Contrordini compagni: la sinistra israeliana non esiste, Barghuti deve fare autocritica quando l'ideologia ha la meglio non solo sull'obiettività, ma anche sull'indipendenza di giudizio
Testata: Il Manifesto Data: 03 dicembre 2004 Pagina: 8 Autore: Michele Giorgio Titolo: «La terza via di Sharon. Laburisti al governo? - Al Fatah contro Barghuti»
A pagina 8 del MANIFESTO di venerdi 3-12-04 Michele Giorgio, nell'articolo "La terza via di Sharon. Laburisti al governo? " scrive di una "forza indefinita che con molta generosità viene ancora indicata come la sinistra israeliana" e dei laburisti come disposti a tutto per "una comoda poltrona da ministro", anche a dimenticare le "centinaia di migliaia di israeliani che vivono sotto la soglia della povertà a causa anche del piano Netanyahu". Non è nostro compito prendere posizione sulla politica economica e sociale israeliana, né intendiamo negare che la nella scena politica israeliana agisca, come in ogni altra democrazia, un intreccio di motivazioni ideali e di interessi personali. Di fatto però i laburisti hanno chiesto, per entrare al governo, la revisione della politica finanziaria (come scrive Umberto De Giovannangeli su L'UNITA', in "Sharon ha fretta di chiudere l'accordo con i laburisti)e il leader Peres ha sempre sostenuto l'accordo per non far fallire il disimpegno da Gaza. Di fatto, inoltre, la crisi economica israeliana non può dipendere da un piano che non è stato neanche approvato. Dipende, "anche" e soprattutto, dai costi economici e sociali inflitti a Israele dell'offensiva terroristica. Costi che Giorgio non menziona nemmeno.
Ecco l'articolo: Ariel Sharon è a caccia dei voti laburisti e dei partiti religiosi. E' questa la strada che il primo ministro israeliano segue per formare una nuova coalizione di governo al posto di quella svanita mercoledì sera alla Knesset quando il partito Shinui ha deciso di votare contro gli articoli della finanziaria che assegnavano nuovi finanziamenti alle istituzioni religiose ortodosse. Sharon è davanti a due scelte: un governo di unità nazionale o elezioni anticipate che farebbero però slittare a una data indeterminata il piano di evacuazione delle 21 colonie di Gaza che il primo ministro ritiene indispensabile per ottenere il controllo di ampie porzioni di Cisgiordania come concordato lo scorso aprile con il presidente Usa George Bush. E' una occasione d'oro alla quale Sharon non intende rinunciare anche per ridimensionare le aspirazioni palestinesi all'indipendenza. Con l'uscita dello Shinui, al premier sono rimasti alla Knesset solo i 40 deputati del suo partito, il Likud, ovvero 21 meno del quorum minimo per la maggioranza. I laburisti sono pronti ad entrare nel governo e il loro leader, l'anziano Shimon Peres, è disposto a dimenticare anche la terribile finanziaria preparata dal ministro Benyamin Netanyahu. Da mesi il piano economico del governo, fatto in sostanza solo di tagli allo stato sociale, è al centro di polemiche durissime da parte del sindacato e di quella forza indefinita che con molta generosità viene ancora indicata come la sinistra israeliana. Qualche giorno fa si è raggiunto il paradosso quando il partito Yahad (che raccoglie i resti del Meretz, sinistra sionista) di Yossi Beilin (uno dei principali promotori della Iniziativa di pace di Ginevra) ha votato a favore della manovra economica pur di salvare il governo e con esso l'evacuazione delle colonie da Gaza. I laburisti che avevano duramente criticato Beilin e il suo partito per l'aiuto dato a Sharon, ora fanno la fila per entrare nel governo dimenticando le centinaia di migliaia di israeliani che vivono sotto la soglia di povertà a causa anche del piano di Netanyahu. Per una comoda poltrona di ministro i laburisti farebbero di tutto. Sharon però ha anche bisogno dell'appoggio di almeno uno dei partiti ultraortodossi - Yahaduth Hatorah - e sta ora studiando la contropartita economica da offrire loro. Il premier si sta convincendo di poter costruire una maggioranza di 67 deputati e di procedere alla attuazione del piano di evacuazione delle 21 colonie di Gaza neutralizzando al tempo stesso eventuali siluri che potrebbero provenire dai dissidenti all'interno del Likud. «Il piano (per Gaza) - ha spiegato ieri Sharon incontrando un gruppo di giornalisti ed editori - sarà portato avanti completamente e nel rispetto del calendario stabilito». Ogni partito che entrerà nella coalizione, ha ricordato il premier, dovrà dare il suo pieno appoggio a questo piano. Presto verrà convocato il Comitato centrale del Likud per ottenere una revoca della decisione presa lo scorso agosto che era contraria a un'allenza di governo «totalmente laica». L'uscita dal governo dello Shinui, da sempre schierato contro lo strapotere dei partiti religiosi, ha rimescolato le carte del gioco politico e l'ingresso nella nuova coalizione di una o forse di tutte e due le formazioni ortodosse appare possibile. Il secondo partito religioso che Sharon sta corteggiando è lo Shas (che dispone di 11 deputati). Lo Shas però è contrario al piano di unilaterale ritiro da Gaza e ciò complica il tentativo di Sharon che, peraltro, non potrà concedere nessuno dei tre ministeri più importanti attualmente nelle mani del Likud (quelli della difesa, degli esteri e delle finanze). Sta perciò pensando di costituire un ministero per «i contatti con i palestinesi» e il piano di ritiro, che verrebbe affidato a Shimon Peres. Nell'articolo "Al Fatah contro Barghuti" Giorgio, che giovedì 2-12-04 aveva salutato con favore la candidatura di Barghuti, come il fatto che doveva "riportare alla realtà" un Abu Mazen troppo apprezzato da Israele e Stati Uniti che già pensava di divenatare il nuovo raìs (vedi "A Michele Giorgio della Palestina non gli importa nè lo Stato nè la Terra", Informazione Corretta, 2-12-04) si corregge: la candidatura di Barghuti, osteggiata da tutta Al Fatah, compresa la "nuova generazione" e le Brigate dei Martiri di al Aqsa è stata sicuramente "un errore". Urgono autocritica, dimissioni e rimozioni dei ritratti dell'errante dagli uffici pubblici, nonché della sua immagine dalle fotografie con Abu Ammar.
Ecco l'articolo: Il caso della candidatura di Marwan Barghuti pesa come un macigno sulle elezioni che il 9 gennaio decideranno il nuovo presidente dell'Autorità nazionale palestinese. Ieri mentre la Commissione centrale elettorale rendeva pubblico a Ramallah l'elenco dei dieci candidati - nessuna donna, è stata esclusa anche la giornalista Majda Al-Batch - i vertici e una parte delle strutture di base di Al-Fatah sparavano bordate durissime contro il Segretario del movimento in Cisgiordania. Si fanno ora insistenti le voci di un' espulsione di Barghuti da Al-Fatah. Un allontanamento che sarebbe il primo passo verso l'isolamento di un dirigente che senza dubbio ha commesso un grave errore candidandosi dopo aver annunciato la sua rinuncia a favore del leader dell'Olp Abu Mazen, ma che, allo stesso tempo, fa paura alla vecchia guardia per il forte ascendente sulla popolazione, in particolare le nuove generazioni. I collaboratori più stretti di Barghuti e la moglie Fadwa hanno spiegato che il «comandante dell'Intifada» aveva accettato con riluttanza di farsi da parte su pressione dei vertici di Al-Fatah, per non contrastare le ambizioni di Abu Mazen, gradito a Israele e Stati Uniti. Mercoledì Barghuti ha perciò deciso di giocare le sue carte, anche perché convinto che il processo di rinnovamento in Al-Fatah non sarebbe andato avanti, visto che le elezioni interne al movimento sono state fissate non nelle prossime settimane, come aveva chiesto, ma ad agosto.
Il più accanito avversario di Barghuti comunque non è Abu Mazen ma il segretario della presidenza dell'Anp e membro del Comitato centrale Tayeb Abdul Rahim. «Ciò che ha fatto il fratello Marwan è irresponsabile e inaccettabile», ha affermato durante una conferenza stampa Abdul Rahim, sostenitore accanito della resa dei conti con Barghuti. Altri esponenti della nomenklatura - rimasti per anni e anni seduti nelle loro confortevoli poltrone assegnate dallo scomparso Yasser Arafat mentre la popolazione pagava le conseguenze dei raid israeliani - adesso cercano di incitare la base di Al-Fatah contro Barghuti. Critiche sono state espresse anche dalla nuova generazione del movimento che fa riferimento proprio al leader incarcerato in Israele. Il più aperto nella condanna è stato Zakaria Zubeide, il capo del gruppo armato «Brigate dei martiri di al-Aqsa». «Ha sbagliato, così divide il movimento, deve dare le dimissioni», ha detto dal suo nascondiglio a Jenin, Zubeide, ricercato da Israele. «Lo hanno consigliato male la moglie e quelli che vogliono il potere - ha aggiunto - ma noi sosteniamo Abu Mazen, unico candidato di al Fatah». Immancabili sono perciò giunte le critiche a Fadwa Barghuti, accusata addirittura di aver persuaso con l'inganno il marito spingendolo a compiere un grave errore politico.
Intanto Abu Mazen è già in campagna elettorale e da alcuni giorni è impegnato in incontri nei Territori occupati. Ieri ha visitato la sede del suo comitato a Gaza e ha promesso che seguirà le orme di Yasser Arafat, per ottenere l'indipendenza della Palestina. Ha anche criticato Hamas che, col Jihad Islami e il Fronte popolare per la liberazione della Palestina, boicotta le elezioni del 9 gennaio. Abu Mazen sta facendo il possibile per migliorare agli occhi della popolazione la sua immagine di esponente «moderato» che pensa prima di tutto a compiacere Usa e Israele e poi agli interessi della sua gente. Qualche giorno fa ha espresso maggiore fermezza sui «principi nazionali» ma la maggioranza della popolazione continua a guardarlo con sospetto. Tra le candidature ufficializzate ieri spicca quella di Tayser Khaled, uno dei leader storici del Fronte democratico per la liberazione della Palestina. La sinistra palestinese non ha saputo trovare in queste settimane l'intesa per un candidato unico, confermando la profonda crisi in cui si dibatte da anni. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione del Manifesto. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.