Falsità spudorate:l'esercito israeliano come e peggio dei terroristi lo sostiene il quotidiano comunista, distorcendo i fatti e giudicandoli in modo squilibrato
Testata: Il Manifesto Data: 09 dicembre 2004 Pagina: 9 Autore: Maurizio Matteuzzi Titolo: «Palestinesi scudi umani»
A pagina 9 IL MANIFESTO di giovedì 9-12-04 pubblica l'articolo di Maurizio Matteuzzi che di seguito riportiamo. Per una trattazione seria e non propagandistica dello stesso argomento si veda l'articolo di Fiamma Nirenstein riportato in ""L’esercito israeliano si interroga sull’etica della guerra al terrorismo, Informazione Corretta 09-12-04.
Ecco l'articolo di Matteuzzi: Israele è sempre stato fiero dei suoi mitici cittadini soldati, pieni di coraggio, patriottismo, tecnologia. E di etica. «La forza etica dell'esercito israeliano non è meno importante della sua forza militare», ebbe a ripetere il comandante in capo, generale Moshe Yaalon, in novembre quando saltarono fuori le foto degli scempi commessi sui cadaveri di palestinesi. Ora, da un bel po' di tempo per la verità, restano il patriottismo e la tecnologia ma l'etica, se c'è mai stata, è solo un ricordo. La tesi di Matteuzzi è che l’esercito israeliano è divenuto, privo di qualsiasi etica se mai ne ha avuta una. Ciò implicherebbe sia che tutte o la maggior parte delle sue unità agiscano senza alcun freno morale, sia che questo atteggiamento sia promosso dai vertici. Non solo non esiste alcuna prova che queste condizioni si verifichino: esistono le prove del contrario. Sia di comportamenti etici, adottati dai soldati anche a costo della loro sicurezza personale o della loro vita, sia della repressione dei comportamenti illeciti e dell’adozione di regole di ingaggio volte a scoraggiarli (vedi "L’esercito israeliano si interroga sull’etica della guerra al terrorismo, Informazione Corretta 09-12-04). Inoltre il fatto che alcuni soldati israeliani abbiano commesso abusi, non significa che quelli stessi soldati avrebbero facilmente commesso anche abusi più gravi (per esempio: che chi ha infierito sui corpi senza vita dei palestinesi uccisi perché terroristi o perché ritenuti tali fosse disposto anche a uccidere deliberatamente innocenti). Che qualcuno superi un determinato limite morale non prova, di per sé, l'assenza in lui di qualsiasi limite morale. L'occupazione di terre altrui, specie se abitate da popolazioni autoctone considerate inferiori, rende brutali e selvaggi. La tesi di Matteuzzi è qui che l’occupazione militare e il razzismo dell’esercito e della società israeliana conducano necessariamente alla brutalità. L’accusa di razzismo è infondata. La società israeliana compie oggi ingenti sforzi per attuare una piena integrazione economica e sociale della minoranza araba, che comunque gode in pieno dei diritti politici e civili che sono negati agli abitanti di tutti i paesi arabi. L’ipotesi che un’occupazione militare possa di per sé dar luogo a un certo numero di atti di brutalità (non a una brutalità generalizzata), non è invece infondata. Molti studi di psicologia militare tendono ad avvalorarla. Giorgio dimentica però che l’attuale occupazione delle città palestinesi segue di due anni l’offensiva terroristica nota come "seconda intifada". E’ dunque un atto di autodifesa, i cui costi, morali e materiali, ricadono, in definitiva, sugli aggressori. E su chi li ha appoggiati.
(Con questo non si vuole dire che i singoli responsabili di atti di brutalità siano privi di colpe, ma che la decisione politica dell'occupazione non è l'origine prima di quegli atti) Come o peggio dei «terroristi». Ecco che si manifesta la preoccupazione propagandistica di Matteuzzi: equiparare la moralità dell’esercito israeliano a quella dei terroristi che combatte. Un’equivalenza che non regge, come dimostra il seguito del suo articolo. Dopo la storia della ragazzina palestinese di 13 anni colpita da un colpo israeliano e poi finita da un ufficiale delle brigata Givati che le scaricò addosso l'intero caricatore Ufficiale denunciato dai suoi stessi soldati e incriminato. Quanti terroristi denunciano i loro "superiori" perché prendono di mira obiettivi che, a loro giudizio dovrebbero essere esclusi? E quanti di questi capi terroristi sono poi incriminati e condannati dalle loro organizzazioni?
e dopo la storia delle foto, pubblicate in novembre dal quotidiano Yediot Aharonot, dei tagliatori di teste israeliani Non ci sono mai stati "tagliatori di teste israeliani". L’abuso è stato compiuto sul cadavere di un attentatore suicida, che si era decapitato da sé (no era quindi stato "ucciso" dagli israeliani). che «giocavano» con i cadaveri dei palestinesi uccisi, ecco altre due notizie. Una riferita dalla radio pubblica israeliana e l'altra scritta ancora dallo Yediot.
La radio ha raccontato ieri che l'esercito israeliano riconosce di avere usato palestinesi come scudi umani nel corso di un raid nella città cisgiordana di Jenin, nonostante il tribunale supremo di Israele abbia dichiarato quella pratica aberrante «illegale» (e anche le convenzioni di Ginevra, ma questo agli israeliani sembra importare poco) e, peggio, non nel solo caso denunciato ma come pratica abituale. In realtà l’esercito (vedi "L’esercito israeliano si interroga sull’etica della guerra al terrorismo, Informazione Corretta 09-12-04) non ha ammesso l’uso "abituale" di scudi umani. Inoltre l’uso di civili come scudi umani, da parte di soldati che rischiano la vita per uccidere o catturare un terrorista, impegnato nell’organizzazione di stragi di civili, non è paragonabile all’azione del terrorista stesso: l’obiettivo dei soldati non è quello di provocare la morte dei civili, ma quello di salvare la vita minacciata di altri civili e la propria. Se i civili si salvano non considerano certamente la loro azione un insuccesso e non li uccideranno dopo aver raggiunto il loro obiettivo. L’obiettivo del terrorista è invece la pura e semplice strage di civili innocenti. Se i civili si salvano il terrorista considererà l'azione un insuccesso e cercherà nuovamente di ucciderli (o di ucciderne altri scelti con un identico criterio casuale). Questo non significa che la condotta dei soldati debba essere giustificata, significa che è moralmente meno grave di una strage e che, soprattutto se si produce proprio durante un tentativo di evitare future stragi, non può essere condannata come moralmente equivalente ad essa. Un'inchiesta militare - la solita, ogni qual volta salta fuori una storiaccia del genere - Matteuzzi vuole suggerire l’idea che le inchieste militari non conducano a nulla: in realtà esse hanno in alcuni casi prodotto incriminazioni e condanne. Non in tutti, ma, in democrazia, un sistema giudiziario non è giudicato dal numero di condanne che produce, ma dalla correttezza delle sue procedure e dall’equità delle sue sentenze. sta indagando quel che è accaduto venerdì scorso quando gli uomini dello Shin Bet e i commandos navali sono entrato in forze nel villaggio di Raba, vicino a Jenin, ufficialmente per dar la caccia ai «terroristi». In effetti anche venerdì la preda non è sfuggita: Mahmud Kamil, 25 anni e conosciuto esponente della Jihad islamica, era già stato colpito e giaceva a terra ferito e disarmato quando, secondo testimoni, è stato finito con un colpo di grazia, pur non costituendo più minaccia alcuna, secondo la denuncia di Betselem, gruppo israeliano per i diritti umani. Orribile ma fin qui niente di eccezionale rispetto alla norma delle «esecuzioni mirate» a cui la comunità internazionale non fa caso. Le esecuzioni mirate sono effettuate contro uomini che non possono essere catturati, e che possono nuocere (talora che sono nell’imminenza di nuocere). L’episodio di Raba, se i testimoni palestinesi dicono il vero, è dunque ben diverso, sotto il profilo morale, da un esecuzione mirata. Senonché la radio aggiunge che i commandos navali hanno rivelato di avere preso palestinesi del posto, «familiari dei sospetti», e averli usati come scudi umani, «una pratica abitale per evitare di mettere in pericolo la vita dei soldati». I raid dei commandos in Cisgiordania sono stati sospesi fino a nuovo ordine ed è stata aperta un'inchiesta militare. Che non porterà a nulla.
IL MANIFESTO aveva anche scritto che l’ufficiale israeliano sotto inchiesta per aver scaricato il suo caricatore sulla bambina palestinese di 13 anni non era ancora stato incriminato, sottintendendo che le inchieste militari israeliane non portano a nulla. Quando, pochi giorni dopo, l’ufficiale era stato incriminato la notizia era stata data in un breve trafiletto. Il quotidiano comunista non ha nemmeno informato i suoi lettori che il violinista palestinese "costretto" dai soldati israeliani a suonare il suo violino lo aveva in realtà fatto di sua spontanea volontà. Se l’inchiesta porterà "a qualcosa", si comporterà nello stesso modo? Il giornale, il conservatore Yediot Aharonot, ha scritto ieri che un gruppo della solita brigata d'élite Givati in servizio nella striscia di Gaza ha ammesso di avere ucciso un ragazzino palestinese di 15 anni per gioco.
Secondo il quotidiano l'episodio avvenne in marzo, quando i soldati israeliani tirarono su Khalid Sulaiman Mahdi mentre si trovava insieme col padre e due altri fratelli a lavorare il loro campo vicino alla città di Khan Yunis. Il padre ha detto al giornale che spararono e uccisero il ragazzo «giusto per il gusto di farlo»: l'area era assolutamente tranquilla e ben visibile, 7 colpi tutti alla testa. I soldati della Givati, interrogati dallo Yediot, hanno per così dire rivendicato: «non c'erano obiettivi operativi e nessuna ragione per sparare, dal momento che il ragazzo e la sua famiglia non ponevano alcuna minaccia ai soldati». Un portavoce militare ha ammesso che «non è stato fatto alcun arresto» ma è stata aperta un'inchiesta sull'«incidente». Incidente? Il tiro ai ragazzini palestinesi - e non solo ai «terroristi» adulti - è diventato un must per le truppe israeliane. Affermazione gravissima, infondata. Evidentemente ispirato dall'alto. Evidentemente? No, non c’è nessuna evidenza, Matteuzzi deve provare, o almeno argomentare la sua affermazione. Basim Eid, un ex di Betselem ora responsabile del Palestinian Human Rights Monitorin Group, ha detto che «l'esercito israeliano incoraggia i soldati a commettere queste azioni abominevoli» garantendo loro «l'immunità». La frase è ambigua. Può significare, ed’è l’interpretazione più probabile, che la riluttanza a denunciare e a condannare episodi di abuso o di criminalità (che potrebbe, in linea teorica, essere presente, in alcuni settori dell’esercito, per solidarietà verso i soldati o malinteso "spirito di corpo", come può avvenire in ogni esercito del mondo in situazioni di guerra) favorisce di fatto abusi ed atti criminali. Oppure può significare che l’esercito israeliano esplicitamente garantisce ai suoi soldati che avranno l’impunità qualsiasi cosa facciano, allo scopo di incoraggiarli a compiere atti criminali. Questa seconda affermazione è sicuramente falsa (di fatto incriminazioni e condanne provano che l’esercito non potrebbe garantire una tale impunità neppure se volesse, i vertici militari sanno comunque che se ciò fosse possibile entro breve, come provano le stesse inchieste di Yediot Aharonot e di Betselem, la stampa e le organizzazioni umanitarie israeliane travolgerebbero una simile politica, la quale inoltre, per elevati che fossero i suoi vantaggi militari, arrecherebbe a Israele un danno politico di gran lunga superiore, risultando del tutto irrazionale). Posta a questo punto, come esplicitazione dell’ "Evidentemente ispirato dall'alto" di prima, la frase è facilmente interpretata in questo secondo modo. Ed’è perciò, nell’articolo, una pura e semplice falsità. Le inchieste annunciate sono solo «di facciata» per tenere buona l'opinione pubblica internazionale.
Falso come dimostrano le condanne comminate in casi precedenti. Notiamo inoltre che le virgolette sono scomparse. Non è più chiaro quali siano le parole dell’attivista israeliano e quali quelle di Matteuzzi. Anche Betselem accusa l'esercito israeliano di coprire i crimini contro i civili palestinesi. Senza distinzione di età.
Cosa significa che "l’esercito israeliano" "copre" i crimini contro i palestinesi? Che il capo di stato maggiore ha ordinato di non denunciare e di non indagare questi crimini? Che quando avvengono qualcuno ha riluttanza a parlarne, altri indagarli, o a punirli con severità, in considerazione del fatto che i soldati rischiano la vita in una guerra difensiva? Sono cose diverse.Ammesso che le accuse di Betselem siano fondate, sono qui presentate in modo ambiguo e scorretto.
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