Verso un accordo tra Israele, Egitto e Anp. Ma i palestinesi devono rinunciare alla violenza l'incognita di Marwan Barghouti
Testata: Il Foglio Data: 08 dicembre 2004 Pagina: 1 Autore: un giornalista Titolo: «Nuovo Medio Oriente - Abu Mazen sa che con Barghouti rischierebbe il ballottaggio - Israele sa che Barghouti entrerà nella trattativa e ne discute»
In prima pagina IL FOGLIO di mercoledì 8-12-04 pubblica un articolo sulle nuove prospettive di dialogo e di pace in Medio Oriente: "Nuovo Medio Oriente". Ecco il testo: Roma. "Un’intesa importante, che potrebbe rappresentare un accordo in linea di principio su una soluzione complessiva del conflitto, è stata raggiunta tra Egitto, Israele,palestinesi, Usa e Ue". A scriverlo è la Mena, agenzia di stampa egiziana, che riporta i dati raccolti dal suo direttore attraverso fonti di alto livello. Si tratterebbe di un accordo sulle linee guida che le parti seguiranno dopo le elezioni palestinesi del 9 gennaio, spiega al Foglio un giornalista della Mena dal Cairo: "I palestinesi s’impegnano ad abbandonare le operazioni terroristiche, gli israeliani le azioni militari, anche se il premier Sharon non ritiene necessario all’inizio firmare un accordo di cessate il fuoco. Le parti s’impegnano a fare in modo che le elezioni si svolgano senza difficoltà. Il governo Sharon avrebbe fatto sapere che non è più possibile lasciare la società palestinese nello stato di deterioramento in cui verte ora e s’impegna tra l’altro, nel dopo voto, a scongelare i conti palestinesi, in modo da far affluire denaro fresco alla popolazione, e a facilitare i movimenti nei Territori". Israele frena un po’: "Ci sono alcuni elementi corretti – dicono dagli uffici di Sharon – ma è un po’ prematuro parlare di accordo. Risponderemo positivamente se dall’altra parte ci sarà una cessazione delle ostilità". Si tratta comunque di un’ipotesi rivoluzionaria, quanto le parole di lode del rais Hosni Mubarak rivolte a Sharon, definito "la migliore chance di pace per i palestinesi". La liberazione del druso israeliano Azzam Azzam dalle carceri egiziane ha rappresentato un gesto di disgelo tra il Cairo e Gerusalemme e gli effetti positivi si vedono. E’ sempre più insistente la voce di un ritorno di un ambasciatore egiziano in Israele, ritirato nel 2000. Ad approfittare dell’intesa tra Sharon e Mubarak potrebbe essere il premier inglese Tony Blair, atteso prima di Natale in medio oriente per discutere di una conferenza di pace da tenersi a Londra, dopo le elezioni palestinesi. E prima di quelle inglesi. Proprio il medio oriente è una questione centrale a Londra: l’elettorato si aspetta che Blair influenzi la politica estera del Bush II. Anche se un portavoce di Downing Street ha detto che è "prematuro" parlare di una conferenza, gli indizi ci sono. Gli Stati Uniti hanno accettato la proposta. Sharon è contrario al rinnovo dei negoziati prima del completamento del piano di ritiro unilaterale da Gaza e senza la garanzia da parte palestinese dell’interruzione delle azioni terroristiche. Ma Silvan Shalom, ministro degli Esteri, non esclude la sua partecipazione. I Il ministro delle Finanze dell’Anp, Salam Fayyad, lunedì ha incontrato il prossimo segretario di Stato americano, Condoleezza Rice, a Washington, e sulla via di Olso, dove parteciperà oggi alla conferenza dei paesi donatori, si è fermato a Londra. Il direttore della sezione medio oriente del Consiglio per la Sicurezza nazionale americano, Elliot Abrams, che lunedì era a Gerusalemme, è passato per il Regno Unito a incontrare i rappresentanti di Francia, Germania, Olanda, Italia e Inghilterra, riuniti in un comitato per il processo di pace. Anche il ministro degli Esteri tedesco, Joschka Fischer, ha parlato di "storica opportunità". I recenti colloqui con israeliani e palestinesi lo hanno reso ottimista: "Sono convinto che la seconda Amministrazione Bush rafforzerà i suoi sforzi". Gli indizi fan pensare che qualcosa di concreto ci sia nella proposta di Blair. Lo fan pensare di certo le dichiarazioni del suo ministro degli Esteri Jack Straw: il vertice non vuole precipitare la discussione sullo status finale, cercherà di garantire alla nuova leadership palestinese piena legittimità (la condizione perché la conferenza si tenga è che non sia eletto Marwan Barghouti) e si concentrerà sulla ricostruzione delle forze di sicurezza, sul sostegno finanziario all’Anp, sulle riforme. A pagina 3 un'analisi sulla misura del consenso, nella società palestinese, alle opposte linee di Abu Mazen (favorevole alla completa cessazione del terrorismo) e di Marwan Barghuti (che vuole trattare con Israele ma continuando con le stragi, limtandole solo in base a considerazioni tattiche). Ecco l'articolo, "Abu Mazen sa che con Barghouti rischierebbe il ballottaggio": Roma. Abu Mazen è in gravi difficoltà sul piano elettorale: questo è il responso politico unanime dei primi tre sondaggi effettuati nei giorni scorsi da tre distinti istituti demoscopici palestinesi. Tutte e tre le rilevazioni concordano infatti su una valutazione negativa e determinante: Abu Mazen oggi non è in grado di essere eletto al primo scrutinio perché arriva, nella migliore delle ipotesi, al 44 per cento dei consensi. Se questo fosse il risultato delle urne, Abu Mazen sarebbe costretto a un ballottaggio, da cui, con molte probabilità, uscirebbe vincitore, ma soltanto dopo un passaggio che evidenzia che non è affatto un leader plebiscitario, men che meno un "rais", e che deve fare i conti con un’opposizione filo terrorista attestata attorno al 40 per cento, nella più rosea delle ipotesi. Speculari i consensi registrati dal suo principale oppositore, Marwan Barghouti, accreditato al 48 per cento dal Centro Studi dell’università palestinese di Bir Zeit (istituzione schierata sul versante di Hamas), al 38 per cento dal centro Studi di Ramallah e al 22 dal Centro palestinese di opinione pubblica. Barghouti ha però minacciato ieri di ritirare la propria candidatura. Il problema è che queste elezioni non sono affatto "normali", ma che di fatto mettono in palio due strategie contrapposte per uscire dalla sconfitta politica palestinese, maturata dopo i quattro anni della fallimentare Intifada delle stragi, lanciata nel 2000 da Yasser Arafat, che ha fatto ben 5.000 vittime. Abu Mazen avrebbe invece bisogno di una forte investitura popolare – su cui pare oggi non poter contare – per imporre ai partiti palestinesi una strategia di trattative con Israele, che ottemperi alla fondamentale condizione posta dalla road map e da Israele: la fine totale del terrorismo. Barghouti, invece, è sceso in campo su una piattaforma politica opposta: la trattativa con Israele va sviluppata, ma tenendo sempre aperta e pronta l’iniziativa stragista. Raccoglie così i consensi dell’elettorato di Hamas, di parte di al Fatah e di molti palestinesi. I sondaggi indicano che queste due opzioni politiche sono di pari peso, con un solo lieve vantaggio, forse, per Abu Mazen. Questo dato politico mette in secondo piano il mantenimento o no della candidatura antagonista di Barghouti. Anche se egli cedesse alle forti pressioni del vertice dell’Olp e si ritirasse veramente, resterebbe il dato di fatto che la sua strategia, che intreccia trattativa a terrorismo, nella più perfetta continuità con la prassi di Yasser Arafat, è comunque radicata. Cosciente di questo pericoloso bilanciamento di forze, Abu Mazen è fortemente impegnato in questa breve campagna elettorale, si vota il 9 gennaio, a rafforzare i propri consensi affiancando alla strada della trattativa senza terrorismo, la certezza di un rapido miglioramento delle condizioni di vita dei palestinesi grazie ad aiuti economici che l’Ue gli Stati Uniti sono disposti a fornire soltanto alla sua leadership e a consolidare il proprio prestigio nel mondo arabo. A vantaggio di Abu Mazen c’è uno straordinario impegno al suo fianco del rais egiziano Hosni Mubarak – che dà ora pieno credito alle volontà di pace di Sharon – e anche un circospetto appoggio della Siria, storica nemica di Arafat. Nel suo viaggio di ieri a Damasco, definito "storico" dai siriani, pare avere definito un discreto accordo con Bashar el Assad e anche una possibilità, non di più, di aprire, non di concludere, una trattativa con Hamas, Jihad islamico Fplp, i tre movimenti terroristi che godono i protezione e aiuti dalla Siria. Sempre a pagina 3 una disanima delle diverse valutazioni israeliane circa la figura di Barghouti, "Israele sa che Barghouti entrerà nella trattativa e ne discute": Roma. La decisione di Marwan Barghouti di presentarsi alle elezioni dell’Anp è stata definita da membri di Fatah una "manovra sionista" per dividere il loro movimento. Ieri il leader Tanzim, che ha diverse volte annunciato la sua partecipazione alla competizione elettorale, ritirandola in un secondo tempo, ha minacciato nuovamente di non presentarsi alle urne. L’operazione potrebbe protrarsi fino a gennaio, in un alternarsi di richieste e concessioni. Israele non si espone, osserva Yochanan Tzoref, ex ufficiale dell’esercito israeliano a Gaza, che dice al Foglio: la candidatura di Barghouti è vista come un problema interno palestinese. Un fattore importante consisterebbe nella paura di essere dimenticato. Barghouti crede che il processo politico, dopo la morte di Yasser Arafat, stia correndo troppo, e teme di non ottenere nessun ruolo influente. Gershon Baskin,direttore del Israel Palestine Center, dice al Foglio che sicuramente prima del 9 gennaio, Barghouti ritirerà nuovamente la candidatura. Sta infatti perdendo l’appoggio non soltanto di Fatah, ma della stessa popolazione palestinese, rendendo minima la sua possibilità di successo. La sua presentazione alle elezioni è considerata come una provocazione nei confronti di Abu Mazen. Fonti vicine all’Anp spiegano al Foglio che il neoleader dell’Olp, dopo una discussione interna ad al Fatah, avrebbe già inserito al primo posto della sua agenda di futuro presidente il patteggiamento del rilascio di Barghouti con il governo Sharon. "L’opinione pubblica israeliana non ha nessuna intenzione di liberare Barghouti – dice Tzoref – la gente teme che una sua eventuale vittoria possa porre ulteriori ostacoli per iniziare un processo di pace. Abu Mazen si prospetta come l’unico e possibile interlocutore". La posizione ufficiale del governo è quella ribadita dal ministro degli Esteri, Silvan Shalom: Barghouti dovrà scontare cinque ergastoli. Quella non ufficiale è che in futuro Barghouti potrebbe essere un partner politico, ma questo non è ritenuto il momento giusto. Il leader Tanzim ha detto in questi giorni che l’Intifada deve continuare, rendendo Abu Mazen l’unico interlocutore possibile. Secondo fonti dell’intelligence israeliana, alti ufficiali si sono incontrati segretamente con il capo Tanzim per ottenere il suo aiuto e promuovere una tregua con i gruppi terroristici. Secondo alcuni ufficiali, Barghouti, come collaboratore d’Israele, può essere utile soltanto se in carcere. Lo stesso ministro dell’Interno uscente, Avraham Poraz, aveva detto che la diplomazia d’Israele non escludeva che il rilascio di Barghouti potesse in un futuro essere legato alla scarcerazione da parte dell’Egitto del druso israeliano Azzam Azzam, liberato in questi giorni. Oppure a quella, da parte degli Stati Uniti, dell’analista ebreo americano e informatore di Israele Jonathan Pollard. Pollard ha già reso pubblico, in una lettera scritta ad Ariel Sharon, di rifiutare il patteggiamento della sua libertà con il rilascio di Barghouti. Gli Stati Uniti considerano Barghouti un terrorist e non hanno alcuna intenzione di aiutare la sua liberazione. Lo scrittore israeliano Uri Avnery crede che per iniziare un qualsiasi dialogo con l’Anp sia di vitale importanza una vittoria di Abu Mazen. Uzi Arad, ex direttore del Mossad, sostiene che la popolarità di Barghouti è una pura parodia. "E’ penoso pensare che un uomo famoso soltanto per le sue azioni terroristiche possa essere il futuro leader di un paese – dice – Sarebbe come nominare il Padrino, capo della polizia!". Tovia Singer, presentatore di una trasmissione su Arutz Sheva, radio della destra religiosa, ha definito Barghouti un uomo carismatico, che può mettere Israele in ginocchio. Di tutt’altra opinione Ron Pundak, direttore del Centro Peres per la Pace, che in una lettera inviata a Barghouti lo definisce un sincero partner per Israele. Il presidente Moshe Katzav, in una recente intervista a Maariv, ha affermato di non escludere a priori di poter dare la grazia a Barghouti, nonostante qualche settimana prima avesse detto di non vedere la morte di Yasser Arafat come un motivo valido per il suo rilascio. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione de Il Foglio. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.