e per la dirigenza palestinese, il segno più netto della svolta è venuto dalla scuse formali che egli ha voluto porgere pubblicamente all’emiro del Kuwait al Sabbah, per le colpe gravi dei palestinesi nei confronti del popolo kuwaitiano. In Europa non si è mai voluto parlare di quanto i palestinesi di Arafat hanno fatto in Kuwait nei giorni dell’invasione irachena di Saddam Hussein e sino alla liberazione del paese a opera di Desert Storm; ma gli arabi lo sanno benissimo ed è una pagina vergognosa. Applicando uno schema già tentato da Arafat in Giordania nel 1970, in Libano tra il 1976 e il 1983, e nel Kuzestan iraniano nel 1980, agli inizi della guerra irano- irachena, i palestinesi dell’Olp hanno infatti agito con ferocia, quale quinta colonna degli iracheni invasori, macchiandosi le mani di tanti e tali delitti e stragi che, per reazione, nel 1991, furono tutti costretti (ed erano ben 450 mila) a lasciare l’emirato (nei primi giorni della liberazione di Kuwait City, molti di loro, i più efferati, furono linciati dalla folla inferocita). Oggi Abu Mazen compie dunque un gesto riparatore forte e inusuale nel mondo arabo, proprio perché vuole far comprendere con forza che sono maturati una fine e un inizio nel rapporto tra palestinesi e arabi. Non basta: Abu Mazen ha anche chiuso formalmente l’Intifada di al Quds, l’Intifada delle stragi che Arafat ha lanciato nel luglio 2000, dopo aver rifiutato il 97 per cento dei Territori offertigli da Ehud Barak e Bill Clinton. Anche qui una svolta e anche una sconfessione delle scelte di Arafat giudicate – non per la prima volta – negative con parole inequivocabili: "Il ricorso alle armi è stato nocivo e deve cessare". Di nuovo Abu Mazen entra in rotta di collisione con al Fatah di Faruk Kaddoumi, che invece, morto Arafat, si è affrettato a ribadire, non a caso ad al Manar, la televisione di Hezbollah, che "la resistenza è il cammino per giungere a una soluzione politica". Kaddoumi ha naturalmente subito trovato una sponda in Hamas e nel Jihad islamico, che hanno rifiutato l’appello al disarmo della Striscia di Gaza, sostenendo che "il popolo palestinese aveva bisogno delle armi e della resistenza contro l’occupazione israeliana" e accusando direttamente l’Anp di Abu Mazen di essere all’origine delle tensioni: "La questione delle armi che Abu Mazen tanto deplora non è provocata dai movimenti palestinesi, ma dalle forze di sicurezza dell’Anp". Affondo diretto, quindi, contro l’altra grande svolta che Abu Mazen ha deciso di imprimere, secondo il quotidiano israeliano Ma’ariv, sostituendo il ministro dell’Interno di Arafat, Hakam Balawi, con Nasser Yusuf e soprattutto nominando suo Consigliere per la sicurezza Mohammad Dahlan; una mossa che distrugge l’assetto dei servizi segreti voluto da Arafat, che ne concentrerebbe il comando e che eliminerebbe non meno di dieci quartieri generali assolutamente autonomi e impegnati nel fare attentati. Un rimpasto governativo che si completerebbe con la sostituzione anche di un altro ministro particolarmente vicino ad Arafat, Nabil Saath, responsabile degli Esteri, alla vigilia
di una revoca del mandato.

La replica di Kaddoumi, che formalmente continua a indicare in Abu Mazen il proprio candidato alla presidenza dell’Anp, è stata immediata. Dopo aver favorito – e poi fatto rientrare – la candidatura di disturbo di Marwan Barghouti (che ha evidenziato come le posizioni estremistiche godano del 40 per cento dei consensi tra i palestinesi), il successore di Arafat alla guida di al Fatah ha sfidato Abu Mazen sul suo stesso terreno e ha compiuto una visita in Iran in cui si è presentato come interlocutore per quell’ampio fronte islamico che può anche accettare la trattativa, ma solo per recuperare forze per portare a termine il progetto della distruzione di Israele.
Le parole di Kaddoumi a Teheran sono state chiarissime: "Il regime sionista (Kaddoumi, come gli ayatollah iraniani e i siriani, non usa mai la parola "Israele", perché non ne riconosce il diritto all’esistenza) non cerca la pace. Il medio oriente è di fronte a nuove sfide: Iran e Palestina continueranno la loro battaglia contro ogni forma di oppressione". Naturalmente i dirigenti iraniani che l’Europa continua a reputare riformisti, per bocca del ministro degli Esteri, Kamal Kharrazi, hanno ulteriormente enfatizzato questa posizione.
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