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Il Foglio Rassegna Stampa
07.12.2004 Dopo l'attacco al consolato americano a Geddah: il punto sulla guerra al terrore
una mappa del jihad e della reazione occidentale

Testata: Il Foglio
Data: 07 dicembre 2004
Pagina: 6
Autore: Fausto Biloslavo
Titolo: «Antologia del terrore. A che punto siamo nella lunga lotta contro gli Osama bin Laden»
A pagina 6 dell'inserto IL FOGLIO di martedì 7-12-04 pubblica un articolo di Fausto Biloslavo che fa il punto sulla guerra al terrorismo islamista.
Ecco l'articolo:

Più di tre quarti degli appartenenti ad al Qaida sono stati uccisi o catturati e i loro capi, compreso Osama bin Laden, sono in fuga e si nascondono", ha detto il presidente degli Stati Uniti, George W. Bush, rimarcando i successi della guerra al terrorismo, tre anni dopo l’11 settembre. Il problema è però che, da Baghdad a Madrid, si sta forgiando una nuova generazione di terroristi
del jihad, che hanno soltanto un legame ideologico con al Qaida. Le nuove leve del terrorismo islamico considerano bin Laden un mito, ma agiscono autonomamente. Anche il loro addestramento è diverso da quello classico, dei vecchi jihadisti. I responsabili, individuati finora, delle stragi di Madrid
a marzo, non hanno mai messo piede in Afghanistan. Il loro radicalismo islamico è esploso in Spagna – dopo l’immigrare dal Marocco – fomentato da imam estremisti che predicano nelle moschee europee inneggiando alla guerra santa.
Dopo l’intervento americano in Afghanistan è diventato più difficile "sorvegliare e colpire militarmente al Qaida". A sostenerlo è l’Istituto Internazionale di Studi Strategici nel suo rapporto annuale. Quella guerra ha provocato una decentralizzazione della rete terroristica, ora attiva in 60 paesi. Almeno la metà dei 30 massimi esponenti del gruppo e altri duemila membri dell’organizzazione sono stati catturati o sono rimasti uccisi, ma i nuovi potenziali terroristi sarebbero oltre 18 mila. L’organizzazione fondata da bin Laden, o chi per esso, è stata duramente colpita, ma non ancora sconfitta
e nella sua nuova roccaforte, il Pakistan, si sta rigenerando. Gli esperti dell’antiterrorismo valutano che l’attuale minaccia non sia rappresentata dall’al Qaida che conosciamo: un’unica organizzazione transnazionale, che faceva da faro per diversi gruppi locali. Oggi sono sorte nuove formazioni, in parte indipendenti fra loro, e accomunate dall’attacco globale contro gli infedeli in nome dell’islam puro. Il campo di battaglia iracheno è un’ottima
fucina di nuovi terroristi come lo furono l’Afghanistan, la Bosnia e la Cecenia. Abu Musab al Zarqawi, nonostante i suoi collegamenti con al Qaida, ha sempre cercato di portare avanti una linea autonoma, ancora più radicale. Il super ricercato punta, attraverso la sua sanguinaria offensiva irachena, a offuscare o addirittura sostituirsi al mito di bin Laden, pur copiando alcune mosse utilizzate nella guerra contro i sovietici in Afghanistan: Zarqawi ha messo in piedi una rete che recluta nuovi mujaheddin provenienti non soltanto dai paesi musulmani. I servizi segreti europei hanno segnalato che il flusso di volontari della guerra santa diretto in Iraq è iniziato ancor prima dell’attacco
alleato al regime di Saddam Hussein. Le nuove reclute sono partite da Inghilterra, Francia, Spagna Italia e Norvegia, ma poi l’arruolamento si è espanso in altri paesi europei, compresi Belgio e Svizzera. Un’anonima fonte dell’intelligence, citata dal New York Times, ha stimato che siano arrivati in Iraq, negli ultimi due anni, un migliaio di giovani jihadisti provenienti da Europa e medio oriente. Solitamente, il punto di partenza è Londra con un volo diretto in Turchia o Siria, da dove i mujaheddin vengono infiltrati in Iraq. Il centro principale di smistamento era Fallujah, dove i servizi di Parigi hanno individuato, fin dalla scorsa estate, una decina di cittadini francesi d’origine musulmana. Uno di questi, Redouane el Hakim, 19 anni, figlio di un immigrato tunisino in Francia, è rimasto ucciso sotto un bombardamento americano. I jihadisti francesi ottengono il visto saudita per il pellegrinaggio alla Mecca e poi riappaiono in Iraq. Almeno cinque nord africani, provenienti dall’Italia, si sarebbero fatti saltare in aria nell’ultimo anno e mezzo contro obiettivi americani e anche gli inglesi hanno segnalato una colonia di propri connazionali islamici nel triangolo sunnita. Rabei Osman Sayed Ahmed, Mohammed l’egiziano, arrestato a Milano e in attesa d’estradizione in Spagna per le stragi dell’11 marzo, stava organizzando l’invio di un gruppo di attentatori suicidi in Iraq. La "liberazione" di Fallujah, centro di smistamento dei volontari del jihad, è stato uno dei più formidabili colpi al terrorismo internazionale che ha messo radici in Iraq, ma Zarqawi sta già ricomponendo la rete degli arrivi dall’estero in altre città irachene. Una vittoria americana sul terrorismo in Iraq impensierisce i paesi dai quali i volontari della guerra santa arrivano, a cominciare dall’Arabia Saudita, che si ritroverebbe in casa molti giovani wahabiti, pronti a utilizzare quello che hanno imparato sul campo contro l’obsoleta casa regnante. Soltanto da un anno le autorità saudite hanno iniziato a preoccuparsi di un sempre più virulento terrorismo interno, che ha colpito anche ieri il consolato americano di Geddah. Con l’aiuto degli Stati Uniti i sauditi sono riusciti a decapitare le cellule più pericolose della nuova al Qaida, quelle del "comando della penisola arabica", ma non a sopprimerle. Tra gli elementi più pericolosi c’è Saleh Awfi, 33 anni, che si unì ad Ansar al Islam in Iraq, ancora prima dell’intervento americano e quest’anno è rientrato in patria. Dopo l’uccisione di Abdul Aziz Muqrin, capo della brigata Fallujah, Awfi si autoproclamato nuovo emiro. In un congelatore di uno dei suoi covi è stata trovata la testa di Paul Johnson, il dipendente della Lockheed rapito e decapitato in Arabia Saudita. Un altro paese a rischio è lo Yemen. Le Brigate Abu Hafs al Masri, che appaiono spesso con comunicati su Internet, hanno minacciato di trasformare il paese in un altro fronte della guerra santa contro gli Stati Uniti: "Trascineremo l’America in una terza palude – sostengono in un loro testo – Dopo l’Iraq e l’Afghanistan toccherà allo Yemen, se Dio vorrà". Il gruppo prenderebbe il nome da Abu Atef, comandante militare di al Qaida ucciso mentre fuggiva da Kabul nel novembre 2001, ma altre teorie fanno riferimento all’ispirazione di Abu Ali al Harthi, uno dei luogotenenti di bin Laden nello Yemen. Il governo yemenita, guidato dal presidente Ali Abdullah Saleh, si è reso conto della minaccia e ha permesso alla Cia di condurre operazioni sul suo territorio, come l’uccisione con un missile di Salim Sinan al Harthi, uno degli operativi più ricercati di al Qaida. Consiglieri militari americani hanno iniziato l’addestramento di una
speciale unità antiterrorismo yemenita. L’Afghanistan è uno dei più evidenti successi della guerra al terrorismo, soprattutto dopo l’entusiastica partecipazione popolare alle elezioni presidenziali del 9 ottobre. Tre anni fa questo paese era un santuario di al Qaida. Oggi, i resti dei talebani, dei terroristi di bin Laden e gli uomini del signore della guerra fondamentalista, Gulbuddin Hekmatyar, rappresentano una minaccia infinitamente minore. Mullah Mohammed Omar, il leader guercio dei talebani, è ancora latitante, ma ha perso molto della sua influenza dopo che gli studenti guerrieri non sono riusciti a far saltare le elezioni. Sono soltanto sei o sette le province afghane a rischio, su un totale di venti. Un problema per la sicurezza, però, è rappresentato dalle spaccature nel mondo della guerriglia talebana. Il 28 ottobre sono stati rapiti a Kabul tre funzionari occidentali dell’Onu, che lavoravano alla commissione elettorale. E’ la prima volta che avviene un fatto di tale gravità nella capitale. Il sequestro è stato rivendicato dall’Armata
dei musulmani (Jaish e muslimeen), un gruppo fondamentalista fondato nel 2001, che dallo scorso agosto, assieme ad altre piccole fazioni, non riconoscono più il mullah Omar come guida della guerra santa anti americana. Il fondatore dell’Armata dei musulmani, mullah Sayed Mohammad Akbar Agha, si è formato durante il conflitto contro i sovietici negli anni 80. Mullah Ishaq Manzoor, portavoce del gruppo di sequestratori, sarebbe il responsabile delle operazioni militari dell’Armata e ha preso parte alla prima azione dei talebani, guidati da Omar, nei dintorni di Kandahar nel ’94. I funzionari dell’Onu sono stati liberati grazie al pagamento di un riscatto e, probabilmente, al rilascio di 26 estremisti. La minaccia di al Qaida si è spostata in Pakistan. Si sospetta che le zone tribali al confine con l’Afghanistan siano il nascondiglio dei bin Laden e del medico egiziano Ayman al Zawahiri. In realtà sarebbe quest’ultimo ad aver preso in mano i resti dell’organizzazione, puntando a eliminare il presidente pachistano Pervez Musharraf. Questa mossa, nei piani di al Zawahiri, dovrebbe scatenare un colpo di Stato militare guidato dalla fazione fondamentalista delle forze armate, appoggiata dai partiti religiosi pachistani, ex alleati dei talebani. Dall’11 settembre i pachistani hanno arrestato almeno 500 sospetti appartenenti ad al Qaida, consegnandoli agli americani, ma proprio in Pakistan l’hydra del terrore ha saputo rinascere con nuove teste. L’alleanza fra gruppi terroristi pachistani e le nuove leve di al
Qaida si sta rafforzando. Il segnale è l’offensiva d’attentati, falliti, ad alte personalità del paese, come il presidente Musharraf e il neo primo ministro Shaukat Aziz. Uno dei terroristi che ha cercato di uccidere il capo dello Stato lo scorso dicembre faceva parte del Jaish e Mohammed, un gruppo
che combattè contro gli indiani in Kashmir, fondato dal predicatore estremista Masood Azhar, amico dei talebani. Il nuovo capo operativo di al Qaida, che sta pianificando gli attentati, su ordine di al Zawahiri, è un estremista libico, Abu Faraj Libbi, che si nasconderebbe nelle aree tribali. Le retate dei militanti pachistani legati ad al Qaida hanno portato all’individuazione di almeno un campo d’addestramento di terroristi suicidi nella regione di confine fra Pakistan e Afghanistan, dove da marzo è in atto un’offensiva a più riprese dell’esercito pachistano. La lunga operazione nel Waziristan meridionale, che dovrebbe concludersi a dicembre, ha momentaneamente ripulito una parte dell’area tribale, portando alla cattura o all’uccisione di 400 estremisti. In Waziristan, però, continua a sfuggire alla cattura Abdullah Mehsud, 29 anni, che in ottobre organizzò il rapimento di due tecnici cinesi. Il sequestratore, come altri sette jihadisti, è tornato a combattere, dopo essere stato rilasciato, in marzo, dal duro carcere americano di Guantanamo. Mehsud fa parte dell’omonima tribù di etnia pashtun, uno dei clan ribelli del Waziristan meridionale, che concedono ospitalità e rifugio ai terroristi. L’al Qaida dell’estremo oriente è la pericolosa Jemaah Islamiyah (Comunità islamica),
un gruppo di terroristi islamici che sogna di fondare, con le bombe, un nuovo califfato che comprenda Malesia, Indonesia, Filippine meridionali e il sud della Thailandia. L’obiettivo è unificare 420 milioni di musulmani, creando lo Stato islamico più grande del pianeta, controllare le rotte strategiche verso il Mar della Cina e l’Oceano Indiano, oltre a impadronirsi di sostanziose risorse energetiche e minerarie. Un progetto che ha subito diverse disfatte, con la cattura di elementi chiave dell’organizzazione. I servizi australiani temono che la Jemaah possa contare ancora su 2.000 membri. Dopo alcuni attentati, come quello all’hotel Mariott di Giacarta, si è verificata una spaccatura all’interno del gruppo. I falchi, come Noordin Mohammed Top e Azahari bin Hussein, continuavano a difendere la linea dura: colpire obiettivi occidentali come hotel, banche, aziende nel sud-est asiatico, anche a costo d’uccidere i locali. Un’altra fazione puntava ad azioni mirate, come l’ultimo attentato contro l’ambasciata australiana in Indonesia. La strage più devastante della Jemaah Islamiyah, quella di Bali del 12 ottobre 2002, costata la vita a oltre duecento persone, segnò la nascita della nuova al Qaida, un anno dopo la sconfitta in Afghanistan. Oggi, però, i terroristi sono in gravi difficoltà finanziarie e decimati dalle operazioni segrete della Cia. Il Nord Africa, una volta fucina di jihadisti, ha cambiato i termini della sua pericolosità strategica. I terroristi egiziani sono stati costretti a fuggire all’estero dalla dura repressione delle forze di sicurezza e in Algeria
è rimasto attivo il Gruppo per la predicazione e il combattimento, sicuramente sanguinario, ma sempre più assottigliato a livello di aderenti. La Libia del colonnello Muhammar Gheddafi ha addirittura invertito rotta, chiudendo i campi d’addestramento per i terroristi e finendo nel mirino dei fondamentalisti che avevano trovato rifugio in Afghanistan ai tempi dei talebani. Anche dal Corno d’Africa, grazie alla nascita del nuovo governo somalo, sponsorizzato dalla diplomazia italiana, e alle operazioni "coperte" che partono dalla base americana a Gibuti contro le cellule terroriste islamiche annidate della zona, ci sono stati miglioramenti. Bush ha inoltre stanziato 100 milioni di dollari per migliorare la sicurezza della regione. I nuovi focolai, che interessano anche l’Europa, riguardano principalmente il Marocco. Claude Moniquet, presidente del Centro strategico europeo per l’Intelligence e la Sicurezza, sostiene che "la minaccia terroristica in Marocco e fra la comunità marocchina in Europa è reale". Due marocchini sono sotto processo in Germania per il loro coinvolgimento nell’attacco dell’11 settembre contro gli Stati Uniti. Nella lista dei super ricercati in Arabia Saudita spiccano altri due terroristi d’origine marocchina. Gran parte degli attentatori di Madrid venivano dal Marocco e secondo il giudice spagnolo, Baltazar Garzón, esistono almeno un centinaio di cellule del terrorismo islamico, impiantate dai marocchini, in Europa. Tutto ciò nonostante le autorità di sicurezza di Rabat abbiano arrestato 2.100 sospetti dopo gli attentati suicidi di Casablanca del maggio 2003. Un altro paese a rischio, infiltrato dai terroristi islamici negli ultimi tempi, è la Nigeria, ricca di petrolio, ma divisa da un duro scontro religioso e tribale fra il sud cristiano e il nord musulmano. L’intelligence ha segnalato la penetrazione di attivisti salafiti, del Gruppo per la predicazione e il combattimento, dalla vicina Algeria. Per bloccare questi nuovi focolai gli Stati Uniti stanno finanziando l’Iniziativa del Pan Sahel, che unisce Algeria, Chad, Niger, Mali e Mauritania in un deciso programma contro il terrorismo, compreso l’addestramento delle forze di sicurezza da parte di specialisti americani.
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