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La Repubblica Rassegna Stampa
24.11.2004 Un titolo scorretto, e un articolo che non informa
sul processo al capitano israeliano che aveva infierito sul corpo di una bambina palestinese

Testata: La Repubblica
Data: 24 novembre 2004
Pagina: 20
Autore: Alberto Stabile
Titolo: «"Uccideteli anche se hanno tre anni"»
A pagina 20 LA REPUBBLICA di mercoledì 24-11-04 pubblica un articolo di Alberto Stabile sulle rivelazioni trapelate sui media israeliani circa la morte di Iman al Hams.
Il titolo dell'articolo, "Uccideteli anche se hanno tre anni" si riferisce a una frase detta da un capitano dell'esercito incriminato per aver scaricato un intero caricatore sulla bambina. Le parole sono state dette dopo questo atto, poi denunciato dai soldati sotto il comando dell'ufficiale.
Sono però riferite in modo da sembrare un ordine impartito ai soldati, senza che ne vengano specificate provenienza e circostanze. Il lettore è così indotto a credere che "uccidere anche i bambini di tre anni" sia una consegna dell'esercito israeliano o di alcuni suoi reparti.
Né l'occhiello, "Il militare vuotò il caricatore del mitra sulla ragazzina. In tv le comunicazioni radio di quella mattina tra i soldati", né il sottotitolo, "Israele, le rivelazioni sul capitano che trucidò una bimba palestinese" chiariscono che il capitano è stato incriminato.
Anche nell'articolo questa notizia è data soltanto di sfuggita. Tutto il pezzo è incentrato sulla trasmissione dalla rete televisiva "Canale 2" delle registrazioni delle comunicazioni fra i soldati, nel giorno dell'apertura del processo.
Un modo di procedere giornalisticamente normale avrebbe invece richiesto di dare anzitutto la notizia del dibattimento in corso, e poi delle rivelazioni giornalistiche che lo riguardano. O quantomeno di contestualizzare queste rivelazioni, spiegando diffusamente che seguono un'incriminazione da parte delle autorità giudiziare.

(a cura della redazione di Informazione Corretta)

Ecco l'articolo:

«Chiunque cammini, chiunque si muova nella zona, anche se è un bambino di tre anni, deve essere ucciso. Passo e chiudo» Con queste parole il capitano R. metteva fine, la mattina del 5 ottobre alla terribile sequenza che lo aveva visto infierire a colpi di mitra sul corpo esanime di Iman al Hams, una scolaretta palestinese di tredici anni, finita in una zona vietata ai civili, nei pressi dell´avamposto di Ghirit, a sud della Strisca di Gaza.
La frase riferita all´inizio fa parte delle registrazioni trasmesse dal rete tv "Canale 2" il giorno in cui davanti al Tribunale militare di Bersheva si apriva il processo contro il comandante dell´avamposto, identificato soltanto come capitano R., per uso illegittimo dell´arma e di ostruzione della giustizia. Sono stati gli stessi subalterni dell´ufficiale a denunciare il comportamento del loro capitano. Con una serie di telefonate alla Radio militare e al giornale Yedioth Aaronoth, i militari hanno raccontato che il capitano, dopo che la bambina giaceva a terra colpita, s´è avvicinato al suo corpo, gli ha esploso contro due colpi di grazia e ha fatto per tornar indietro. Ma poi è ritornato sui suoi passi e ha svuotato l´intero caricatore sul corpo della bambina. Messo sott´inchiesta, l´ufficiale s´è giustificato dicendo che nel momento in cui s´avvicinava al corpo di Iman era stato oggetto di spari partiti dalle posizioni palestinesi. Per ciò aveva soltanto risposto al fuoco. Le registrazioni delle conversazioni tra i militari sul campo, invece, lo inchiodano. Oltre a chiarire che Iman, prima di essere uccisa, era stata identificata dai soldati al posto di osservazione per una scolaretta e non una presunta terrorista.
Sono le 6,45 quando Iman entra nella zona proibita, e scatta l´allarme. Posto d´osservazione: «E´ una bambina. Sta correndo difensivamente verso est». Sala operazioni: «Stiamo parlando di una bambina sotto ai dieci anni?» Posto d´osservazione: «E´ una ragazza di circa dieci anni. E´ dietro la barriera, spaventata a morte». Guardia all´ingresso dell´avamposto: «Stanno puntando verso di lei, adesso». Posto d´osservazione: «Credo che una delle posizioni l´ha colpita. «Sala Operazioni: «Cosa, è caduta?» Posto d´osservazione: «Non si muove, ora» Comandante della Compagnia (il Capitano R).: «Io e un altro soldato stiamo andando un po´ più vicino, per confermare la morte (dare il colpo di grazia, n.d.r). Ricevete il rapporto sulla situazione: abbiamo sparato e l´abbiamo uccisa. Indossava mutande, jeans, una maglietta e una camicia. Portava anche una kefia sulla testa. Ho anche confermato la morte. Passo e chiudo». Nelle fasi salienti dell´esecuzione e della cosiddetta verifica della morte l´ufficiale è dunque presente. E in nessuna parte della registrazione parla di spari provenienti dalle posizioni palestinesi. Né aggiunge che lo zainetto "sospetto" era pieno di libri e di quaderni.
Invece, l´ufficiale ripete almeno due volte d´aver «confermato la morte». Ma è come se si sentisse puntati contro gli sguardi disgustati dei soldati. Perchè all´improvviso afferra la radio e si sente in dovere di «chiarire « le procedure: «Questo è il comandante, qualunque cosa si muova nella zona, anche se è un bambino di tre anni, deve essere ucciso. Passo e chiudo».
Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla direzione de La Repubblica. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.

rubrica.lettere@repubblica.it

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