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L'Espresso Rassegna Stampa
22.11.2004 Aspettare e vedere cosa accadrà tra i palestinesi
la posizione di Israele nel dopo-Arafat spiegata dal vicepremier Ehud Olmert

Testata: L'Espresso
Data: 22 novembre 2004
Pagina: 50
Autore: Gigi Riva
Titolo: «Disarmate i terroristi»
Su L'ESPRESSO del 25-11-04 Gigi Riva intervista, in modo corretto ed esauriente, il vicepremier israeliano Ehud Olmert.
Ecco il testo dell'intervista:

Ehud Olmert, vicepremier d’Israele e ministro dell’industria e del commercio, è un uomo molto pragmatico. Così, in questa intervista a "L’espresso" ribadisce di coltivare una speranza per il dopo Arafat, ma preferisce che parlino i fatti. Traccia un confine molto netto tuttavia sulle concessioni possibili e no. Nessuna divisione di Gerusalemme ("Mai"), nessuna apertura sul ritorno dei profughi. Mentre il ritiro unilaterale dalla Striscia di Gaza si farà, comunque, in primavera. Per quel tempo non vede la possibilità di avere un interlocutore affidabile dall’altra parte. Immagina che faticheranno, i palestinesi, a formare una nuova leadership e avranno difficoltà a contener le fazioni armate, come dimostra la sparatoria in cui è stato coinvolto a Gaza il presidente in pectore abu Mazen. Insomma: aspettare e vedere. E’ questo l’atteggiamento che Israele si deve imporre. Cinquantanove anni, fama di duro del Likud, ex sindaco di Gerusalemme, Olmert è considerato l’uomo più vicino ad Ariel Sharon, colui che condivide in pieno (e spesso suggerisce) la politica del premier, comprese le eventuali concessioni in cambio della pace. Non a caso, e sembra un messaggio per l’ala destra del partito, "tempo è venuto per un attento, ragionevole e possibile cambiamento". Un altro modo per definire le doloroso concessioni, la formula di Sharon.

Ehud Olmert voi avete sempre sostenuto che Yasser Arafat era parte del problema, non parte della soluzione. Ora parte del problema non c’è più e dunque intravede una soluzione?
"Vedo la possibilità che la vecchia politica venga accantonata. E ci sono le speranze che ci si trovi di fronte a un nuovo inizio. Ma nei primi passi che siamo chiamati a intraprendere dobbiamo fare molta attenzione. Ancora non sappiamo se ci sarà una leadership palestinese stabile, se avrà l’autorità per disarmare i terroristi e per guidare una soluzione negoziale, di compromesso. Certo si apre una fase di opportunità e ci sono nuove aspettative"

Quando dice vecchia politica intende, per estensione, anche vecchi politici, cioè Abu Mazen e Abu Ala? In altre parole, pensate sia meglio trattare con loro o con la nuova generazione, coi quarantenni di Al Fatah?
Perché, sulla transizione dobbiamo decidere noi per i palestinesi? E’ sbagliato impostare il ragionamento in questo modo. La nuova leadership la decidano da soli. A noi interessa solo che che costruiscano insieme un sistema democratico credibile. In Israele abbiamo una democrazia e nessuno può anticipare chi sarà il prossimo leader, chiunque lo può essere.

Nei ranghi di al Fatah sono in molti a sostenere che dipende anche da voi, dall’atteggiamento che assumerete, per poter avere davvero elezioni libere e avviare un processo di rinnovamento. Cosa pensate di fare per aiutarli?
"Certo è bizzarro. Da un lato ci si chiede di disimpegnarci, dall’altro ci si chiede di essere convolti, di aiutarli a far crescere la democrazia".

Ci sono delle ragioni oggettive. Come si fanno a tenere elezioni libere se non c’è libertà di circolazione, se ci sono centinaia di check-point? In questo senso il vostro atteggiamento può essere determinante.
Se finirà il terrore, se si avvierà il circuito virtuoso del dialogo, allora potremo lasciare molti check-point.

Lei crede che Hamas, l’organizzazione che ha provocato più lutti, potrà abbandonare davvero la scelta del terrorismo?
Dubito moltissimo. E devono capire che l’alternativa al coinvolgimento politico non è seminare il terrore, perché saranno eliminati. Non esiteremo a eliminare chiunque sia direttamente coinvolto nel terrorismo. E allora quella di entrare nel processo politico può essere una buona scusa, per molti di loro, per salvarsi la vita.

Un argine a un possibile buon risultato di Hamas è la candidatura di Marwan Barguti, il più popolare tra i capi di Al Fatah. Ma si trova in un carcere israeliano dove sta scontando la condanna a cinque ergastoli. Liberarlo è un altro modo per aiutare una leadership palestinese laica e non fondamentalisti.
"Io credo che Abu Mazen sarà eletto presidente. Cosa succederà nel futuro non lo so e non lo posso prevedere. Né posso per ora considerare Barguti un’alternativa".

Gli stessi giornali israeliani scrivono di un possibile scambio con la vostra spia Azam Azam, detenuto in Egitto. O addirittura di un accordo con gli americani che restituirebbero l’agente del Mossad Jonathan Pollard, detenuto negli Usa.
"Il fatto che sia scritto non significa nulla"

Dunque lei esclude che Barguti possa essere liberato?
"Ho forse detto questo? No, ho detto non so. Penso sia prematuro speculare su questa ipotesi adesso.

La macchina elettorale, da parte palestinese, è pronta. A parte Gerusalemme Est dove non sono state ancora ultimate le liste perché lo avete impedito. Eppure ai palestinesi di Gerusalemme Est nel 1996 fu concesso di votare? Perché questa vostra resistenza?
"In linea di principio non mi oppongo al fatto che gli abitanti di Gerusalemme Est, tutti, possano votare, purché lo facciano fuori da Gerusalemme. Se lo facessero a Gerusalemme, si aprirebbe un processo per dividere la città.

Questione per lei totalmente inaccettabile.
"Le parti che sono sotto il nostro controllo, la città vecchia, il centro, devono rimanere sotto la sovranità di Israele".

Scusi l’insistenza, ma il punto è delicato. Gerusalemme è città santa per tre religioni. Impossibile pensare a una sorta di protettorato?
Per l’Islam Gerusalemme non è la città più importante, è solo il terzo centro in ordine d’importanza e non è mai stata capitale di nessuna entità politica musulmano araba. Per i cristiani è certo un luogo importante. Ma solo per noi ebrei è tutto, ed è stata capitale.

Lei recentemente ha sostenuto che i residenti dai sobborghi che potrebbero finire in futuro sotto controllo palestinese hanno diritto a votare, non quelli dei sobborghi che poi saranno sotto controllo israeliano. Significa che ha un’idea precisa della partizione dei sobborghi.
"Ce l’ho, ma non è il momento per dirla".

Durate il loro recente incontro Bush e Blair hanno rilanciato il loro impegno sul problema israelo-palestinese. E Bush ha detto di volere la costruzione di uno stato palestinese in quattro anni. Lei è d’accordo?
"Io sono favorevole, certo Ma detta così non significa nulla. Bisogna capire come verrà costruito e non quanti anni ci vorranno. Nessuno controlla tutto da queste parti"

La demografia, da queste parti, guida la politica. Nel 2020, secondo alcune proiezioni, gli arabi saranno in numero superiore agli ebrei sul territori che va dal Giordano al Mediterraneo. La soluzione dei due stati serve anche a dividere le popolazioni, vero?
"Forse il sorpasso ci sarà anche prima del 2020 o forse poco dopo. Comunque in uno spazio di tempo molto piccolo. Dobbiamo essere coscienti della situazione prima che sia troppo tardi".

Lei non crede alla possibilità di vivere assieme.
"Perché no? Lo abbiamo fatto a lungo. Ma non può essere in uno Stato binazionale.

Il Muro è stato costruito per dividere?
"Intanto premetto che la barriera di separazione sarà ultimata e riguarderà anche Gerusalemme. La ragione maggiore della sua costruzione è la sicurezza. Da questo motivo principale ne discendono altri, come dividere la popolazione".

In quale percentuale devono essere gli ebrei per conservare la natura dello stato? Qualcuno sostiene almeno il 75 per cento.
E’ ragionevole

Sarà riesumata la Road Map?
"Quel piano può ripartire solo se loro faranno i passi preliminari. Cioè stop al terrorismo, costruzione della democrazia, trasparenza".

Secondo lei due mesi sono sufficienti per preparare queste fondamentali elezioni?
"Ne dubito moltissimo".

Tornando a Gaza, gli stessi coloni potrebbero chiedervi di rivedere la decisione e di trattare con la controparte.
"Nel caso risponderei: tempo è arrivato, per Israele, per dare una svolta, un cambiamento. C’è oggi la possibilità di un ragionevole, attento e possibile cambiamento. E dobbiamo seguire questa prospettiva

Se non con l’attuale maggioranza, forse con un governo che coinvolga il partito laburista?
"Lo spero"

Un accordo di grande coalizione da fare dopo eventuali elezioni
"No, prima, per scongiurarle".

Se il Labour entra nella coalizione si libera uno spazio a sinistra.
"Non hanno alcuna chance. Se il Likud sarà responsabile, l’opinione pubblica preferirà sicuramente un governo di centro-destra piuttosto che uno di centro estrema-sinistra".

In conclusione, dopo la morte di Arafat, lei è più ottimista o pessimista?
"Ci sono più speranze. E qui mi fermo. Noi dobbiamo aspettare e guardare".
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